DUE  TRILOBITI  FOSSILI  DEVONIANI

AI  QUALI  SONO  LEGATO  DA  RAGIONI

AFFETTIVE  CHE  TRASCENDONO  IL

LORO  VALORE  VENALE



(11/03/2013)


In ogni ambito è normale che siano presenti oggetti, elementi o dettagli ai quali siamo legati per specifiche ragioni affettive, non necessariamente connesse ad un corrispondente valore venale; in questo contesto voglio descrivere due resti fossili di trilobiti paleozoici (Devoniano) della mia collezione personale che rientrano perfettamente in questa casistica.

 

Il primo esemplare è rappresentato da una muta del cephalon (il segmento anteriore, assimilabile alla testa) di un piccolo trilobite del genere Proetus, vissuto nel Devoniano inferiore; il fossile, da un estremo all'altro della glabella, misura appena 9,7mm e, a parte la piacevolezza cromatica del sedimento organogeno che lo ingloba, ricco di ossidi, non sarebbe un reperto degno di particolare nota, se non fosse che si tratta di un fossile italiano: l'Italia ha una genesi relativamente recente e sul suo territorio gli orizzonti ascrivibili al paleozoico sono rarissimi: i più famosi sono quelli della catena Canal Grande (nell'Iglesiente Sardo, risalenti addirittura al Cambriano medio), l'altrettanto celebre erratico del Sosio (Permiano), presso Palazzo Adriano (Palermo), e gli strati devoniani del passo di Volaia, nella Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia); questa muta di trilobite proviene proprio da quest'ultimo sito.

Il trilobite italiano è un po' come un'araba fenice, uno dei reperti più ambiti per un paleontologo/collezionista nostrano, e per tale ragione sono molto affezionato a questo apparentemente insignificante campione!

 

 

Il secondo protagonista di questa breve condivisione è un trilobite Phacops Speculator (Alberti) che, negli ultimi istanti di vita, si è istintivamente arrotolato per proteggere le vulnerabili parti molli inferiori, come sovente avveniva; questo trilobite è vissuto 370 milioni di anni fa durante il Devoniano medio (piano Eifeliano) in un'area costiera a bassa profondità, nella zona fotica, in acque tiepide, ossigenate e ben illuminate, come testimoniato dallo sviluppo di ipertrofici occhi composti peduncolati; questo trilobite proviene da basse colline che emergono nel deserto sassoso lungo la carrière che collega Rissani a Mergouga, nell'estremo Sud marocchino; tali colline sono costituite da sedimenti marini che conservano una significativa fauna fossile e questo reperto, a parte l'interessante dettaglio del cephalon internamente mineralizzato da carbonati di calcio, non costituisce una rarità tout-court nè un esemplare particolarmente ben conservato (sono state le intemperie a liberarlo dal sedimento roccioso, lasciandolo poi esposto a lungo al degrado dovuto all'escursione termica, all'irraggiamento solare ed all'erosione causata  dalla sabbia silicea portata dal vento).

Le ragioni per cui sono profondamente legato a questo secondo reperto sono legate al fatto che è stato trovato da mia moglie Rita, molti anni fa (esattamente nel Luglio 1986), quando eravamo solo due ragazzi reciprocamente innamorati; anche le circostanze del ritrovamento sono assolutamente simpatiche: Rita camminava lungo i ghiaioni alla base di queste collinette, durante un viaggio di vacanza-ricerca in Nordafrica, aguzzando lo sguardo nella speranza di individuare fossili già liberati dalla naturale erosione; purtroppo, nonostante lo sforzo, non era ancora riuscita a reperire niente di significativo, quando i detriti smossi sotto la sua scarpa la fecero scivolare e cadere pesantemente a sedere sul declivio; mentre controllava le ammaccature, si accorse che un trilobite arrotolato si trovava praticamente sotto la sua mano, proprio accanto al punto del fortuito incidente.

Ricordo ancora Rita mentre scende correndo il declivio, richiamando a gran voce la mia attenzione e mostrando orgogliosa il trofeo...

 

Questa fotografia, scattata 7 anni dopo, immortala il luogo esatto dove Rita trovò quel trilobite, più o meno nel punto in cui si scorge la piccola figura umana.

 

Il dettaglio mostra il ground nell'area in cui Rita recuperò il "suo" trilobite, assieme ad esemplari di specie analoga raccolti nei paraggi e riuniti a scopo didascalico.

 

Il dettaglio ravvicinato dell'occhio composto di sinistra, ben preservato, mette in evidenza la batteria di ommatidi che, tramite un complesso meccanismo di interpolazione da fonti multiple (stupefacente in una forma di vita così arcaica) garantiva la visione

 

Un crop al 100% dell'immagine precedente consente di apprezzare la perfezione di questi ommatidi e la regolarità del loro posizionamento; il diametro medio di un singolo elemento è di circa 0,46mm, quindi li stiamo visualizzando sul monitor con un ingrandimento di circa 200x - 210x.

 

IL dettaglio del cephalon lesionato evidenzia come il suo interno sia mineralizzato; si notano piccoli cristalli spatici col caratteristico abito assunto di sovente dal carbonato di calcio.

Ora questi due modesti reperti sono esposti nella mia collezione, fianco a fianco ad altri ben più significativi, molti di livello museale, ma è inutile specificare che non potrei separarmi da essi per nessuna ragione al mondo e a nessun prezzo!

Vorrei aggiungere, come sottolineatura al racconto, che sono proprio esperienze esclusive come quella appena narrata, disseminate come briciole di pane nel corso di una vita in comune, a rendere  indissolubile il rapporto fra due persone...

(Marco Cavina)

(testi, foto e reperti di Marco Cavina - foto dei reperti: Canon EOS 5D MkII + Canon EF 65mm f/2,8 MP-E 1x - 5x + flash anulare TTL Canon MR-14EX - foto sul campo: Leitz Elmarit-R 35mm f/2,8 e Nikon AF-Micro-Nikkor 60mm f/2,8 + flash anulare TTL Nikon SB-21B).



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