CAPIRE ED INTERPRETARE
LE CURVE MTF CHE VENGONO
UTILIZZATE PER INDICARE
LA QUALITA' DI UN OBIETTIVO
25/02/2010
Molto spesso, per quantificare oggettivamente (concetto in realtà astratto ed
improprio)
la qualità ottica di un obiettivo fotografico, vengono chiamate in causa dei
diagrammi con
misteriose curve, denominate in gergo M.T.F., ovvero l'acronimo di Modulation
Transfer
Function, funzione di trasferimento di modulazione.
In realtà, tali funzioni vengono regolarmente applicate sia
all'ottica che all'acustica,
ma una trattazione arida e tecnica aumenterebbe soltanto la confusione e non è mia
intenzione
addentrarmi in astrusi e poco comprensibili concetti teorici; mi limiterò a
fornire alcune,
basilari nozioni pratiche per consentire all'appassionato di "leggere"
queste curve e - nei
limiti del possibile - di interpretarne il senso; per amore di chiarezza, la
descrizione ed il lessico
saranno volutamente semplificati e talora non rigorosi.
La valutazione di un obiettivo tramite misurazioni
M.T.F. divenne importante negli anni '60,
subentrando progressivamente- nelle metodologie di valutazione standard
delle principali Aziende
del settore - alla classica misurazione della risolvenza su mire; in quel
periodo, grazie agli studi
anche empirici di Schade ed Heinacher (due progettisti in forza alla Kodak di
Rochester ed
alla Zeiss di Oberkochen) prese piede la scuola di pensiero secondo la quale il
parametro
critico che contribuisce maggiormente all'impressione di nitidezza soggettiva,
in un individuo che
osservi una stampa da una distanza prefissata, fosse il contrasto e non la
risolvenza; a tale riguardo
sono famosi gli esempi divulgati dalla Zeiss che illustravano la vetrata
istoriata di una celebre
cattedrale e che erano stati realizzati con obiettivi di caratteristiche
antitetiche: alta risolvenza
con basso contrasto oppure bassa risolvenza ed alto macrocontrasto:
l'impressione soggettiva
di nitidezza era nettamente a vantaggio della seconda ipotesi.
Venne così messa a punto la metodologia che permetteva di misurare il
TRASFERIMENTO
DI CONTRASTO residuo recepito dall'emulsione dopo il passaggio attraverso
l'obiettivo,
assumendo che il contrasto iniziale fosse del 100% oppure 1,0; per valutare
meglio il comportamento
ad ampio spettro, si decise di misurare il contrasto residuo relativo a dettagli
di differenti dimensioni,
immaginando di riprendere delle sequenze ad altissimo contrasto con brusco
passaggio di densità
(in pratica, come barre accostate di colore bianco e nero puro) con dimensioni
via via decrescenti;
queste sequenze ad alto contrasto, denominate CICLI, si ripetono svariate
volte per ogni millimetro
di emulsione, e proprio per questo vengono definite cicli/mm.
Riassumendo, il sistema M.T.F. valuta il contrasto residuo (inteso come
attenuazione nella brillanza
originale fra bianco e nero ed anche come perdita della netta acutanza nel
brusco cambio di densità fra
una linea e l'altra) dopo il passaggio attraverso l'obiettivo di un'immagine che
focalizza una serie di barre
ad altissimo contrasto la cui frequenza è via via più ravvicinata, generando
nell'immagine focalizzata
sulla pellicola dei cicli al millimetro sempre più ravvicinati (5 cicli/mm, 10
cicli/mm, 20 cicli/mm, 40 cicli/mm, etc.).
Le curve MTF sono ormai oggetto di impiego generalizzato da
parte
dei principali produttori di obiettivi: cambia la grafica ma non il principio.
Per capire meglio il concetto, immaginiamo di visualizzare una
serie di barre alternate di colore
bianco puro e nero puro, la cui densità sia pari al 100% sul nero ed allo 0%
nel bianco, con
un passaggio fra i due valori di densità praticamente istantaneo, privo di
qualsiasi gradualità; se
visualizziamo in grafica i valori di densità relativi, otterremo un grafico
perfettamente geometrico
detto "AD ONDA QUADRA" , dal momento che i passaggi chiaro/scuro sono
netti.
Se riduciamo l'intervallo fra le barre, otterremo un CICLO DI FREQUENZA via via
maggiore,
e se fotografiamo questo soggetto otterremo sull'emulsione un'immagine dove le
varie sezioni
di barre a contrasto saranno caratterizzate da differenti cicli/mm, cioè il
loro numero per ogni
millimetro di emulsione varierà in funzione delle dimensioni originali.
In un obiettivo teoricamente perfetto, la densità originale
delle barre e la nettezza della loro interfaccia (acutanza)
rimarrebbero invariate prima e dopo il passaggio attraverso il gruppo ottico,
sia a basse frequenze spaziali (barre
molto grandi e spaziate, "facili" da riprodurre) sia alle medie ed
alte frequenze spaziali (barre molto sottili e ravvicinate,
la cui riproduzione esatta è molto più critica). In realtà anche il migliore
obiettivo, riproducendo un soggetto con
"FREQUENZA SPAZIALE" sempre più alta (barre via via più
ravvicinate), non è in grado di mantenere la brillanza
originale, cioè di riprodurre in nero come nero pieno ed il bianco come bianco
puro, ed anche il punto di interfaccia
fra le due barre non viene reso in modo netto ma con un passaggio graduale;
nella parte alta dello schema viene
visualizzata questa attenuazione nella brillanza "bianco/nero" e per
semplicità grafica la variazione di densità viene
sempre indicata con un passaggio "ad onda quadra", ma in realtà la
densitometria dell'immagine assume invece un
andamento a sinusoidi che si attenuano progressivamente, fino ad arrivare alla
frequenza spaziale CRITICA in
cui le barre sono talmente ravvicinate da venire riprodotte dall'obiettivo come
un singolo settore grigio indistinto:
in questo caso il trasferimento di contrasto è pari a zero, e siamo arrivati ai
limiti fisici dell'obiettivo stesso.
Questo diagramma evidenzia in modo più verosimile la lettura
densitometrica dell'immagine
focalizzata dall'obiettivo e mostra come l'onda quadra originale, aumentando la
frequenza
spaziale, si trasformi in un sinusoide sempre più attenuato ed arrotondato, ad
indicare una
riduzione della brillanza fra chiaro e scuro ( e quindi del trasferimento di
contrasto) ed un
passaggio più graduale fra le due tonalità (riduzione di acutanza).
In altre parole, analizzando il contrasto del soggetto
originale e quello residuo
dopo la focalizzazione attraverso l'obiettivo, i picchi di densità e l'acutanza
del
loro passaggio chiaro/scuro assumeranno graficamente questo andamento
sinusoidale, e all'aumentare della frequenza spaziale (correlata a dettagli
via via più minuti e difficili da rendere col contrasto originale) si assiste
ad una progressiva attenuazione, fino al limite estremo (qui non illustrato)
in cui la serie di curve si appiattisce fino a divenire un segmento, per cui
il soggetto viene riprodotto con modulazione di contrasto pari a zero.
Naturalmente l'ampiezza delle variazioni densitometriche non dipende
unicamente dalla frequenza spaziale: un obiettivo "eccellente" ed uno
"scadente" possono presentare sinusoidi di ampiezza molto differente,
pur riferendosi a dettagli con la stessa frequenza spaziale (cioè,
in parole povere con barre della stessa larghezza): è questo il caso di
due obiettivi che, agli stessi cicli/mm di riferimento (ad, esempio, 40),
presentino le rispettive curve ad altezze molto diverse fra loro.
In questo schema trasferiamo questi concetti teorici ad una
tipica curva MTF: il diagramma
si sviluppa da sinistra a destra indicando l'MTF dell'obiettivo dal centro del
fotogramma
fino ai bordi; trattandosi di un grandangolare retrofocus, esiste una netta
differenza di resa
fra il centro (ottimo) e gli angoli estremi del formato (più scarsi); i
riferimenti colorati
accoppiano diversi valori di brillanza ed acutanza a punti della curva,
indicando cosa sia
lecito attendersi. NOTA BENE: la mira riprodotta in alto presenta una vasta
serie di
FREQUENZE SPAZIALI, cioè di cicli/mm (basse a sinistra ed alte a destra),
mentre la
curva MTF di riferimento indica il trasferimento da centro a bordi PER UNA SOLA
FREQUENZA SPAZIALE (in questo caso, 40 cicli/mm); in realtà, ai bordi, la
frequenza
delle barre sarebbe la stessa indicata dal punto rosso, semplicemente riprodotta
con un
contrasto ed una brillanza simili a quelle dei settori contrassegnati in verde.
Come potete notare, ogni misurazione ad una specifica
frequenza spaziale
è rappresentata sempre da una coppia di curve, unite sull'asse del fotogramma
e sdoppiate sul campo; tali curve si riferiscono alla misurazione del
trasferimento
di contrasto con mire a diverso orientamento: la curva continua, solitamente,
indica
una misurazione con le barre PARALLELE alla semidiagonale che collega il centro
con i bordi (lettura SAGITTALE o ASSIALE), mentre la curva tratteggiata è
riferita
ad una lettura con barre PERPENDICOLARI alla stessa semidiagonale (lettura
TANGENZIALE o MERIDIONALE); i diverso orientamento è utile per evidenziare
l'ASTIGMATISMO, dal momento che - in presenza di tale aberrazione ottica - le
barre
con orientamento perpendicolare fra loro (come in questi due casi) giacciono su
piani
di messa a fuoco differenti, quindi in una delle due letture avremo una messa a fuoco
non
ottimale; nel caso di grandangolari estremi una curva tangenziale molto più
bassa ai
bordi è dovuta anche alla forma estremamente SCHIACCIATA che assume la pupilla
luminosa
nelle zone periferiche del campo, penalizzando la lettura con questo
orientamento (immaginate
che la pupilla, in origine tonda, venga schiacciata lungo l'asse della
diagonale fino ad assumere
la forma di una palla da rugby); nel caso dei teleobiettivi, invece, una curva
tangenziale che verso
i bordi peggiora e si separa dalla sagittale può indicare anche
ABERRAZIONE CROMATICA
laterale (le cui frangiature interferiscono con la lettura delle barre con
quest'orientamento).
A questo punto si potrebbe obiettare che anche la classica
misurazione del potere risolvente
utilizza mire costituite da barre a contrasto con frequenza spaziale
decrescente; la differenza
sostanziale consiste nel fatto che la valutazione della risoluzione su mire
richiede un intervento
soggettivo, e la stessa risolvenza apparente in coppie di linee/mm (ad esempio:
65 l/mm) può
essere raggiunta riproducendo la mira con un contrasto estremamente basso oppure
più alto:
l'occhio dell'osservatore riuscirà comunque - sia pure a fatica - a
distinguere le linee risolte
con contrasto minimo, ma i due obiettivi - nell'uso pratico - non saranno
identici, e quello
che raggiunge tale risolvenza con contrasto più elevato produrrà immagini
dotate di una
nitidezza apparente molto più alta dell'altro; l'MTF, invece, misura con quanto
contrasto
viene riprodotta una mira con una certa frequenza spaziale, dando priorità al
fattore che
col metodo tradizionale viene parzialmente trascurato, e fornendo una
indicazione più
attendibile e realistica delle vere prestazioni dell'ottica nell'uso pratico.
Prendendo questo schema come esempio (si tratta delle curve
Zeiss per il Distagon CF
3,5/60 per Hasselblad V), ecco come interpretare le curve: innanzitutto occorre
cercare
nella legenda le frequenze spaziali di riferimento (in questo caso 10, 20 e 40
cicli/mm),
dal momento che in alcuni casi (ottiche critiche da riproduzione, obiettivi per
grandi formati)
lo standard adottato può essere diverso (per esempio: 5, 10 e 20 cicli/mm
oppure 20, 40
e 60 cicli/mm), e non è assolutamente possibile valutare un obiettivo
prescindendo da questi
parametri nè confrontare due obiettivi diversi che non siano stati misurati con
le stesse frequenze
spaziali; in questo schema sono presenti due diagrammi, il primo con misurazioni a
piena apertura
(in questo caso f/3,5) ed il secondo riferito ad un impiego con diaframma chiuso
a valori ottimali
(f/8); su ascisse ed ordinate abbiamo la percentuale di trasferimento di
contrasto (qui indicato con
scala da 0,0 ad 1,0, equivalente a 0% e 100%) e la posizione del punto-immagine
sul campo,
partendo dal centro del fotogramma (estrema sinistra del diagramma) e
spostandosi sulla semidiagonale
del formato fino ai bordi dell'immagine (estrema destra del diagramma); la
numerazione in basso indica
la distanza in mm dal centro (il formato 6x6 Hasselblad ha una diagonale di
80mm, quindi la semidiagonale
che parte dall'asse è di 40mm). Le tre coppie di curve, partendo dall'alto,
indicano il trasferimento di
contrasto riferito a serie di barre che - sull'emulsione - presenteranno
dimensioni tali da corrispondere
rispettivamente a 10 cicli/mm (curva più alta), 20 cicli/mm (curva intermedia)
e 40 cicli/mm (curva
più bassa), passando - da sinistra a destra - dall'asse del fotogramma ai
bordi; solitamente l'asse è
più corretto e le curve sono più alte, ma esistono varie eccezioni
documentate. La sfasatura fra le due
letture sagittale e tangenziale (con mire orientate parallelamente o
perpendicolarmente alla diagonale)
è indicata dalla coppia di curve, una continua e l'altra tratteggiata.
Questo schema illustra meglio le probabili ragioni che causano
una discrasia prestazionale
fra le letture sagittale e tangenziale ai bordi.
Come dobbiamo interpretare il posizionamento reciproco ed
assoluto delle curve?
Come accennato, le curve riferite a basse frequenze spaziali (ad esempio, 10
cicli/mm
ovvero 10 l/mm) indicano con quanta brillanza l'obiettivo riproduca i dettagli
più grossolani,
e questa curva è responsabile dell'andamento del MACROCONTRASTO, mentre quelle
misurate ad alte frequenze spaziali (come 40 cicli/mm - 40 l/mm) testimoniano la
capacità
di riprodurre ad alto contrasto i dettagli più fini, quindi forniscono
un'indicazione sul POTERE
RISOLVENTE dell'obiettivo e sulla sua capacità di microcontrasto. Gli esempi
fittizi di questo
schema sono illuminanti: il modello a sinistra presenta un MTF molto alto a
basse e medie
frequenze spaziali e molto più scarso alle alte frequenze spaziali; in linea di
principio, quest'obiettivo
dovrebbe fornire immagini secche e vigorose ma con una limitata risolvenza dei
dettagli più minuti.
Viceversa, l'esempio a destra presenta curve a 10 l/mm e 20 l/mm molto più
basse rispetto
all'esempio precedente, mentre la lettura ad alte frequenze spaziali (40 l/mm)
è decisamente
superiore, preconizzando un comportamento differente: elevata risoluzione dei
dettagli fini ma
impianto di macrocontrasto più fiacco rispetto all'esempio precedente.
Come molti prima di me, voglio suggerire agli interessati di avvalersi delle
curve MTF con
estrema cautela e disincanto: infatti, da un lato queste misurazioni sono
comunque troppo
avulse dal funzionamento nel "real world" per fornire una vera carta
d'identità dell'obiettivo,
il cui rendimento è un continuum sinergico dal piano di fuoco al fuori fuoco
assoluto, mentre
le curve forniscono parziali indicazioni solamente sul settore di focalizzazione
ottimale, ma
nulla dicono sulla tenuta degli MTF nello sfuocato, componente estremamente
importante
nella resa caratteristica di un obiettivo; d'altro canto, a parte certi
diagrammi forniti da Zeiss
e Schneider, le curve fornite dai costruttori sono calcolate
matematicamente sul modello
teorico dell'obiettivo e NON misurate su un esemplare effettivamente assemblato:
tali
curve non tengono quindi conto delle infinite variabili e tolleranze introdotte
sulla linea di
montaggio, e molto difficilmente l'ottica che acquistate si comporterà
esattamente come
i suoi MTF originali vorrebbero... L'esempio che segue è illuminante, e riporta
i rari MTF
relativi al famoso Zeiss Hologon 15mm f/8, presente ad inizio anni '70 nel
sistema Contarex
e Leica M: il diagramma a sinistra presenta gli MTF calcolati teoricamente sui
modelli
matematici dell'obiettivo, quello a destra riporta gli MTF misurati REALMENTE,
nel
1968, su un esemplare di produzione: ogni commento è superfluo.
Fra l'altro, per una valutazione corretta dell'obiettivo
occorrerebbe misurare la
complessiva FUNZIONE DI TRASFERIMENTO OTTICO (OTF), che comprende
sia il trasferimento di modulazione del contrasto che il "phase
displacement", cioè
il trasferimento di modulazione di fase, un pacchetto di rilevazioni molto
critico e
complesso da mettere in atto e pressochè incomprensibile per il profano...
Un altro fattore molto importante è connesso alla relazione
fra frequenze spaziali adottate,
dimensione del negativo e fattore di ingrandimento dell'immagine finale; come a
suo tempo
rivelò il dr. Heinacher, per costruire la nostra opinione sull'impressione
soggettiva di nitidezza
noi monitoriamo l'immagine ed "agganciamo" una certa serie di
dettagli, dei marker che
ci supportano nel giudizio; è stato appurato sperimentalmente che, a parità di
relazione
fra formato dell'immagine stampata e distanza di osservazione, INCONSCIAMENTE
CI FOCALIZZIAMO SU DETTAGLI LA CUI
DIMENSIONE SULLA STAMPA
E' PIU' O MENO COSTANTE, per cui è possibile stabilire
una relazione statistica
fra il loro formato sulla stampa, l'ingrandimento, la distanza di osservazione e
la relativa
frequenza spaziale MTF cui corrisponde UNA NITIDA RIPRODUZIONE di
questa
gamma di dettagli uniformemente dimensionati e la cui presenza è così
importante per il
giudizio finale; è facile comprendere che, modificando le dimensioni del
negativo, e quindi
riducendo il fattore di ingrandimento, questa relazione si alteri, ed infatti -
passando da
negativi piccoli a formati via via più grandi - sempre a parità di stampa
finale e di conseguente
distanza di osservazione, per risolvere questi "control points"
occorre una frequenza spaziale
MTF sempre più bassa, e quindi più facile per l'obiettivo: in sostanza, il
dettaglio risolto
sul 24x36mm grazie al contributo dei 40 cicli/mm, sul 6x6cm richiederà solamente
i 20
cicli/mm e sul 10x12cm appena 10 cicli/mm; ovviamente queste curve sono molto
più
alte, e questa - sempre a parità di ingrandimento finale - è la ragione della
maggiore
nitidezza apparente di una stampa di grande formato. Quindi, nell'uso pratico,
se gli
MTF si riferiscono ad un obiettivo per formati medi o superiori, considerate
sempre
con attenzione le frequenze spaziali di riferimento e tenete conto che, ad
esempio,
in questi casi i 40 cicli/mm sono realmente ridondanti e contribuiscono a
risolvere
dettagli così piccoli che - sulla stampa finale - non avranno una dimensione
sufficiente
per "agganciare" l'attenzione dell'osservatore, e non contribuiranno
significativamente
all'impressione soggettiva di nitidezza... Niente paura, quindi, se in questi
casi la
curva a 40 l/mm sarà piuttosto bassa, e parimenti - con i grandi formati per
pellicole
piane - la vera frequenza critica sarà di appena 10 l/mm, ed i 20 cicli/mm non
saranno responsabili dell'impressione di nitidezza, ovviamente osservando la
stampa
da una distanza adeguata.
E' interessante notare che lo sviluppo delle tecnologie MTF assistite al
computer ebbe
luogo quando non erano ancora disponibili i sistemi in grado di plottare
direttamente la
grafica, e le misurazioni venivano trasferite MANUALMENTE sui grafici! L'esempio
che segue è un documento storico e rappresenta la misurazione eseguita alla
Zeiss di
Oberkochen su uno Zeiss Biogon 53mm f/4,5 per Linhof 6x9cm, il tutto
rigorosamente
vergato a mano ed "arricchito" dai postumi di un allagamento che ha
fatto raggrinzire
la carta millimetrata originale... La data del documento è 19/07/1973.
Le curve MTF ci permettono di valutare quanto sia importante la planeità
di campo sul piano focale, garantita per definizione sui corpi digitali ma non
altrettanto certa su quelli analogici... Una tolleranza di 20 micron (0,02mm)
è considerata standard anche nei migliori apparecchi, ed uno studio interno
della Zeiss, eseguito ai tempi in cui fu lanciata la Contax 645 AF, mette in
evidenza come sia facile incorrere in un'immagine insoddisfacente per scarsa
planeità della pellicola; gli MTF che seguono sono stati eseguiti con un banco
Zeiss
K8 ed illustrano gli MTF di un obiettivo da 90mm utilizzato a coniugate brevi,
con
apertura f/4, modificando il piano di fuoco sull'asse di appena 100 micron
(0,1mm),
valore che pare un'inezia e che invece comporta un flesso di MTF sull'asse pari
al 45%.
Un'annotazione particolare va dedicata agli MTF originali Canon e Nikon
(anch'essi calcolati teoricamente e quindi da prendere con beneficio di
inventario): nel caso di Canon le frequenze spaziali considerate solo solamente
due (10 cicli/mm e 30 cicli/mm), con l'intenzione di valutare il macrocontrasto
grazie alla prima e la risolvenza media con la seconda; le coppie di curve sono
quattro perchè - sullo stesso diagramma - sono riportate le misurazioni
relative
alla massima apertura e (in colore diverso) ad f/8, ciascuna riferita a 10 e 30
l/mm;
nel caso di Nikon, le omologhe letture a 10 e 30 l/mm sono limitate
inspiegabilmente
alla massima apertura di diaframma, e quindi sono poco indicative circa il
rendimento
complessivo dell'obiettivo.
Infine, l'ing. Namias dell'Editrice Progresso, mise a punto
per i test della
rivista "Tutti Fotografi" (a partire dal 1980) un sistema di
misurazioni MTF
medie che prevedeva numerose letture su varie zone del campo, col doppio
orientamento sagittale e tangenziale, poi convertite in un valore medio; questo
tipo di diagramma indica, per ogni apertura di diaframma, gli MTF MEDI
su tutto il campo (da centro a bordi, con i due orientamenti) misurati per
ciascun
diaframma a tutte le frequenze spaziali comprese fra 0 e 100 l/mm; osservando
la curva relativa ad ogni apertura (ad esempio, f/8) era possibile sapere il
trasferimento di contrasto MEDIO sul campo a qualsiasi frequenza spaziale
compresa fra i due intervalli citati (per esempio: 80% a 20 l/mm, 62% a 35 l/mm,
28% ad 80 l/mm). Erano test molto attendibili, forse fin troppo scientifici per
una rivista fotografica di vasta diffusione, il cui principale limite consiste
nel
fatto che non forniscono indicazioni precise sull'uniformità di resa
centro/bordi
a tutte le aperture: in pratica, un'ottica con MTF altissimo in asse e
scadente
ai bordi ed un'altro obiettivo con resa più scarsa al centro ma omogenea
potevano fornire valori medi analoghi.
Queste sono le informazioni minime necessarie per un approccio cosciente alle
famose
curve MTF; congedandomi rinnovo un accorata raccomandazione: utilizzate queste
curve come semplice indicazione di massima e non affidate i vostri acquisti al
loro
"inoppugnabile" verdetto: come ho sottolineato in precedenza, il reale
fingerprint di
un obiettivo lo si può conoscere solamente con l'uso pratico e gli MTF omettono
di
informarci su troppi parametri per restituire un quadro realistico, come
chiunque abbia
utilizzato - ad esempio - uno Zeiss Sonnar 250mm f/5,6 per Hasselblad V può
sicuramente
confermare: i suoi MTF, confrontati con quelli degli altri obiettivi della
gamma, sembrano
francamente deludenti, mentre è un'ottica davvero squisita, con una risolvenza
in asse
eccellente ed una rotondità nei passaggi sui piani di fuoco molto appagante,
un giudizio
largamente positivo che lascerebbe di stucco chi l'avesse valutato solamente
basandosi
sui freddi schemi MTF !
(Marco Cavina)
CONTATTO
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