LA CONQUISTA DELLO SPAZIO:
APPARECCHI FOTOGRAFICI ED OBIETTIVI
UTILIZZATI NELLE MISSIONI SPAZIALI
ABSTRACT
A complete and unprecedented overview on cameras and lenses for space missions,
covering the Mercury-Atlas, Gemini Titan, Apollo-Saturn and Space Shuttle
programs,
plus references about soviet space cameras and special lenses for the Mars
spacecrafts.
15/05/2009
Fin dal sogno del volo di Icaro lo spazio ha sempre affascinato l'uomo, ed una
delle più straordinarie
imprese del XX secolo è stata la sua conquista; il ricongiungimento con le
stelle venne inizialmente
supportato politicamente come potente mezzo di propaganda e di supremazia
strategica e d'immagine
fra Superpotenze ma ben presto si trasformò in un sogno collettivo,
universalmente condiviso ed in
grado di affascinare ed infiammare gli animi di tutto il mondo, a prescindere
dalla bandiera.
Non va purtroppo passato sotto silenzio che le infide fondamenta del programma
spaziale russo ed
americano ebbero i natali dalla superiore tecnologia missilistica dei Dritten
Reich: il colpo grosso fu
messo a segno dagli Yankee della Operation Paperclip quando
"arruolarono" Wernher Von Braun,
padre delle celebri V-1 e V-2 che seminarono il terrore su Londra e che
all'epoca aveva già nel cassetto
altri "Versuche" ben più avanzati, fino all'avveniristico V-9, un
vettore tri-stadio in grado di portare
nello spazio profondo circa 1.000 kg di materiale, in pratica già un vettore
Apollo-Saturn V in scala
ridotta.... Von Braun, ferito ad un braccio e spaventato dalla selvaggia caccia
all'uomo di quei giorni,
accolse gli Americani come salvatori e fu lieto di collaborare di buon grado,
"riciclandosi" ad una nuova
vita negli States... Dal canto loro, i nuovi "committenti"
apprezzarono molto il suo geniale impulso al
neonato programma spaziale USA e ricambiarono il nazi sbiancando il suo
discutibile passato con la
candeggina e portandolo nel tempo all' "onore degli altari", prima
mettendolo al comando dell'Army's
Rocket Development Team and Facilities di Huntsville e successivamente
promuovendolo addirittura
direttore del prestigiosissimo NASA Marshall Space Flight Center !! Naturalmente
gli americani non
pubblicizzarono troppo l'imbarazzante verità che si celava dietro al loro
rutilante ed efficace programma
spaziale, ma pare che in occasione dei lanci la relativa sala controllo
pullulasse di tecnici di origine tedesca,
e lo stesso Von Braun è stato regolarmente immortalato mentre assisteva dalla
plancia di comando....
Wernher Von Braun e Walter Schirra
(astronauta pioniere dei voli spaziali americani che esordì
sul Mercury-Atlas 8 nell'Ottobre 1962) si stringono la mano come vecchi
amiconi...
(picture by NASA)
Von Braun assieme all'astronauta Gordon
Cooper Jr., in volo sul Mercury-Atlas 9 nel Maggio 1963
(picture by NASA)
Von Braun fu in realtà doppiamente fortunato: non solo scampò al giusto
giudizio ma fu uno dei pochi
scienziati nazi che furono in grado di portare alle estreme conseguenze il
frutto degli studi iniziati ai tempi
del Reich, potendo contare in entrambi i casi su appoggi tecnici ed economici
illimitati; altri suoi colleghi,
anch'essi inquadrati nell'Operation Paperclip fornirono contributi altrettanto
preziosi nel campo dei carburanti
speciali per vettori, sia liquidi che solidi, uno dei settori in cui la
tecnologia nazista era più avanzata.
Dal canto loro, i sovietici si erano premuniti per tempo, infiltrando dalla
Lituania squadre di incursori che con
un audace colpo di mano riuscirono a sequestrare alcuni tecnici chiave del
programma missilistico tedesco
direttamente dalla base di Peenemunde, sul mar Baltico, già alcuni anni prima
della fine del conflitto; questi
tecnici, trasferiti in Unione Sovietica, furono "convinti" a
collaborare e le loro conoscenze furono alla base del
primo programma spaziale sovietico e dei relativi vettori Sputnik.
La conquista dei cieli trae dunque linfa dalla svastica, ed è
davvero inquietante prendere atto di qual rilevante
porzione dell'attuale tecnologia prese vita dalle innovazioni naziste e di come
i relativi Governi ne abbiano tratto
giovamento senza la benchè minima considerazione di ordine morale!
Benchè inizialmente anticipati dai Sovietici, che furono i
primi a mandare nello spazio un vettore, un animale (la
cagnetta Laika) ed un uomo (il celeberrimo Juri Gagarin), i responsabili del
neonato programma spaziale americano
non si demoralizzarono, forti delle rassicurazioni dei loro analisti che
puntualizzavano come la tecnologia "nemica"
non fosse in grado di portare l'uomo sulla Luna, un progetto ambizioso cui essi
invece tendevano; il lento avvicinamento
alla Luna, rapidamente accelerato dopo un celebre discorso del Presidente John
F. Kennedy ed il successivo allargamento
del budget, si articolò sui programmi Mercury-Atlas, Gemini-Titan ed
Apollo-Saturn; dopo la vittoriosa conquista del
nostro satellite videro la luce i programmi Skylab e Space-Shuttle, con
occasionali collaborazioni e rendez-vouz con la
controparte sovietica, ormai rassegnata al ruolo di comprimaria dopo l'exploit
dell'Apollo XI.
Curiosamente, nelle fasi iniziali di questi programmi la necessità di dotare la
navicella di attrezzature fotografiche per
riprese esterne attraverso le finestrature non fu considerata assolutamente
prioritaria: i primi due vettori lanciati dagli
USA (Mercury-1 del 29 Luglio 1960 e Mercury-1A del 20 Dicembre 1960) non avevano
equipaggio a bordo ma
solamente sensori necessari per monitorare la sussistenza delle condizioni
fisiche sufficienti alla sopravvivenza umana,
e gli unici apparecchi fotografici a bordo erano speciali cineprese Milliken
DBM-4 e DBM-7, il cui compito era
semplicemente quello di filmare i quadri degli strumenti per monitorare a
posteriori i valori indicati; il terzo lancio della
serie, il Mercury-2 del 31 Gennaio 1961, seguiva l'esempio sovietico della
celebre cagnetta Laika, e all'interno dello
spartano ed angusto abitacolo trovò posto lo scimpanzè Ham, scelto per le
analogie biomorfologiche con l'uomo, e
per l'occasione fu aggiunta una cinepresa Milliken DBM-8 "pilot observer"
per monitorare il comportamento dell'animale;
sul Mercury-1A e Mercury-2 era montata anche una speciale cinepresa di
documentazione Maurer 220-G "Earth and
sky" che riprendeva staticamente, senza alcun controllo sulle inquadrature.
L'astronauta Walter Schirra in una foto ufficiale davanti al
modellino della capsula Mercury; Schirra era
un appassionato fotoamatore ed affezionato utente Hasselblad, e fu proprio lui,
dopo le prime esperienze
fotografiche non entusiasmanti, a suggerire ai tecnici di Houston di adottare
un'Hasselblad 500C come
apparecchio brandeggiabile a bordo, avviando l'inimitabile saga spaziale degli
apparecchi made in Goteborg.
(picture by NASA)
Dopo altri due lanci privi di equipaggio umano (Mercury-Atlas-2 e
Mercury-Atlas-3, ad inizio del 1961)
gli Americani decisero che ci fossero le condizioni per lanciare una capsula
Mercury con un astronauta
umano a bordo, forse scottati dal primato appena andato ad appannaggio sovietico
dopo il trionfale volo
di Juri Gagarin; in realtà si vocifera che oltre cortina non avessero gli
stessi scrupoli, ed anzichè ripetere
lanci senza equipaggio per i relativi controlli strumentali di sicurezza pare
che abbiano spedito in orbita
alcuni "volontari", poi rientrati senza vita... Gagarin non sarebbe
dunque "il primo" uomo ad aver orbitato
nello spazio, ma semplicemente il primo ad essere rientrato VIVO per
raccontarlo.
I primi due lanci con a bordo astronauti (Shepard e Grissom) non prevedevano
apparecchi fotografici a
bordo, perchè le missioni erano molto brevi e coprivano appena tre orbite, la
prima delle quali serviva
al pilota per ambientarsi e per i controlli strumentali e buona parte della
terza per predisporre il rientro:
restavano appena 90 minuti per effettuare le rilevazioni e gli esperimenti
previsti, e l'astronauta non aveva
il tempo matematico per dedicarsi alla fotografia, considerando anche l'angusto
e claustrofobico abitacolo:
fu solamente con la missione Mercury-Atlas-6 del 20 Febbraio 1962, con a bordo
il cosmonauta John
Glenn, che la NASA decise di aggiungere all'essenziale equipaggiamento di boro
un apparecchio fotografico
utilizzabile direttamente dal pilota per istantanee a mano libera attraverso
l'oblò di bordo; considerando la
ridotta mobilità causata dalla tuta spaziale e dagli spazi ristretti nonchè le
oggettive difficoltà aggiunte dai
grossi guanti spaziali, si decise che l'apparecchio doveva funzionare con il
minimo delle regolazioni esterne
e che sarebbe stato modificato per migliorare il brandeggio e l'azionamento dei
comandi da parte del pilota.
La scelta cadde su un apparecchio 35mm compatto e dotato di
otturatore centrale con esposizione automatica
pilotata dalla cellula al Selenio esterna, ovvero la Ansco Anscoset-35; in
realtà quest'apparecchio era una
Minolta Uniomat "rebranded" come Ansco, l'importatore americano: fu
scelto di utilizzare l'apparecchio con
questa denominazione perchè avrebbe sicuramente leso l'orgoglio nazionale se
fosse stato palese che il primo
apparecchio fotografico utilizzato per riprese dallo spazio fosse di fabbricazione
giapponese e non "made in USA";
questo ovviamente ha privato la Minolta della giusta gloria, anche se,
maliziosamente, il costruttore nipponico
aveva lasciato in bella vista l'inequivocabile denominazione "Rokkor"
sull'anello frontale dell'obiettivo! La scelta
di questo modello è dovuta ai forti legami fra la Ansco ed il Governo, ed anche
successivamente, nell'era Apollo,
questo brand (con la nuova denominazione GAF) era consulente e fornitore
ufficiale; curiosamente, l'ombra della
Germania si allunga anche in questo caso: le originali aziende E. & H.T.
Antony Co. e Scovill & Adams Co. si
fusero nel 1902, adottando nel 1907 l'acronimo ANSCO; nel 1928 quest'azienda,
specializzata in colori all'Anilina,
si fonde con la divisione americana della AGFA tedesca, divenendo la Agfa-ANSCO;
nel 1939, dopo il manifestarsi
degli obiettivi nazi, la denominazione Agfa fu opportunamente accantonata e la
ragione sociale passò a General
Aniline & Film Corporation, cambiato ancora nel 1943 in ANSCO Division of
General Aniline; infine, nel 1967, la
ragione sociale passa definitivamente a GAF; la stretta relazione col Governo
è sottolineata anche dall'adozione di
pellicole Super Anscochrome color 160 ASA per la Mercury-8 e Ultraspeed
Anscochrome color FPC 289 per la
Mercury-9.
La Ansco Anscoset-35 / Minolta Uniomat era dotata di
otturatore centrale Citizen ed obiettivo Minolta Rokkor
45mm f/2,8 con schema Tessar a quattro lenti, in grado di fornire buoni
risultati; la versione NASA utilizzata per la
prima volta da John Glenn sulla Mercury-6 il 20 Febbraio 1962 venne pesantemente
modificata per consentire
l'impiego con una sola mano ed i pesanti guanti spaziali: al tettuccio
dell'apparecchio venne applicata una piastra
supplementare dotata di impugnatura a pistola, il cui grilletto azionava
direttamente il pulsante di scatto; in questo
modo la fotocamera veniva utilizzata sottosopra, e vista l'impossibilità di
sfruttare il mirino standard con il casco
spaziale fu aggiunto un semplice mirino a traguardo nella parte superiore,
fissato all'attacco per il cavalletto; grazie
all'esposizione automatica programmata dell'otturatore Citizen a controllo
elettronico (comandata dalla stessa tensione
prodotta dalle celle al Selenio dell'esposimetro) l'operatore era esentato da
qualsiasi regolazione ed il suo compito
si limitava all'azionamento dello scatto premendo grilletto e all'avanzamento
del film ruotando col pollice della stessa
mano l'apposita leva, per l'occasione spostata sopra al carter dell'apparecchio
(nel modello di serie essa scorre fra
il carter ed il rivestimento centrale in vulcanite).
(picture by NASA)
Le foto riportate da John Glenn, nonostante egli fosse già un abile fotoamatore
(è celebre un'immagine del 1966 che
lo ritrae ospite di Victor Hasselblad con una 500C in mano), non erano di
qualità eccelsa, probabilmente per i limiti
intrinseci dell'economico apparecchio utilizzato, tuttavia apparivano
affascinanti ed incoraggianti, perciò si decise di
proseguire sulla via intrapresa; per la missione Mercury-7, messa in atto il 24
Maggio 1962, l'astronauta Carpenter
venne equipaggiato con un apparecchio 35mm tedesco Robot Recorder 35 (lanciato
nel 1955), un modello speciale
per documentazione, privo di mirino, e caratterizzato dall'avanzamento
automatico del film grazie ad un sistema che
sfrutta una molla caricata tramite un grosso pomello zigrinato; l'ottica
in dotazione era uno Schneider, classico
partner degli apparecchi Robot, e la coppia tempo diaframma prefissata era di
1/125" f/11 su negativo a colori 35mm
Eastman Kodak stock n° 5250, lo stesso utilizzato da Glenn con la Anscoset-35
tre mesi prima.
Una interessantissima variante della Robot Recorder-35 fu messa a bordo della
successiva Mercury-9, lanciata il 16
Maggio 1963: la School of Physics dell'università del Minnesota aveva
sponsorizzato un esperimento che prevedeva
il tentativo di fotografare alcuni fenomeni luminosi fuori dall'atmosfera
terrestre in condizioni di scarsissima luminosità,
quali "zodiacal light" e "night airglow"; la NASA, in tutta
fretta, aveva messo a disposizione dell'astronauta Gordon
Cooper una Robot Recorder 24x24mm (modello alternativo alla "35" con
formato 24x36mm) equipaggiata con un
luminosissimo Astro Berlin Tachon 52mm f/0,95, un obiettivo progettato
originariamente già negli anni '30 per uso
cinematografico e reso possibile dalla scelta di progettarlo con un
ridotto spazio retrofocale (compatibile con la
Robot, priva di specchio); curiosamente questo superluminoso fu concesso anche
ai sovietici del GOI di Leningrado,
a metà anni '30, che lo produssero mantenendo addirittura la denominazione
originale.
La Robot Recorder utilizzata da Gordon Cooper sulla Mercury-9
era equipaggiata
con un luminosissimo obiettivo cinematografico Astro Berlin; l'astronauta
eseguì le
riprese previste all'apertura f/0,95 e con tempi di posa compresi fra 1" e
5" su pellicola
negativa Ultraspeed Anscochrome color FPC 289
(camera picture by NASA)
Nel frattempo, la lunga avventura spaziale dell'Hasselblad 6x6 aveva avuto
inizio con la precedente
missione Mercury-Atlas-8; la versione romanzata vuole che Walter Schirra,
comandante designato
per questa missione, trovasse poco entusiasmanti le immagini realizzate nei
primi voli, ed essendo un
fotoamatore evoluto molto soddisfatto della sua Hasselblad 500C suggerisse ai
responsabili della NASA
di adottare questo modello; sempre secondo la leggenda una normalissima 500C di
serie sarebbe stata
acquistata da un ignaro negoziante di Houston, modificandola poi per le esigenze
del volo spaziale.
La Hasselblad 500C utilizzata da Schirra sulla capsula
Mercury-8 venne radicalmente modificata: fu eliminato
lo specchio reflex, i flaps ausiliari, il vetro di messa a fuoco ed il mirino a
pozzetto, rimpiazzato da una spartana
lastrina metallica che sul modello in dotazione riportava alcuni promemoria
sulle sequenze operative; per ridurre
ulteriormente il peso (problema sempre sofferto nelle missioni Mercury per via
del vettore Atlas, non eccessivamente
performante) fu addirittura asolata la leva di avanzamento rapido, un intervento
dal sapore "ciclistico", mentre il
corpo macchina fu privato della vulcanite di rivestimento e rifinito in nero
matt, al fine di prevenire i riflessi; l'ottica
Zeiss planar 2,8/80 non fu modificata mentre l'inquadratura - approssimativa -
era consentita da un piccolo mirino
esterno da inserire in una slitta accessori tipo "hot shoe" applicata
al fianco sinistro. I tecnici della NASA
trovarono insoddisfacente l'autonomia di 12 fotogrammi consentita dal magazzino
Hasselblad A12, ed appaltarono
alla ditta Cine Mechanics, sotto contratto con il Governo, la modifica del
dorso per ospitare pellicola 70mm; anche
nella successiva missione Mercury-9, assieme alla speciale Robot Recorder con
ottica f/0,95, Gordon Cooper ebbe
a disposizione un'Hasselblad analoga con Planar 2,8/80 per le sue 22 orbite
attorno alla Terra, ed in entrambi i casi
le immagini riportate furono di qualità molto superiore a quelle consentite
dagli apparecchi precedentemente adottati,
convincendo i tecnici di Houston a scegliere l'Hasselblad come partner fisso.
Per chiudere il capitolo Mercury-Atlas, nel corso delle missioni Mercury 8 e 9
l'Hasselblad 500C fu utilizzata per i
primi esperimenti di fotografia ad infrarossi eseguiti nello spazio; questi
scatti vennero realizzati per conto del
National Weather Satellite Center e miravano ad analizzare la risposta spettrale
di nuvole, acqua e terre dallo spazio.
Per finalizzare queste riprese fu adottato uno speciale filtro infrarosso la cui
concezione è molto originale, dal momento
che trova posto in uno speciale volet per il magazzino, che andava inserito
durante le riprese: il volet/filtro era suddiviso
in tre settori paralleli, ciascuno dei quali copriva la trasmissione di uno
spettro sempre più ridotto: 660-900nm il primo,
730-900nm il secondo ed 800-900nm il terzo; in questo modo era possibile
monitorare il soggetto con tre bande
diverse per ogni scatto eseguito.
La successiva fase delle missioni spaziali americane,
inquadrata nella finestra temporale compresa fra il 18 Aprile
1964 ed il 15 Novembre 1966, è scandita dai lanci della capsula Gemini col
relativo razzo vettore Titan, più
grande e performante del precedente Atlas; la caratteristica principale della
capsula Gemini (da cui il mone) consiste
nel fatto che l'abitacolo, sempre angusto al limite della claustrofobia,
accoglie due astronauti affiancati.
Lo spettacolare decollo del vettore Titan con la capsula
Gemini 4, il 3 Giugno 1965,
con a bordo gli astronauti Edward H. White e James A. McDivitt; a Ed White
spetterà
l'onore della prima "passeggiata" extraveicolare nella storia delle
imprese spaziali.
(picture by NASA)
IL decollo del Gemini-Titan 11 - 12 Settembre 1966
(Picture by NASA)
Seguendo lo schema già adottato con la serie Mercury-Atlas, anche per il
programma Gemini-Titan
si preferì effettuare alcuni voli senza equipaggio per monitorare tutti i
parametri e garantire la necessaria
sicurezza ai futuri astronauti; il primo lancio con equipaggio umano (gli
astronauti Virgil Grissom e John
Joung) avvenne il 23 Marzo 1965 con la missione Gemini 3.
Tutti gli equipaggi delle missioni Gemini 3 - 4- 5 - 6 - 7- 8- 9 - 10 - 11 - 12
furono dotati di apparecchi
fotografici Hasselblad 6x6; in particolare, le missioni da Gemini 3 a Gemini 8
comprese poterono contare
su un corpo 500C modificato ed analogo a quello inaugurato da Schirra sulla
Mercury 8, mentre la grande
novità fu introdotta a partire dalla Gemini 9 del 3 giugno 1966, quando fece il
suo esordio la celebre SWC
supergrandangolare dotata del correttissimo Zeiss Biogon 4,5/38, accreditato di
ottima risoluzione e distorsione
estremamente ridotta, che abbinate all'angolo di campo di ben 90° la rendevano
ideale per riprese nell'angusto
abitacolo ma soprattutto per inquadrature di ampio respiro sulla superficie
terrestre.
Una Hasselblad SWC con mirino semplificato come quella che esordì sulla Gemini
9
assieme ad uno Zeiss Biogon 4,5/38 NASA utilizzato in seguito e dotato di prese
di
forza supplementari per agevolare l'impiego con i guanti spaziali.
(pictures by NASA and Westlicht Photographica Auction)
Sulla capsula Gemini 9 vennero utilizzati sia il modello 500C con Zeiss Planar
2,8/80 sia la SWC, mentre
nelle successive missioni Gemini 10, 11 e 12 fu impiegata esclusivamente la
piccola Super-Wide, balzata
agli onori della cronaca internazionale per l'incidente occorso all'astronauta
Michael Collins nel Giugno
1966 mentre si trovava all'esterno della sua navetta Gemini 10 e fluttuava nel
vuoto scattando fotografie:
la Hasselblad SWC gli sfuggì di mano, si allontanò e finì in orbita... Victor
Hasselblad commentò l'evento
con humour tutto suo: "l'ancoraggio della fotocamera non era di nostra
produzione" !
Mosso a parte, ecco il potenziale dell'SWC da 90° di angolo
di campo: l'astronauta Eugene Cernan, visibilmente
provato per lo stress della missione, immortalato dal compagno d'avventura Thomas
Stafford dal suo posto di
pilotaggio; la distanza fra i due? vediamo l'immagine successiva...
(picture by NASA)
Gli astronauti David Scott e Neil Armstrong sorridenti dopo lo spash-down della
loro Gemini 8
(16 Marzo 1966); osservate l'abitacolo, claustrofobico alla follia, e potrete
valutare la distanza
di ripresa dell'immagine precedente ed il relativo angolo di campo; consideriamo
anche che
l'astronauta non ha potuto arretrare al massimo l'apparecchio ma ha dovuto
inserirlo nel piccolo
pozzetto che divide i due piloti, praticamente a 50cm dal soggetto..
(picture by NASA)
La navetta Gemini 7 ripresa da Walter Schirra a bordo della
Gemini 6 con Hasselblad 500C e Zeiss Planar
2,8/80 nel Dicembre 1965; sullo sfondo la Terra ed i suoi sconfinati oceani.
(picture by NASA)
Un altro grande nome del mercato fotografico legato all'avventura Gemini è la
Zeiss-Ikon: per la missione
Gemini 4 venne pianificata la prima uscita di un astronauta nello spazio
esterno, onore riservato ad Edward
White, ed i tecnici dovettero approntare un'attrezzatura specifica e molto
particolare per consentire all'astronauta
di portare a termine il compito; a tale proposito venne realizzato un sistema di
propulsione brandeggiabile costituito
da un telaio metallico leggero con bombole di propellente, e fu deciso di
applicare alla sua sommità anche un piccolo
apparecchio fotografico per pellicola 35mm; la scelta finale cadde sul modello
Zeiss Ikon Contarex Special, una
reflex 35mm monobiettivo con mirini intercambiabili e priva di esposimetro; come
ottica venne scelto il classico
obiettivo standard Contarex, l'eccellente Zeiss Planar 2/50.
Gemini 4, Giugno 1965: l'astronauta Edward White ripreso dal collega James
McDivitt
durante la prima esperienza extraveicolare nella storia delle missioni spaziali;
questa immagine
è stata ripresa con Hasselblad 500C e Zeiss Planar 2,8/80 e mostra chiaramente
come sul
dispositivo di propulsione fosse montata una Contarex Special cromata e priva di
mirino.
L'obiettivo è uno Zeiss Planar 2/50 mentre i manettini inferiori che permettono
lo sblocco del
dorso e del riavvolgimento pellicola sono stati modificati e sovradimensionati
per facilitare
l'attuazione con i guanti; fa un po' senso visualizzare le classiche e datate
forme che si rifanno
alla vecchia cassa Contax in un contesto così high-tech...
(picture by NASA)
Immagine ripresa nello stesso contesto che evidenzia nuovamente la Contarex
Special;
la macchina era priva di mirino e probabilmente era stata applicata una piastra
superiore
a tenuta di luce.
(picture by NASA)
Edward White con la Contarex Special ripreso dal portellone aperto della Gemini
4;
lo sfondo è assolutamente mozzafiato!
Edward White e James McDivitt all'interno della Gemini 4; questa immagine, come
la
precedente, è stata ripresa con un obiettivo fortemente grandangolare, ma
l'apparecchiatura
ufficialmente a bordo della Gemini 4 e brandeggiabile dai cosmonauti comprendeva
solo
l'Hasselblad 500C col Planar 2,8/80 e la Contarex Special col Planar 2/50...
la Contarex Special "civile" sullo sfondo delle sue
"blue prints" originali; notare il mirino a
pozzetto, intercambiabile con uno a pentaprisma; l'esposimetro è assente e
l'ottica con la
quale veniva preferibilmente fornita è quello illustrato, uno Zeiss Tessar
2,8/50.
(picture by Hans Juergen Kuc)
La cassa rarefatta ed essenziale della Contarex Special, in
pratica una Contax II con specchio reflex;
questa configurazione, senza mirino, è la stessa utilizzata sulla Gemini 4.
Lo Zeiss Planar 2/50, classico obiettivo standard Contarex, utilizzato
anche sulla Special di Edward White.
Lo schema ottico dell'eccellente Planar Contarex utilizzato
per l'attività
extraveicolare della Gemini 4.
Una Contarex Special NASA messa all'asta da Christie's negli anni '90; notare i
manettini interiori
sovradimensionati per l'uso con i guanti, mentre il maggioratore allo scatto non
appare nelle immagini
spaziali originali; la calotta superiore presenta la dicitura VK - 102 (NASA) ed
un riferimento alla
missione Gemini 4, tuttavia la presenza del rivestimento esterno e del mirino
(escluso dalla dotazione
ufficiale) la palesano come decisamente differente dal modello originale
utilizzato sulla Gemini 4; anche
l'ottica Planar, cromata, non corrisponde
all'iconografia ufficiale.
(2 pictures by Christie's)
Questa scheda riassume gli apparecchi utilizzati nelle prime missioni USA, anche
se le indicazioni relative
alle fotocamere brandeggiabili dagli astronauti (Ansco, Robot ed Hasselblad)
appaiono non corrette.
(sheet by NASA)
Una citazione a parte è dovuta al marchio Schneider di Bad Kreuznach,
produttore di famosi obiettivi per il medio e
grande formato, per la stampa e per il cinema, a torto considerato un eterno
secondo all'ombra del faro Zeiss; a metà
degli anni '60 anche la Schneider contribuì al programma spaziale americano,
fornendo un'ottica Xenotar 80mm f/2,8 per
il sistema di ripresa automatizzato della sonda lunare "Lunar Orbiter"
lanciata nel 1966 ed alcuni obiettivi cinematografici
per una speciale cinepresa in dotazione alle missioni Apollo VII ed Apollo VIII,
appunto equipaggiata da obiettivi
Schneider Cine-Xenon 25mm f/1,4 e Cine-Tele-Xenar 100mm f/2,8 e 200mm f/5,5 in
speciale esecuzione; ecco
alcuni advertising ufficiali d'epoca che sottolineano giustamente la prestigiosa
collaborazione.
Un documento ufficiale Schneider con un'immagine spaziale
scattata nel
1966 dalla sonda Lunar Orbiter grazie ad un obiettivo Xenotar 80mm f/2,8.
Questa pagina di una brochure Schneider sottolinea l'adozione
di obiettivi
Cine-Zenon e Cine-Tele-Xenar per una speciale cinepresa imbarcata sulle
missioni Apollo VII ed Apollo VIII
credits: Schneider Kreuznach
Intorno al 1966 la NASA fu molto interessata ad obiettivi estremamente luminosi
per riprese nello spazio in condizione
di luce scarsa o per documentare la faccia nascosta della Luna; in realtà va
sottolineato che molto dell'epos romantico
legato a questa visione idealizzata di ottiche luminosissime come indispensabili
strumenti per documentazione cartografica
corrisponde ad una percezione non corretta: la mappatura metrica e cartografica
vera e propria veniva svolta da specifici
apparecchi programmati per riprendere a scansione la superficie pezzo per pezzo,
con abbondante overlap fra uno e l'altro,
ottenendo così un mosaico di fotogrammi ad alta risoluzione (fino a 135 l/mm) e
che richiedevano un lungo ed estenuante
lavoro di stitching, mentre gli apparecchi a mano venivano utilizzati per
impiego generale; questo non toglie che, in quel
periodo, la NASA abbia messo in inventario alcune chicche destinate alla ripresa
in condizioni di luce estremamente ridotta,
due delle quali sono rappresentate da obiettivi Zeiss, celeberrimo il
primo e quasi sconosciuto il secondo...
I due obiettivi Zeiss acquisiti nel 1966: il primo è il
mitico Zeiss Planar 0,7/50, realizzato in
in 10 esemplari su ordinazione della stessa NASA (non tutti ritirati) e
successivamente impiegato
da Stanley Kubrick per gli interni di "Barry Lyndon"; il secondo è
uno specialissimo Zeiss UV-Planar
2/50 dedicato alla ripresa in luce ultravioletta ed anch'esso caratterizzato da una
luminosità molto elevata
per la sua categoria; entrambe le ottiche condividono caratteristiche come
l'ottimizzazione per infinito,
l'angolo di campo di 30° e la copertura da 27mm di diametro cui corrisponde un
formato cinematografico
da 18x24mm: è quindi possibile che la NASA li avesse fatti suoi per utilizzarli
in tamdem, in luce scarsa,
per un monitoraggio esteso ad un ampio range spettrale.
Un altro obiettivo superluminoso fornito alla NASA in quel
periodo è l'altrettanto blasonato Leitz Noctilux-M
50mm f/1,2, progettato dal Dr. Marx e messo in commercio nel 1966; nello stesso
anno la NASA si dotò di
un corpo macchina Leica dotato di Noctilux-M 50mm f/1,2 con matricola 2.176.795
(anno 1966); il corpo
macchina viene a mio avviso erroneamente indicato come Leica M4, mentre ritengo
che si trattasse di un corpo
MDa (anch'esso lanciato nel 1966): infatti, il corpo non presenta nè autoscatto
nè levetta di selezione delle
cornici di formato ed esibisce il classico carter MD - MDa privo di aperture.
Il corpo si presenta pesantemente modificato per adattarlo
all'uso con i guanti spaziali: al pulsante di scatto
è stato applicato un "soft-release", al manettino di riavvogimento è
stato aggiunto un grosso pomello godronato
ed estremamente sporgente, alla ghiera dei tempi è stata applicata una
"protesi" rialzata con la scala dei valori
replicata sia superiormente che di profilo, fissata con una lunghissima vite al
filetto utilizzato dalla ghiera originale;
è anche presente una manetta sovradimensionata per lo sblocco del
riavvolgimento film ed una prolunga metallica
per il manettino di sblocco del fondello. Il carter superiore MDa è privo di
mirini e telemetri (inutili o inutilizzabili
nell'impiego spaziale) e presenta l'applicazione di una piastra ausiliaria
dotata di slitta standard per l'eventuale
adozione di un mirino sportivo più idoneo al casco spaziale; probabilmente
il dorso posteriore ribaltabile è
stato modificato inserendo un dispositivo per la sovrimpressione dati, come
suggerirebbe anche la grossa spina
applicata dove di solito è presente l'oculare del mirino (formalmente inutile
in un apparecchio meccanico); infine,
l'ottica Noctilux-M asferica è stata modificata con l'applicazione di tre prese
di forza per l'utilizzo con i guanti:
la prima comanda il diaframma, la seconda la messa a fuoco e la terza, alla base
dell'obiettivo, permette di
smontarlo più agevolmente.
(2 pictures by Christie's)
(picture by NASA)
La terza e più celebre fase nella storia delle avventure spaziali USA è quella relativa alle missioni Apollo: fra
l'11 Ottobre 1968 ed il 19 Dicembre 1972 si alternarono 11 missioni Apollo con
equipaggio umano, la
prima delle quali comandate da Walter Schirra, veterano delle missioni Mercury;
le missioni Apollo erano
spinte dal più grande vettore mai realizzato, un razzo che riassumeva gli studi
condotti da Wernher Von
Braun negli ultimi 30anni, il Saturn V, e sono passate alla storia perchè nel
corso della missione Apollo XI,
il 21 Luglio 1969, davanti alla popolazione mondiale incredula ed emozionata
l'astronauta Neil Armstrong
posò per la prima volta un piede umano sulla superficie lunare.
L'ambizioso progetto Apollo non si limitava alla colonizzazione della Luna ma
prevedeva una marea di esperimenti
scientifici, molti dei quali su base fotografica, nonchè un'ancor più accurata
mappatura e documentazione cartografica
della Terra e del suo satellite; il rapporto con Victor Hasselblad era ormai
consolidato e venne deciso di appaltare
al costruttore svedese la realizzazione degli apparecchi utilizzati direttamente
dagli astronauti, un impegno certamente
gravoso perchè le condizioni di esercizio previste per le missioni Apollo erano
sicuramente molto gravose e difficili
da assicurare con la massima garanzia di affidabilità; ecco un estratto
eloquente...
(data by NASA)
A parte i 600 rads di radiazione portata dal vento solare, in
grado eventualmente di pre-velare le emulsioni,
il parametro più impressionante è sicuramente la previsione di escursioni
termiche fra i -186°C ed i +114°C:
una doccia scozzese sicuramente micidiale per un apparecchio dotato di parti
motorizzate con componenti
elettrici e batterie di alimentazione!
L'anno 1968 fu cruciale per l'aggiornamento del corredo Hasselblad per NASA e
vide la fornitura di due
speciali apparecchi: una particolare versione dell'Hasselblad SWC (denominata
Lunar Surface Hasselblad
Super Wide Camera) ed un'altrettanto specifica versione della recente Hasselblad
500EL con avanzamento
motorizzato, cioè il modello Hasselblad Electric Camera (HEC nello slang NASA).
L'Hasselblad SWC, già apprezzata nelle missioni Gemini, venne
modificata appositamente per l'uso
spaziale seguendo i suggerimenti degli astronauti che l'avevano utilizzata; la
SWC "Lunar Surface
Camera" venne concepita anche per lo sbarco sulla superficie lunare, e si
caratterizzava per un grosso
mirino sportivo a crociera con centratore replicato sull'obiettivo, filtro
polarizzatore orientabile con un
apposito manettino, prese di forza aggiuntive per tempi, diaframmi e messa a
fuoco, pulsante di scatto
e manovella di avanzamento sovradimensionati, sgancio del dorso con sicurezza e
magazzino pellicola
70/200 per 200 fotogrammi su pellicola 70mm a spessore sottile; furono
realizzati 25 esemplari di
Lunar Surface SWC ma nessuna di essi scese fisicamente sulla Luna, arrivando
comunque all'interno
del LM di Apollo XI appoggiato nel Mare Tranquillitatis....
L'altro apparecchio fornito alla NASA nel 1968 fu la
Hasselblad HEC (Hasselblad Electric Camera),
derivata dall'innovativa 500EL dotata di soletta supplementare con il motore e
le batterie di alimentazione
che garantiscono il riarmo dell'otturatore e l'avanzamento della pellicola in
automatico dopo ogni esposizione;
la HEC differisce dal modello di serie per l'eliminazione del rivestimento,
sostituito da lamierini metallici rifiniti
in nero opaco ed avvitati; sono stati eliminati anche lo specchio reflex, i
relativi flaps ausiliari, il vetro di messa
a fuoco ed il mirino, e l'apparecchio risulta coperto da un carter
metallico avvitato; sono stati eliminati anche
i controlli per l'avanzamento singolo, continuo e l'alzo manuale dello specchio
solitamente raccolti nel bottone
circolare posto sul lato destro, anch'esso coperto da un carter metallico,
mentre il dispositivo per l'apertura
del vano batterie è stato replicato da quello del classico magazzino Hasselblad.
L'elemento più famoso e
distintivo di questi apparecchi, poi replicato anche nei modelli di serie, è la
celebre piastra rettangolare che
sostituisce il piccolo bottone di scatto (qui realizzata tutto in metallo e non
in plastica, vietata dai protocolli
NASA); il magazzino dell'esemplare illustrato reca la dicitura Lunar Surface
Super Wide Camera, e
probabilmente era stato originariamente fornito con una delle SWC illustrate
nella foto precedente; l'obiettivo
Zeiss Planar C 2,8/80 è privo dei classici sbalzi godronati ed appare in
finitura liscia e spartana, con prese di
forza sovradimensionate per comandare tempi, diaframmi e messa a fuoco. Il volet
del magazzino spaziale
presenta una vistosissima maniglia sovradimensionata, anch'essa necessaria con i
pesanti guanti degli
astronauti; pare che siano stati allestiti 29 esemplari in questa
configurazione, rifinita in grigio scuro opaco.
(6 pictures by westlicht Photographica Auction)
Un Carl Zeiss Planar C 2,8/80 in esecuzione NASA, con finitura grigio scuro matt,
barilotto liscio
e prese di forza aggiuntive; curiosamente, è stato mantenuto il contatto
synchro PC per il flash...
(picture by Westlicht Photographica Auction)
Due esemplari di Carl Zeiss Planar C 3,5/100, obiettivo
realizzato sempre nel 1968
appositamente per esigenze cartografica e di reconoissance, assecondando i
suggerimenti
ella NASA; quest'ottica presenta una distorsione estremamente ridotta ed un
potere risolutivo
molto elevato ai diaframmi più aperti, garantendo già ad f/5,6 circa
170 l/mm con un
ottimo contrasto. Questo modello per NASA replica le caratteristiche tecniche
del precedente
80mm, ma è esplicitamente realizzato per prese a lunghissima distanza
(cartografia): infatti, la
ghiera di messa a fuoco è assente, l'ottica è bloccata su infinito ed
ovviamente l'indicatore
mobile per la profondità di campo alle varie aperture di diaframma è presente
solo per l'iperfocale
prossima!
(6 pictures by Westlicht Photographica Auction)
(4 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Altri obiettivi Zeiss destinati alle missioni Apollo ed ai
relativi apparecchi Hasselblad saranno
il Sonnar 5,6/250, il Sonnar 5,6/250 Superachromat ed il Tele-tessar 8/500; le
immagini
illustrano un Sonnar 5,6/250 Superachromat NASA che esibisce una caratteristica
poco
nota ed estremamente interessante: come vedremo in seguito, al modello
Hasselblad HEC
farà seguito nel 1969 il modello HEDC (Hasselblad Electric Data Camera), simile
alla
precedente ma dotata di una piastra reseau in vetro con crocicchi
fotogrammetrici applicata
sul piano focale; questo vetro ha un'ovvia influenza sulla proiezione della
coniugata posteriore,
quindi la posizione di infinito sulla scala dell'obiettivo è sdoppiata: quella
superiore va intesa
per l'uso con la "normale" HEC e quella inferiore, più ravvicinata,
va impiegata in abbinamento
con la HEDC con piastra reseau; naturalmente anche le altre distanze sono
ricalibrate di
conseguenza. L'ottica appare quasi identica al modello C di normale produzione e
riporta i
codici della commessa militare e di serie sulla parte superiore del
cannotto.
Va detto che la focale 250mm è stata estensivamente impiegata durante le
missioni Apollo precedenti
allo sbarco umano per documentare dettagliatamente la superficie lunare, grazie
al suo ingrandimento
3x rispetto al classico Planar 80mm che consentiva di valutare meglio i
dettagli; inizialmente venne
adottato il classico Sonnar 5,6/250 risalente a metà anni '50, ma in
determinate condizioni di esercizio
la sua resa fu considerata insoddisfacente: ecco gli inediti retroscena che
spinsero la NASA a chiedere
esplicitamente alla Zeiss la realizzazione di una versione superacromatica, poi
arrivata nel 1972.
Questo resoconto che fa parte della documentazione fotografica
relativa alla missione Apollo 8
(21-27 Dicembre 1968) e riporta il potere risolutivo misurato sugli obiettivi
Zeiss Planar da 80mm
e 250mm a varie distanze precalibrate, con diaframma tutto aperto e
l'applicazione di filtro rosso
oppure blu (come avviene nelle riprese effettuate durante la missione); il 250mm
veniva utilizzato
sistematicamente a piena apertura (per evitare il mosso), ed in queste
condizioni mentre il Planar
80mm fornisce un potere risolutivo quasi identico con filtro rosso o blu, il
Sonnar 5,6/250mm
presenta una vistosissima differenza, passando da oltre 40 l/mm ad infinito con
filtro blu ad appena
5 l/mm nelle stesse condizioni con filtro rosso, rendendo inaccettabile la resa
dell'immagine.
(sheet by NASA)
(data by NASA)
Il relatore chiude la questione relativa alle immagini
sfuocare riportate dallo spazio e
realizzate col Sonnar 5,6/250 ad f/5,6 col filtro rosso dichiarando che l'ottica
Zeiss presenta
un'acromatizzazione scadente; in realtà chi ha pianificato di impiegare un
teleobiettivo lanciato
a metà anni '50 (e basato su uno schema del 1932) a piena apertura con un
filtro rosso scuro
di ottica non doveva capirne granchè... Queste considerazioni negative spinsero
i responsabili
a fare pressioni sulla stessa Zeiss, che circa quattro anni dopo "lavò
l'onta" presentando il
Sonnar 5,6/250 Superachromat, uno degli obiettivi superacromatici con spettro
secondario
più corretto che siano mai stati realizzati! Alla ricerca delle massime
prestazioni la Zeiss ignorò
persino uno dei suoi principi informatori, cioè l'utilizzo di vetri a bassa
dispersione e non di
materiali cristallini, più fragili e sensibili agli sbalzi termici,
incorporando nel Superachromat una
lente in Fluorite (la seconda); ecco lo schema.
Lo schema del nuovo Sonnar 5,6/250 Superachromat evidenzia la seconda
lente realizzata in Fluorite, materiale solitamente inviso a Zeiss per la sua
dilatazione
termica anomala, paura evidenziata anche in questa occasione (la lente è
spaziata
da ambo i lati, per evitare incollaggi con vetri dotati di dilatazione termica
diversa
che potrebbe causare scollature).
L'eccezionale correzione cromatica ha positive ripercussioni
anche nello spettro visibile,
come confermano gli MTF misurati a tutta apertura sui due Sonnar 5,6/250mm.
(data by Zeiss Oberkochen)
Nell'ambito delle prime missioni, sull'Apollo VII
(11-22/10/68) fu imbarcato un corpo Hasselblad 500C con
Zeiss Planar 2,8/80; sull'Apollo VIII (21-27/12/1968) esordirono due esemplari
dell'Hasselblad HEC con ottiche
Zeiss Planar 2,8/80 e Zeiss Sonnar 5,6/250; sull'Apollo IX (3-13/03/1969)
esordisce la Hasselblad SWC Lunar
Surface Camera con Zeiss Biogon 4,5/38, cui si aggiungono due Hasselblad 500C e
ben quattro Hasselblad HEC;
sull'Apollo X (18-26/05/1969) trovarono posto 2 Hasselblad HEC; in vista del
primo allunaggio umano, previsto
per il 21 Luglio 1969 (Apollo XI), i tecnici della NASA misero a punto un
sistema metrico per la misurazione e la
renderizzazione precisa a partire da immagini fotografiche, un sistema che si
basava su immagini riprese attraverso
una lastra di vetro (detta lastra reseau) posta a contatto della pellicola e
ricoperta da piccole croci opache situate
a distanze prefissate che vengono proiettate ed impresse sul fotogramma durante
l'esposizione; per impiegare con
successo questo metodo è altresì necessario che l'obiettivo utilizzato
presenti una distorsione geometrica trascurabile,
nell'ordine di pochi micron su tutta la diagonale, caratteristica che i pur
ottimi Zeiss Hasselblad di normale produzione
non erano in grado di garantire; vista l'importanza dell'evento imminente, sia
la Hasselblad che la Zeiss con partner
tecnico Deckel (otturatori centrali) si misero alacremente al lavoro.
Per quanto concerne il corpo macchina, la Hasselblad realizzò un corpo analogo
alla precedente HEC, dotandolo
di una piastra reseau concepita dalla Zeiss in sinergia col nuovo obiettivo
metrico che il suo progettista Erhard
Glatzel stava completando; per ridurre lo scambio termico causato dai violenti
sbalzi di temperatura previsti sulla
Luna si abbandonò la finitura antiriflessi grigio matt e si adottò una
speciale copertura argentata in grado di ridurre
gli shock termici dell'apparecchio.
Secondo i registri Hasselblad furono assemblate 50 Hasselblad
HEDC (Hasselblad
Electric Data Camera) dotate di piastra reseau; il loro aspetto esterno, a parte
il tipo di
finitura superficiale, è pressochè identico a quello della precedente HEC;
questo esemplare
DOVREBBE (il condizionale è d'obbligo) essere stato a bordo dell'ultima
missione Apollo,
l'Apollo XVII, mentre lo Zeiss Planar 2,8/80 matricola 4.488.999 fu utilizzato
per la prima
volta sull'Apollo VIII ed è storicamente interessante per un'altra ragione, ma
procediamo
con calma....
(4 pictures by Westlicht Photographica Auction)
La differenza sostanziale fra la precedente HEC e la nuova
HEDC si palesa solamente
sganciando il magazzino: sul piano focale è presente la piastra reseau che la
trasforma
in un apparecchio metrico, mentre sulla soletta del motore è ricordato in modo
perentorio
il divieto assoluto di toccare la lastrina; sul corpo ed il magazzino sono
riportati i consueti
codici PIN e seriale della commessa governativa.
(4 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Un secondo esemplare di HEDC visto da ambo i lati; notare sul fianco del motore
il
cavetto di sicurezza per il tappo nonchè il pullulare su tutte le
superfici di numerose etichette
d'avvertimento "a prova di stupido".... Sul fianco sinistro del corpo
è sempre presente
una slitta standard per l'eventuale applicazione di mirini esterni.
(2 pictures by Westlicht Photographica Auction)
La protezione munita di sicurezza sopra allo sblocco del
magazzino impedisce catastrofici sganci
involontari (poi chi li sente a Terra?....); la grande etichetta che ricorda di
rimuovere il coperchio
posteriore dell'apparecchio prima di inserire il magazzino appare decisamente
pleonastica.
(picture by Westlicht Photographica Auction)
Come avevo anticipato, questo Planar 2,8/80 matricola
4.488.999 costituisce un vero pezzo
da collezione, perchè è stato un obiettivo campione sul quale i tecnici di
missione dell'Apollo VIII
responsabili del settore fotografia hanno effettuato tutte le misurazioni di
standard e calibratura;
nell'inedita scheda che propongo a seguire ho riassunto tutti i relativi dati!
(picture by Westlicht Photographica Auction)
Questa scheda riporta i valori valori standard (misurati su un
Planar 2,8/80 campione) forniti da Zeiss
alla NASA; i parametri sono riferiti ai valori effettivi di focale, luminosità,
trasparenza e distribuzione
spettrale, tempi effettivi di otturazione, MTF medi, vignettatura, area della
pupilla d'ingresso ed aperture
effettive del diaframma, cui fanno seguito gli stessi valori misurati dalla NASA
su due obiettivi dello
stesso tipo (Planar 2,8/80) impiegati per la missione Apollo VIII e
caratterizzati dalla matricola sequenziale
4.488.999 e 4.488.900; come potete vedere, l'ottica 4.488.999 è la stessa
illustrata in precedenza;
incidentalmente, è stato da poco sul mercato anche un Planar NASA con altra
numerazione sequenziale,
ovvero 4.488.901. Al di là dell'eccezionale valore storico di queste
misurazioni, è interessante notare
come i parametri dei due Planar siano leggermente differenti, nonostante si
trattasse di due obiettivi forniti
direttamente alla NASA ed eccezionalmente calibrati... L'ultima sezione dello
schema illustra la trasmissione
spettrale del Planar 2,8/80 collocato nella sua posizione obbligata di ripresa
all'interno del modulo Apollo,
la cui disposizione costringe ad effettuare la ripresa con un angolo di 18° fra
la finestra esterna e l'asse
dell'obiettivo: l'angolo di incidenza è 18° sull'asse ed aumenta a 45° ai
bordi (18° di basculaggio iniziale
più 27° di semiangolo di campo), con una trasmissione media effettiva nello
spettro visibile che va da circa
70% sull'asse a circa 50% ai bordi (con apertura f/11 e vignettatura pressochè
eliminata).
(graphics by NASA)
Storicamente si è sempre creduto che l'unico obiettivo
utilizzato "a mano" sulla superficie lunare sia stato
lo Zeiss Biogon 5,6/60 metrico sul quale approfondiremo in seguito, viceversa
con le ultime missioni Apollo
fu utilizzato anche il Tele-Tessar 8/500 ma sopratutto, proprio nella fatale
missione Apollo XI che vide il
primo sbarco sulla Luna, lo stesso Planar 2,8/80 fu portato ed utilizzato sulla
superficie lunare, come
confermato dagli estratti che seguono.
Questo resoconto descrive i fotogrammi impressionati sulla
superficie lunare dagli
astronauti dell'Apollo XI sul magazzino porta-pellicola "Q" dell'Hasselblad
HEC;
come evidenziato dalla grafica, l'ottica da 80mm ha registrato scene
inequivocabili
come la bandiera americana e la superficie lunare.
(sheet by NASA)
Ulteriore conferma: il magazzino "Q" è stato
impressionato nella "base" (zona di atterraggio)
del LM di Apollo XI nel Mare Tranquillitatis utilizzando sia il classico Biogon
5,6/60mm sia
il Planar 2,8/80; il riferimento specifico alla griglia reseau (presente solo col
60mm Biogon) lascia
pensare che l'informazione tradizionalmente accettata secondo la quale gli
astronauti di Apollo XI
abbiano utilizzato un solo corpo HEDC sulla superficie sia inesatta: infatti,
l'equipaggiamento fotografico
complessivo prevedeva 1 corpo HEDC, 2 corpi Lunar surface SWC ed 1 corpo HEC non
metrico;
probabilmente quest'ultimo, munito di Planar 2,8/80, è stato a sua volta
portato sulla superficie lunare
ed impiegato con lo stesso magazzino intercambiabile "Q"; non
esiste invece alcun riscontro d'uso sulla
superficie per i due corpi SWC col Biogon 4,5/38, nonostante la loro
denominazione "Lunar Surface Camera".
(data by NASA)
Tornando per un attimo alle febbrili ed entusiastiche fasi che precedettero il
lancio di Apollo XI ed il primo sbarco
umano, mentre all'Hasselblad modificavano la HEC in casa Zeiss venne realizzato
in pochi mesi l'obiettivo metrico
specificamente richiesto: la NASA aveva proposto un obiettivo solo moderatamente
grandangolare, ed Erhard
Glatzel derivò dai classici schemi Biogon di Bertele un 60mm f/5,6 dotato di
distorsione eccezionalmente ridotta
e previsto fin dall'origine per lavorare con lastra reseau.
Lo schema meccanico di massima e l'aspetto del Biogon 5,6/60 "civile",
successivamente
commercializzato in abbinamento alla fotocamera metrica MK-70, anch'essa
derivata
dal modello lunare.
(drawing and picture by Zeiss Oberkochen)
Immagini del Biogon 5,6/60 "civile" (in insolito
allestimento con servo EE a priorità di tempi) con relativo
corpo macchina MK-70, strettamente derivato dalla HEDC lunare; potete notare il
notevole ingombro
retrofocale del membro posteriore, che esclude a priori l'impiego reflex; la
versione in libera vendita
disponeva di uno speciale mirino esterno da applicare alla slitta
porta-accessori laterale e marcato
"60" - "MK 70", mentre nella HEDC gli astronauti erano privi
di qualsiasi presidio e dovevano
inquadrare praticamente "alla cieca".
(2 pictures by Westlicht Photographica Auction)
La scheda prestazionale del Biogon 5,6/60 stupisce per i
valori di distorsione:
meno di 2 MICRON su tutta la diagonale, valori eccezionali anche per un
obiettivo metrico!
(sheet by Zeiss Oberkochen)
Nel frattempo, alla Deckel di Monaco di Baviera (azienda
produttrice dell'otturatore centrale
Synchro Compur #0 mod. CS-1210-722 previsto per il Biogon) stavano sperimentando
il
funzionamento nel vuoto assoluto, ed eliminarono i lubrificanti che rischiavano
di evaporare
sulle lenti, riducendo nel contempo le tolleranze standard di calibrazione sui
tempi di otturazione
di 1/60", 1/125" ed 1/250" (prevedibilmente i più sfruttati);
all'inizio del 1969 il pacchetto venne
finalmente assemblato, e la Hasselblad HEDC con piastra reseau e Zeiss Biogon
5,6/60 con
otturatore adattato al vuoto siderale era pronta per immortalare lo storico
evento.
Fu così che in quel fatale 21 Luglio 1969, mentre il bambino
Marco Cavina era a bocca aperta
davanti al televisore, rapito dalla telecronaca di Tito Stagno..... e mentre
"the Boss" Fietcher e
l'immancabile Wernher Von Braun assistevano dalla sala comandi di Houston....
.....il LM dell'Apollo XI stava scendendo sulla superficie del
Mare Tranquillitatis,
mentre "il prescelto" Neil Armstron scattava questa istantanea ad un
Edwin "Buzz"
Aldrin probabilmente arrabbiatissimo perchè l'onore e la conseguente
immortalità
non erano toccati a lui.....chi si ricorda del secondo?....
.... ma dovette rapidamente rinfrancarsi: "Eagle on the
Moon", il LM si era posato
e toccava a lui ingollare il boccone amarissimo e riprendere Neil Armstrong ed
il
suo "grande balzo per l'umanità", documentato con la HEDC ed il
Biogon 5,6/60
sul magazzino "S", come descritto da questo report di missione;
curiosamente, a bordo
dell'Apollo XI era presente un solo corpo HEDC, l'unico in grado di utilizzare
il Biogon
5,6/60 metrico; se durante la discesa di Armstrong dal LM questo corpo veniva
utilizzato
da Collins per immortalarlo, cosa aveva con se Armstrong? E tutta quella storia
dello scivolo,
dei rischi di rottura, della cinghietta aggiunta all'ultimo momento? In
realtà, come suggerito
da Giacomo Boschi (che ringrazio cordialmente), questa scheda presenterebbe un
errore di
compilazione: il Lunar Surface Journal effettivamente descrive una sequenza
diversa, secondo
la quale Buzz Aldrin, dal LEM, avrebbe calato la Hasselblad HEDC nelle mani di
Neil Armstrong,
già sceso sulla superficie del satellite, e le foto indicate nello schema
sarebbero state in realtà
realizzate da Armstrong, immortalando Aldrin nelle fasi di discesa; questa
precisazione conferma
il report secondo il quale non venne scattata alcuna immagine di Armstrong sulla
superficie,
nonostante l'eccezionalità dell'evento storico, in quanto l'apparecchio venne
sempre brandeggiato
ed utilizzato da lui stesso per tutto il tempo trascorso in attività
extraveicolare sul nostro satellite.
(2 pictures and sheet by NASA)
Non va taciuto che queste storiche fasi vennero immortalate da
una telecamera fissa a bordo del LM
e trasmesse in mondovisione; questa telecamera era equipaggiata con un obiettivo
zoom fornito dalla
Pierre Angenieux di St. Heand (Francia), celebre produttore di obiettivi
cinematografici a focale
variabile; purtroppo, al momento, ignoro le caratteristiche tecniche di
quest'ottica.
Ad ogni modo nella storia c'era entrata l'Hasselblad con
questa immagine simbolo,
il "bootprint" di Neil Armstrong sulla superficie lunare.
(picture by NASA)
Nelle missioni successive (dall'Apollo XII del 14 Novembre
1969 all'Apollo XVII del 6 Dicembre 1972)
la Hasselblad HEDC matrica col Biogon 5,6/60 fu sempre l'apparecchio standard;
ecco un astronauta di
Apollo XV sul Lunar Rover vehicle con la classica HEDC in posizione operativa;
notare anche la specifica
cinepresa Maurer DAC con obiettivo 10mm T=1,8.
(picture by NASA)
Una bella immagine di Alan Bean di Apollo XII mentre raccoglie campioni nell'Oceanus
Procellarum
(Novembre 1969); in evidenza la HEDC con Biogon 5,6/60 abbondantemente coperto
di polvere lunare...
Notate il manuale con i protocolli fissato al polso ed il ridicolo moonwatch applicato a metà del braccio
con una lunghissima cinghia!
(picture by NASA)
Un dettaglio della stessa immagine lascia intuire le
regolazioni impostate sul
Biogon 5,6/60: apertura f/11, tempo di posa 1/250" e messa a fuoco a 5
piedi (1,5 metri circa), valori "standard" impiegati nella maggioranza
delle
riprese ravvicinate; l'iconografia ufficiale Hasselblad illustra questo
complesso
con un vistoso filtro polarizzatore con catenella di sicurezza, ma a quanto pare
non venne poi utilizzato dagli astronauti, probabilmente per la difficoltà di
orientarlo
in assenza di visione reflex; peraltro, non è presente nemmeno un mirino
esterno,
confermando il puntamento "alla cieca".
(picture by NASA)
Un'altra bella immagine di Alan Bean (Apollo XII) con la
pistol grip dell'HEDC
in bella evidenza.
(picture by NASA)
Apollo XIV, Febbraio 1971: Alan Shepard al lavoro; sul petto
la HEDC è pronta all'uso, mentre a sinistra notiamo la cinepresa
Maurer DAC 16mm.
(picture by NASA)
David Scott di Apollo 15 saluta la bandiera (Agosto 1971); sul suo petto
si fa notare l'immancabile HEDC col Biogon 5,6/60.
(picture by NASA)
Apollo XVI, Aprile 1972: Charles Duke Jr. preleva campioni di
rocce con la sua HEDC
con Biogon 5,6/60 applicata al relativo sostegno.
(picture by NASA)
Apollo XVII, ultima missione della serie (Dicembre 1972):
l'astronauta e geologo
Harrison Schmitt preleva campioni di terreno lunare portando "al
collo" la HEDC
con Biogon 5,6/60.
(picture by NASA)
Una scheda che descrive in dettaglio l'attrezzatura
fotografica "hand-held"
disponibile per gli astronauti della mitica missione Apollo XI.
(data by NASA)
Nel corso delle ultime missioni Apollo la gamma di immagini
pianificate aumentò e si presentarono
esigenze tecniche più diversificate, così anche il parco di ottiche Zeiss si
rinfoltì; ai classici Biogon
5,6/60, Planar 2,8/80 e Sonnar 5,6/250 si aggiunsero l'UV-Planar 105mm f/4,3, il
Sonnar 5,6/250
Superachromat ed il Tele-Tessar 8/500; Prendendo come esempio la missione
Apollo XV, ecco
le ottiche Zeiss per Hasselblad che si trovavano a bordo del modulo orbitante e
del Lunar Module:
La dotazione del modulo orbitale prevedeva il corpo macchina
"standard" HEC (senza piastra reseau)
ed i seguenti obiettivi: Planar 2,8/80, UV-Sonnar 4,3/105, Sonnar 5,6/250 e
Sonnar 5,6/500; è interessante
notare che questo resoconto rivela come un corpo HEDC con piastra reseau dotato
di Tele-Tessar 8/500
non fosse stato abbandonato sulla superficie lunare (come previsto) ma riportato
indietro, e questo anticipa
e conferma indirettamente che il Tele-Tessar 8/500 è stato il terzo obiettivo
Zeiss Hasselblad ad essere effettivamente
utilizzato sulla Luna, dopo al Biogon 5,6/60 ed al Planar 2,8/80. I corpi
macchina utilizzati sulla Luna andavano
lasciati in loco, previo inserimento del volet e distacco del magazzino di foto
esposte (immaginate i sudori freddi
dell'astronauta responsabile di quest'operazione chiave!); escludendo la HEDC
con 500mm riportata a bordo
(non certo perchè si fossero "innamorati" del cannone, ma
semplicemente perchè il film non era esaurito), i corpi
macchina abbandonati sulla luna furono 12.
(data by NASA)
l'UV-Sonnar 4,3/105, realizzato con lenti in Quarzo e
Fluorite, presenta una
risposta spettrale estesa verso gli ultravioletti, da poco più di 200nm fino
alla
soglia del visibile a 700nm; sul modulo orbitale dell'Apollo fu impiegato per
riprese scientifiche multispettrali.
(picture by Hasselblad AB)
L'attrezzatura predisposta sull'Apollo XV per le attività
sulla superficie
lunare comprendeva (oltre ad una special cinepresa DAC e ad una
telecamera) tre Hasselblad HEDC con ottica Zeiss Biogon 5,6/60 e
Zeiss Tele-Tessar 8/500.
(data by NASA)
Questo schema riassuntivo conferma definitivamente l'impiego
dello Zeiss Tele-Tessar 8/500
sulla superficie lunare, applicato all'apparecchio HEDC siglato "LM1"
(Lunar Module 1);
questi apparecchi metrici non dispongono di visione reflex, pertanto il potente
teleobiettivo
era stato predisposto per una distanza di messa a fuoco di 1 km (in grado di
arrivare in
iperfocale all'infinito) mentre le aperture erano limitate a due soli valori: f/8
(apertura completa)
ed f/11; aperture inferiori avrebbero probabilmente richiesto tempi di
otturazione troppo lenti
ed incompatibili con la lunghezza focale, anche se parte delle immagini sono
state impressionate
su un film ad altissima sensibilità, addirittura 6.000 ASA... L'ottica venne
ovviamente utilizzata
per riprese "paesaggistiche" a lunga distanza, per monitorare dettagli
lontani alla zona di atterraggio
(l'angolo di campo è di circa 9° con ingrandimento di oltre 8x rispetto al
Biogon 60); finora non
si avevano notizie dell'utilizzo diretto del Tele-Tessar 8/500 sulla superficie
lunare, ed amando
molto quest'obiettivo non posso che rallegrarmene.
(sheet by NASA)
Un ulteriore dettaglio con i fotogrammi impressionati sulla superficie
lunare dal team dell'Apollo XV ci informa che furono realizzate 293
fotografie col Tele-Tessar 8/500.
(data by NASA)
Gli obiettivi Zeiss Hasselblad Sonnar 5,6/250 e Tele-Tessar
8/500 in montatura C; gli stessi obiettivi,
con trascurabili modifiche estetiche, furono ampiamente utilizzati dalle
missioni Apollo: il 5,6/250mm
ha "macinato" migliaia di scatti documentando il nostro satellite,
mentre il grosso Tele-Tessar 8/500
è stato addirittura impiegato durante le attività EVA sulla superficie lunare.
Un tipico esempio di immagine "hand-held" scattata
dal modulo Apollo X con l'Hasselblad HEC e lo
Zeiss Sonnar 5,6/250 utilizzato a piena apertura f/5,6; come si può notare, la
sua resa nell'impiego
generico è sicuramente dignitosa, nonostante la caparbia ignoranza dimostrata
nel voler utilizzare a diaframma
spalancato un obiettivo concettualmente risalente ai tempi di Hindenburg;
naturalmente l'utilizzo in banda spettrale
selettiva con filtro rosso scuro pretendendo elevata risoluzione fu una
"cattiveria" veramente eccessiva...
(picture by NASA)
Questo schema riporta l'hardware fotografico utilizzato dalla
successiva
missione Apollo XVI, ed anche in questo caso al classico Planar 2,8/80 si
affianca il Sonnar 5,6/250 ed il Tele-Tessar 8/500; i due teleobiettivi sono
praticamente identici ai modelli di serie, e l'unica modifica consiste
nell'applicazione
di piccole "palette" per facilitare la rotazione delle ghiere con i
guanti; l'accessorio
a sinistra, indicato come V36-752066, è uno speciale supporto utilizzato per
posizionare la HEC con 500mm davanti alla finestra della navetta, e presenta
un dispositivo di aggancio rapido del corpo strettamente derivato dal modello
di serie.
(sheet by NASA)
E' appena il caso di notare che ci stiamo aggirando in un
territorio difficile, fatto di informazioni classificate,
disinformazione pilotata e muri di gomma, ed è senz'altro impossibile per un
povero cristo come me entrare
in possesso di tutte le informazioni relative agli apparecchi speciali
utilizzati durante queste missioni, la cui
esistenza - a volte - non è stata nemmeno citata; ecco due esempi:
Che dire ad esempio della Baker-Nunn camera, nata per il
controllo
dei satelliti ed impiegata a terra per monitorare il volo dell'Apollo VIII ?
Per gli amanti dei superluminosi, si basa su un mostruoso catadiottrico
da 20" (508mm) con luminosità f/1,0 (SIC) ed altre caratteristiche davvero
esoteriche....
(picture and data: NASA)
....oppure di questa mostruosa Lunar Surface Ultraviolet
Camera
nata per la missione Apollo XVI ?
(picture by NASA)
Per l'Apollo XI, la regina delle missioni che portò l'uomo
sulla Luna, era stata
predisposta anche una telecamera brandeggiabile dagli astronauti per effettuare
direttamente riprese video, sia a circuito chiuso (per monitoraggio) sia da
trasmettere
a Terra; ecco le informazioni principali relative al corpo macchina ed ai suoi
obiettivi,
progettati, come vedremo, in modo molto sofisticato per l'epoca al fine di
affrontare
le avverse condizioni fisiche dell'utilizzo sulla superficie del nostro
satellite.
Il corpo base della telecamera in dotazione al LM dell'Apollo
XI venne progettata e costruita
dal Westinghouse Defense and Space Center di Baltimora e presentava uno chassis
esterno
molto semplice e scarno, placcato in Argento e col top ulteriormente rivestito
di materiale bianco
ad alto potere riflettente; l'unico comando esistente era uno switch per
due frame/rate e l'unico
indicatore era un termometro della temperatura che consentiva di prevenire
eccessivi surriscaldamenti;
l'accensione avveniva semplicemente cablando il cavo di alimentazione, a 28
Volts.
(picture by NASA)
diagramma funzionale e struttura del segnale per la telecamera lunare
Westinghouse; quest'apparecchio
ha ripreso le prime gesta dell'uomo sulla Luna e va considerato un benchmark
nella storia della
tecnologia.
(data by NASA)
Gli obiettivi intercambiabili per la telecamera lunare sono
ancora più sofisticati: si tratta di quattro ottiche, fra le
quali un grandangolo da 8mm f/4 T=4,8 da 80° di campo per riprese all'interno
del modulo, due ottiche da
25mm per 35° di campo destinate alla ripresa diurna (Lunar Day, f/4 T=60) e
notturna (Lunar Night, f/1,0 T=1,15)
ed un telebiettivo da 100mm per 9,3° di campo (equivalente ad un 6x rispetto ad
un ottica normale fotografica)
con luminosità f/4 e T= effettivo di 60; la luminosità f/4 del 25mm Lunar Day
e del 100mm sono ridotte ad un T=60
(quasi 8 stop in meno) con filtri ND, probabilmente per adattarsi alla forte
luce presente sulla Luna quando il Sole
la illumina direttamente. Il corpo base è realizzato in Berillio, elemento
estremamente tossico ma molto leggero e
resistente, con dilatazioni termiche compatibili col vetro ottico; lo chassis in
Berillio è stato placcato in Argento a
specchio per ridurre l'assorbimento di calore, un rivestimento a sua volta
passivato contro l'alterazione da un
ulteriore strato di Mercaptan compound organico fornito al costruttore (la
Fairchild camera and Instrument
Corporation) da un altro appaltato governativo, la W. Hagerty & Sons Company
di Chicago; viste le maggiori
dimensioni del tele da 100mm e la superficie esposta, la sua parte superiore è
stata ulteriormente rivestita con la
stessa laccatura semi-morbida isolante già impiegata per il top della
telecamera. Le flange del 100mm, gravate
da un peso superiore, sono realizzate in lega INVAR, mentre quelle degli altri
tre obiettivi in acciaio inossidabile
416; le baionette sono anodizzate con una nitrurazione indurente Martin Hard
Coat proprietaria e lubrificate con
bisolfuro di Molibdeno. Il punto di inserimento viene sigillato ermeticamente da
una guarnizione in materiale
siliconico bianco tipo RTV-112, fornito dal Silicone Product Department della
General Electric Company di
Waterford; 60 giorni prima del volo gli obiettivi venivano riempiti di gas
inerte per scongiurare problemi legati
a funghi, muffe ed umidità.
Le ottiche erano a fuoco fisso e sfruttavano l'iperfocale: il
grandangolare da 80° f/4 - T=4,8 era focheggiato a
1m (40") e la profondità di campo anteriore scendeva fino a 0,5m
(20"); per messa a fuoco, angolo di campo
e luminosità relativa era l'unico indicato per riprese all'interno del modulo;
il 25mm f/4 T=60 Lunar Day era
prefocheggiato a 7m (23') e la PDC si estendeva fino a 3,35m (11'); il valore
sembra ridotto ma occorre
ricordare che l'apertura relativa è f/4, ed il T=60 è ottenuto con filtri ND,
quindi non interferisce con la PDC
che resta quella disponibile ad f/4; il "gemello" Lunar Night da 25mm
f/1,0 T=1,15 è prefocheggiato a circa
22,5m (74') e la PDC si estende fino a 11,25m (37'), anche a causa della grande
apertura relativa; infine,
il tele dal 100mm f/4 T=60 è focheggiato a 87,5m (287') e la sua profondità di
campo scende fino a 43,5m
(143'); le aperture consentono di accoppiare il sensore della telecamera fino a
12.600 Foot/Lamberts per
il 100mm ed il Lunar Day, fino a 90 Foot/Lamberts per il Wide e fra 0,01 ed
appena 5 Foot/Lamberts
per il luminosissimo Lunar Night T=1,15.
Il luminoso Lunar Night 25mm T=1,15 con alcuni accessori come
i tappi e
l'astuccio previsto per il tele da 100mm.
(picture by NASA)
Per il montaggio dell'obiettivo con i pesanti guanti spaziali
fu previsto un sistema a
collare di serraggio simile a quello utilizzato dal sistema Canon FD, con prese
di
forza sovradimensionate e sporgenti per facilitare l'operazione.
(4 pictures by NASA)
Nell'ambito delle missioni Apollo si manifestò nuovamente la necessità di
documentare particolari
effetti luminosi in condizione di luce molto scarsa, preconizzando situazioni
nelle quali la massima apertura
f/2,8 del più luminoso obiettivo in dotazione standard non sarebbe stata
sufficiente; si decise pertanto di
integrare la dotazione di bordo con un apparecchio reflex 35mm che fosse
motorizzabile, azionabile a
distanza e nel cui corredo fosse presente un obiettivo di elevata luminosità;
la scelta del fornitore cadde sulla
giapponese Nippon Kokaku K.K., la celebre Nikon, e la decisione può essere
giustificata con varie
argomentazioni: negli anni '60 il sistema Nikon F era il riferimento nel suo
settore, e la gamma di obiettivi
ed accessori non aveva eguali, permettendo di adattare il corpo alle più
svariate situazioni; inoltre, la cassa
Nikon F presentava caratteristiche di elevata affidabilità, con otturatore in
lamina di Titanio ed assi su
cuscinetti a sfere, che rendevano l'apparecchio moderatamente insensibile a
shock e sbalzi termici, una
predisposizione all'impiego "rude" ampiamente dimostrata in mano ai
primi reporter del Vietnam; infine,
la Nippon Kogaku era stata fin dagli esordi la fornitrice quasi esclusiva dell'Esercito
Imperiale giapponese,
e nei lunghi anni dell' "occupied Japan" il Governo americano
gestì la ricostruzione e la conversione di
queste aziende specializzate, in vista di una partnership tecnica con le Forze
Armate americane; la stessa
Nikon F venne impiegata "a terra" dai reparti USA, come la Nikon F
Photomic FTn con zoom 43-86mm
f/3,5 ribattezzata KS-80-A.
L'equipaggiamento Nikon scelto per le riprese in "dim light"
sull'Apollo comprendeva il corpo Nikon F
Photomic FTn e l'obiettivo Nikkor-S Auto 55mm f/1,2, ovvero il superluminoso di
casa Nikon; un tipico
caso dell'utilizzo fattivo di questo corredo è relativo alla missione Apollo XV
e può essere documentato
come segue.
La Nikon F Photomic Ftn con Nikkor-S Auto 55mm f/1,2 per NASA presenta leggere
modifiche volte
come di consueto a facilitare l'utilizzo con i guanti spaziali; seguendo i
protocolli di sicurezza (ancora più
serrati dopo il celebre incendio) sono state eliminate tutte le parti in gomma,
plastica, finta pelle e tutti i
collanti più o meno volatili o infiammabili; sia il corpo che l'obiettivo sono
rifiniti in grigio satinato opaco,
le zone private di rivestimento in Vulkan sono coperte da lastrine metalliche
avvitate e nella serie di
incisioni evidenziate a smalto sono rimaste visibili solo quelle prettamente
funzionali, coprendo invece
con la finitura grigia quelle relative al brand (come le scritte "Nikon
F" o "Nikon Nikkor-S Auto 1:1,2
f=55mm); per praticità d'uso la lunghezza focale è stata indicata a caratteri
cubitali sul fianco dell'obiettivo,
nell'area originariamente predisposta a presa di forza per la messa a fuoco, ora
gestita da un grosso pivot
conico innestato perpendicolarmente sull'elicoide esterno. I comandi
adeguatamente sovradimensionati
riguardano la ghiera per il sollevamento manuale dello specchio, quella per
l'azzeramento del contafotogrammi,
il pulsante di scatto e la ghiera coassiale per sbloccare il riavvolgimento
film, la ghiera di impostazione ASA
sul tettuccio del Photomic che comanda anche la rotazione di quella con i tempi
di posa; il piccolo manettino
di riavvolgimento è stato sostituito da un pomello, evidenziato nel dettaglio.
Curiosamente non sono stati
alterati il pulsantino e la leva di sblocco del Photomic (difficilmente
azionabili con i guanti, ma probabilmente
non era previsto lo smontaggio del mirino in missione), i piccolissimi
interruttori dell'esposimetro e le due
manette del fondello che consentono di estrarlo per sostituire il film. Infine,
l'autoscatto era stato eliminato.
(picture by Nikon Co.)
La lista con gli apparecchi fotografici dell'Apollo XV
conferma la presenza sul Command Module" di una
Nikon 35mm (definita "Command Module 3") con obiettivo 55mm f/1,2;
ottimisticamente, la sua risoluzione
ad f/1,2 viene indicata in 58 l/mm sull'asse e 21 l/mm ai bordi; dovendo
documentare esclusivamente fenomeni
luminosi di debolissima intensità l'apparecchio era caricato con un materiale
sensibile a bel 6.000 ASA, appositamente
realizzato per la NASA.
(sheet by NASA)
Questo riferimento definisce gli ambiti operativi della Nikon
F Photomic Ftn con
Nikkor-S Auto 55mm f/1,2 a bordo del Command Module Apollo XV.
(data by NASA)
Come abbiamo già accennato, fin dalle prime missioni si
manifestò un forte interesse per immagini
riprese nel campo spettrale al di fuori della luce visibile, nella banda
infrarossa ed ultravioletta, scatti
di grande valore scientifico e tecnico in molti settori; in questo campo, mentre
per l'infrarosso era
sufficiente anteporre un filtro IR ad un buon obiettivo e correggere la
declinazione di fuoco, per
l'ultravioletto si rendevano necessarie ottiche speciali, col lenti realizzate
utilizzando materiali trasparenti
agli ultravioletti a banda corta, tipicamente Quarzo e Fluorite di Calcio o
Litio; per complicare ulteriormente
il quadro, le condizioni di ripresa richiedevano spesso e volentieri un
obiettivo molto luminoso...
Sollecitata dalla NASA, la Nippok Kogaku fece valere il suo know-how e nel 1973
realizzò uno speciale
UV-Nikkor 55mm f/2 specificamente per queste esigenze di missione; quest'ottica
non va confusa con
prototipo UV-Nikkor 55mm f/4 degli anni '60 (un tripletto realizzato con vetri
particolarmente trasparenti
agli UV ad onda lunga, ma incapace di sfruttare quelli ad onda corta come invece
fanno le realizzazioni
speciali che utilizzano Quarzo e Fluorite). L'UV-Nikkor 55mm f/2 NASA è stato
realizzato in pochissimi
esemplari ed è oggi uno dei Nikkor più rari e ricercati dai collezionisti più
facoltosi; ecco una rara immagine
dell'ottica.
Accanto alla già descritta F Photomic Ftn con Nikkor-S Auto 55mm f/1,2
troviamo un'altra Nikon F NASA priva di mirino, con motore F36 ampiamente
modificato ed il rarissimo obiettivo UV-Nikkor 55mm f/2, creato specificamente
per le riprese in banda ultravioletta (notare la scritta f = 55mm UV sulla parte
superiore del cannotto); lo schema ottico e la struttura meccanica di quest'obiettivo
sono tuttora ignoti ed è uno dei pezzi più rari dell'universo Nikon.
(picture by Nikon Co.)
Per concludere il quadro tracciato per le missioni Apollo vorrei accennare ad
alcuni apparecchi
fotografici speciali presenti nel SIM (Scientific instrument Module) dell'Apollo
XV (da usare come
esempio paradigmatico anche per altre missioni): si tratta di fotocamere molto
complesse, dal
funzionamento automatico in grado di effettuare riprese sistematiche "a
scansione" della superficie
lunare e del cielo stellato, ottenendo negativi di grande formato ed elevata
qualità che grazie ad
un opportuno "overlap" predefinito fra uno e l'altro (controllato in
modo automatico) possono
essere assemblati assieme per ottenere il mosaico completo; è stato piuttosto
difficile coordinare
le scarne informazioni al riguardo.
Gli apparecchi fotografici automatici presenti nello
Scientific instrument Module dell'Apollo XV erano
tre, denominati SIM-1, SIM-3 e SIM-4 (il SIM-2 era in realtà un altimetro
laser).
SIM-1 era apparecchio dotato di due
obiettivi, in grado di ottenere coppie stereo di immagini oppure prese singole;
la coppia di ottiche tipo Petzval aveva una focale di 610mm (24") ed una
luminosità, eccezionale, di f/3,5;
la loro struttura comprendeva 8 elementi e sfruttava due specchi contrapposti
per ridurre sostanzialmente
l'ingombro longitudinale; gli obiettivi lavoravano a piena apertura f/3,5 con un
otturatore che forniva automaticamente
il tempo di posa necessario ed erano focheggiati su infinito, la loro
risoluzione era di ben 135 l/mm ed avevano
un angolo di campo di 10,77°, ma l'angolo finale sul fotogramma esposto era di
ben 108° perchè durante
l'esposizione l'apparecchio ruotava mentre la pellicola avanzava in sincrono;
quest'ultima era in banda alta 5"
(12,7cm)e veniva caricata in cassette da ben 2.060 metri; ogni fotogramma
copriva 320 km di superficie
lunare da un'elevazione di 100 km su un formato da 4,5x4,5" (due
strisciate sovrapposte con i due obiettivi).
SIM-3 corrispondeva ad un apparecchio
fotogrammetrico per mappatura prodotto dalla Fairchild Camera and
Instrument Corporation, storico appaltato governativo; l'apparecchio
impressionava attraverso una piastra reseau
dei fotogrammi quadrati di formato 4,5x4,5" su pellicola in rullo alta
5" (12,7cm) e caricata in contenitori da 460m.
L'obiettivo è sicuramente l'elemento più interessante dell'apparecchio, e
chiude il cerchio su un'annosa questione:
molti sanno che accanto al famoso Zeiss Biogon 4,5/75 per Linhof 9x12cm esisteva
un misterioso Biogon 4,5/76
(SIC), talvolta apparso sul mercato con strane montature di sapore militare...
In realtà quest'ottica, le cui dimensioni
sono sostanzialmente superiori a quelle del Biogon 4,5/75, nonostante focale e
luminosità quasi identiche, venne
prodotta dalla Zeiss esplicitamente per la Fairchild Corporation, che
l'utilizzava per realizzare questo genere di
apparecchi metrici, che richiedevano una correzione della distorsione superiore
a quella, già eccellente, del Biogon
4,5/75 standard; quest'obiettivo viene descritto nei cataloghi di produzione
della Zeiss Oberkochen come
"Fairchild-Biogon", a sottolineare la produzione su commessa specifica
ed esclusiva; l'obiettivo adottato dalla
fairchild SIM-3 dovrebbe dunque essere proprio uno Zeiss Fairchild-Biogon
4,5/76, utilizzato a piena apertura f/4,5
con messa a fuoco su infinito ed esposizione regolata automaticamente
dall'otturatore; l'obiettivo impressionava
pellicola bianconero ad 80 ISO e garantiva su tutto il campo almeno 90 l/mm;
l'angolo di campo sul lato era di
74°x74° e l'apparecchio garantiva un overlap del 78% fra un fotogramma e
l'altro, facilitando la successiva
opera di montaggio.
SIM-4 era una "stellar camera" per
la ripresa della volta celeste che lavorava in sincrono assieme a SIM-3 con
un'elevazione di 96° rispetto all'asse di ripresa di quest'ultima;
l'apparecchio utilizzava pellicola 35mm il caricatori
da 156m ed era dotata, come SIM-3, di una piastra reseau sul piano focale;
l'ottica da 76mm (3") f/2,8 lavorava
anch'essa a piena apertura, era focheggiata su infinito e lavorava con un tempo
di posa di 1,5 secondi, con
compensazione automatica del movimento; l'angolo di campo per ogni fotogramma
era di 18° in orizzontale e
24° in verticale e la risoluzione era limitata ad 80 l/mm dalla pellicola
Plus-XX High Speed Film ad alta sensibilità.
Tutti questi apparecchi usufruivano di alimentazione AC 110 V 400 Hz
e DC 28 V.
Lo zampino della Zeiss negli apparecchi SIM-3 e SIM-4 mi viene
confermato da un sottile incastro di circostanze
che ora condividerò con voi: ho anticipato che questi apparecchi erano dotati
di piastra reseau in vetro con serie
di crocicchi fotogrammetrici; ebbene, proprio questi ultimi, nel 1971, furono
aggiornati ed il Manned Space Center
della NASA divulgò a chi di competenza i nuovi parametri di calibratura; gli
schemi che seguono sono proprio
relativi a questo dettaglio, e vi prego di prestare attenzione al nome proprio
delle due piastre reseau...
Le piastre reseau degli apparecchi SIM-3 e SIM-4, modificate
nel 1971; lo step
"B" di queste piastre fotogrammetriche ha un nome proprio, cioè IKOGON
B ed
IKOTAR B... magari sarò un dietrologo
paranoico, ma ho subito immaginato
IKOGON come crasi di ZEISS IKON e BIOGON,
cioè angolo di campo (è infatti
montata su un apparecchio grandangolare), ed IKOTAR come crasi di ZEISS IKON
e STAR (viene montata su una "stellar
camera" per riprendere la volta celeste),
senza dimenticare tutti i precedenti ufficiali Zeiss, come IKOPHOT, IKONTA, etc.
Insomma, che ne pensate?....
(sheets by NASA)
Conclusa la grande avventura Apollo con l'abbuffata di EVA
sulla Luna ed il rientro a Terra di un ingente
bottino geologico e fotografico, i venti di Austerity indirizzarono la NASA
verso progetti più budge saving,
e nacque l'idea di realizzare un'astronave "riciclabile", in grado di
rientrare a Terra senza danni e di replicare
numerose missioni; da questa idea nascerà lo Space-Shuttle, una sorta di
piccolo Concorde capace di
rientrare ed atterrare su una pista come qualsiasi jet.
Magnifiche immagini che documentano tre degli innumerevoli
lanci dello Space Shuttle, la nuova
frontiera dello spazio targata NASA
(3 pictures by NASA)
Dopo le prime missioni si rese necessario ridefinire l'hardware fotografico,
adattandolo alle mutate esigenze (non era
più prevista attività EVA di superficie, ma al massimo qualche escursione
fluttuando nello spazio); la NASA
confermò senza indugi i fornitori storici, grazie ai quali le meraviglie dello
spazio erano state catturate e consegnate
alla storia, il primo dei quali era naturalmente la Hasselblad AB; venendo meno
le necessità di riprese metriche
con piastra reseau e Biogon 56,/60 (il cui ingombro retrofocale escludeva
l'impiego dello specchio), si decise che
la praticità garantita da una precisa inquadratura e messa a fuoco reflex era
ormai irrinunciabile, ed il nuovo apparecchio
condivideva la concezione basilare della prima HEC ma manteneva un completo
sistema di mira e messa a fuoco reflex
strutturato come quello presente nel modello di serie; questa nuova Hasselblad
era definita Space Camera 553 ELS
ed era molto più simile al modello 553 ELX regolarmente in vendita di quanto
non fossero mai state la HEC ed HEDC
rispetto alle cugine "civili" della stessa epoca.
La Hasselblad Space Camera 553 ELX era molto simile alla 553 ELX di serie:
disponeva di regolare
specchio reflex e vetro di messa a fuoco ed era dotata di mirino prismatico RM2
ad oculare arretrato,
creato dall'Hasselblad per lavorare con gli ingombranti dorsi 70mm; il dorso
della 553ELX spaziale
è un modello da 200 fotogrammi predisposto per film a supporto sottile ed
utilizza un sistema datario
che era disponibile anche per il mercato civile, in grado di impressionare la
data ed il numero sequenziale
del fotogramma esposto; questo dispositivo - aggiunto sulla sommità del
magazzino - obbligò a spostare
il pulsante di sblocco sulla parte posteriore del dorso stesso. Le ottiche
utilizzate erano le Zeiss della
generazione CF, e nuovi protocolli di sicurezza avevano permesso di mantenere la
gommatura originale,
quindi l'estetica è simile a quella dei modelli di serie; soltanto
saltuariamente vennero applicate le tradizionali
"palette" supplementari per facilitare la presa con i guanti. La
modifica più evidente apportata al corpo
macchina, ereditata dai modelli precedenti, si concentra nel coperchio del vano
batterie, ora incernierato
anteriormente (non è più possibile separare la parte dal corpo macchina) e
dotato di un sistema di chiusura
rapida analogo allo sblocco dei magazzini per pellicola.
(3 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Altre vedute della Space Camera 553 ELX confermano le grandi
analogie
con il modello di serie; precauzionalmente il Vulkan di rivestimento è stato
sostituito con lastrine metalliche, mentre il dorso definito 100/200 può
garantire 100 esposizioni su pellicola 70mm a spessore normale e 200
esposizioni su quella a supporto sottile; l'obiettivo, un Sonnar 4/150 CF,
mostra le prese di forza supplementari per i guanti, unica piccola modifica
all'estetica standard, gomma compresa.
(3 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Vista ravvicinata del Sonnar 4/150 CF NASA; altre ottiche
utilizzate
con certezza furono il Distagon 4/50 FLE, il Planar 2,8/80, il Sonnar
5,6/250 Superachromat.
(2 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Relativamente al Sonnar 5,6/250 Superachromat, fortemente sponsorizzato dalla
NASA in fase
di progetto, un testimonial d'eccezione per questo straordinario obiettivo è
proprio John Glenn,
monumento vivente dei voli spaziali americani: Glenn fu uno dei pionieri del
programma Mercury,
comandò la Mercury-Atlas 6 nel 1962, e già all'epoca era un convinto utente
Hasselblad; tornò
alla ribalta della cronaca mondiale nel 1998, quando ormai anziano Senatore staccò il biglietto
per la missione Space Shuttle STS-95, diventando il più attempato astronauta
della storia...
John Glenn nel 1962, ai tempi della missione "Faith
7" sulla
Mercury-Atlas-6.....
....ed il 31 Ottobre 1998, ormai anziano Senatore degli Stati
Uniti, mentre fotografa
il cosmo dalla window n° 8 dello Shuttle Discovery, a gravità zero, utilizzando un
apparecchio Hasselblad Space Camera 553ELS equipaggiato con uno Zeiss
Sonnar 5,6/250 Superachromat; alle sue spalle, di fronte alla window n° 7 e
fissato con veltro alla paratia, è visibile un secondo corpo Space Camera
553 ELS dotato di un ulteriore Sonnar 5,6/250 Superachromat; notate
l'etichetta indicata con la freccia che riporta la scritta "IR", a
sottolineare
la grande versatilità d'impiego di quest'obiettivo su un esteso campo
spettrale;
John Glenn, Hassista della prima ora, non avrà avuto il minimo problema a
familiarizzare con questi apparecchi...
Uno splendido esempio delle attività svolte dallo Space
Shuttle e delle immagini
realizzate a bordo dello stesso: il telescopio Hubble malfunzionante, tratto
"in secca"
due volte consecutive per le necessarie riparazioni e nuovamente in perfetta
efficienza.
(4 picturs by NASA)
Durante la lunga serie delle missioni Space Shuttle fu
utilizzato anche lo
Zeiss F-Distagon 3,5/30, fisheye da 180° a copertura totale; questa
immagine del 1994, che immortala un astronauta intento a collaudare
un nuovo equipaggiamento EVA senza vincoli (sullo sfondo della Terra),
è stato ripresa proprio con la 553ELS ed il Fisheye-Distagon da 30mm.
(picture by NASA)
Com'era già avvenuto nel caso delle missioni Apollo, anche per il programma
Space Shuttle
la NASA si rivolse alla Nippon Kogaku per l'equipaggiamento "leggero"
da 35mm; l'apparecchio
base scelto per l'occasione fu la Nikon F3, affidabile e robusto strumento
professionale con caratteristiche
di prim'ordine (robustissimo chassis in Silumin temprato a vapore, contatti
doppi in Oro, schermatura contro
interferenze elettromagnetiche, etc.). La F3 veniva equipaggiata sia con un
motore MD-4 leggermente
modificato (con presa di alimentazione esterna standardizzata sulle specifiche
dello Shuttle), sia con un gruppo
motore-dorso bulk per pellicola a metraggio molto complesso ed ingombrante, con
varie interfacce.
La più classica delle Nikon F3 NASA, con motore MD-4
modificato (notare la grossa
spina supplementare anteriore) e dorso per pellicola 35mm a metraggio;
l'iconografia
di quest'apparecchio è stata largamente sfruttata dalla Nikon sulle sue
brochure dell'epoca,
dove veniva riprodotta sullo sfondo dello Shuttle al decollo; l'ottica montata
è l'unico superluminoso
protocollato per queste missioni, il Nikkor AiS 35mm f/1,4; curiosamente, la
Nikon continuò
a rispettare alla lettera i protocolli di sicurezza originali delle missioni
Apollo, ed infatti l'ottica è
priva di parti in gomma per la messa a fuoco e la meccanica adottata è stata
riesumata dalla
più vecchia serie Nikkor-N-C Auto, prodotta all'inizio degli anni '70, che era
priva di parti in gomma
o plastica e che è facilmente riconoscibile per l'obsoleta ghiera di messa a
fuoco con sbalzi
metallici godronati; la ghiera dei tempi è sovradimensionata ed ha una foggia
simile ma non
identica a quella della F3P, mentre i contatti proprietari per il flash posti
nella zona del
manettino di riavvolgimento sono stati coperti con un adattatore dotato di hot-shoe standard.
Nel 1999 ebbi la fortuna di maneggiare personalmente una F3 NASA identica a
questa; quell'esemplare
era equipaggiato con un Nikkor 55mm f/1,2, sicuramente obsoleto rispetto alla
produzione Nikkor
coeva al corpo macchina, ma evidentemente ancora preferito dalla NASA;
l'obiettivo da 55mm
presentava anch'esso una finitura meccanica da generazione "F", con
ghiera di messa a fuoco di
prima generazione, tutta in metallo con sbalzi alternati, ed ebbi modo di notare
un ulteriore dettaglio
che sottolinea la certosina meticolosità dei protocolli di sicurezza: le
piccole viti di fissaggio presenti
sull'obiettivo erano coperte e bloccate in sede con resina epossidica
polimerizzata, per evitare che
le vibrazioni possano allentare e svitare questi componenti...
(picture by Nikon Co.)
Alcune viste della Nikon F3 NASA con dorso bulk da 250
fotogrammi; questi apparecchi
furono allestiti dalla Nippon Kogaku fra il 1985 ed il 1986 in un numero
imprecisato di esemplari,
forse soltanto 19, anche se il dorso bulk illustrato riporta la matricola 1033,
che lascia intendere
che almeno 33 pezzi di questo componente sarebbero stati prodotti; potete notare
la ghiera di
sblocco sovradimensionata coassiale al manettino di riavvolgimento ed il cavetto
di sicurezza
applicato al tappo della presa anteriore.
(5 pictures by Westlicht Photographica Auction)
UPGRADING 11/05/2010
Timm Chapman dall'Arizona, proprietario di una Nikon F3 NASA
"small camera"; mi ha inviato
numerose immagini estremamente didascaliche di quest'apparecchio (thank you Timm!);
questo
specifico esemplare è stato utilizzato nel corso di due missioni Space Shuttle,
una a bordo del
Discovery ed una a bordo dell'Endeavour, ed era predisposta all'origine per l'EVA
(attività
extra-veicolare nello spazio); ecco i dettagli ravvicinati.
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
(credits: picture courtesy Timm Chapman, U.S.A.)
Timm ha analizzato i numerosi dettagli che differenziano
questo modello dalla F3 convenzionale, ed
ha condiviso con noi le seguenti annotazioni:
1) il corpo macchina è circa 5mm più largo rispetto alla
F3
civile;
2) il contafotogrammi arriva a 72 pose e dispone di una lente di
ingrandimento:
3) l'indicatore per la posa "B" è di colore bianco anzichè
arancio
4) il pulsantino di sblocco per la ghiera dei tempi è nero anzichè argento e
leggermente più piccolo;
5) la ghiera che serra la leva di carica è rifinita in nero anzichè in
argento;
6) la parte terminale della leva di carica ha uno spessore maggiore per
agevolare la
presa;
7) la leva di carica è priva di switch per l'accensione
dell'apparecchio;
8) è assente il comando per le esposizioni multiple sullo stesso
fotogramma;
9) è assente l'indicatore del piano focale sulla calotta
superiore;
10) il pulsante di controllo della profondità di campo è rifinito in nero
anzichè in
argento;
11) le leve per il sollevamento dello specchio e lo sblocco dell'otturatore sono
più
lunghe;
12) il LED per l'autoscatto è stato spostato sul comando stesso che lo
attiva;
13) il corpo è privo di occhielli per fissare la
cinghia;
14) il corpo è privo di rivestimenti adesivi ed è rifinito in nero
opaco;
15) il pulsante che attiva l'illuminazione del mirino è rifinito in nero
anzichè in
rosso;
16) il pulsante di sblocco dell'obiettivo è rifinito in nero anzichè in
argento;
17) il pulsante che svincola la compensazione dell'esposizione è rifinito in
nero anzichè
argento;
18) la sequenza dei valori ISO segue lo schema
12,25,64,100,160,320,500,1000,2000,4000,6400;
19) il rocchetto che adesca la pellicola presenta meno aperture di sezione
ridotta;
20) l'interno del dorso presenta due pressori supplementari per assicurare
l'ingaggio del
film;
21) il promemoria per la pellicola sul dorso è a fondo
bianco;
22) il marchio Nikon è inciso sulla parte posteriore a sinistra del mirino
anzichè a
destra;
23) il vetro di messa a fuoco è conforme alle specifiche
"R"
24) i corpi "EVA" probabilmente adottano materiali e lubrificanti
specifici per l'uso nel
vuoto;
25) non ci sono matricole Nikon ma ogni pezzo è marcato con matricole
specifiche NASA.
(ringrazio ancora Timm Chapman per queste prezione informazioni).
Come si può notare, il Nikkor 35mm f/1,4 abbinato a questo
corpo (matricola 1065) presenta un
barilotto esterno di aspetto più moderno rispetto all'identico obiettivo
illustrato in seguito (matricola
1007, quindi antecedente): quest'obiettivo non utilizza più la montatura
obsoleta tipo "F" ma impiega
un barilotto più simile a quello del modello AiS di produzione, rinunciando
all'inutile forcella di
accoppiamento al Photomic ed adottando una numerazione sovradimensionata;
l'esclusione di parti
in gomma ha comportato l'introduzione di una ghiera di messa a fuoco
completamente metallica, e
probabilmente le grosse viti applicate ad entrambe le ghiere mobili
costituiscono la sede per applicare
pivots accessori, in grado di facilitare le operazioni con i grossi guanti
spaziali; questi pivots saranno
illustrati meglio in seguito.
FINE UPGRADING 11/05/2010
L'informazione relativa all'anno di produzione universalmente
accettata (1985-86) viene contraddetta
dal seguente advertising, riportato sulla quarta di copertina de "The Nikon
way to photography", una
piccola brochure stampata nel Febbraio 1981: non era ancora stato effettuato
alcun lancio e per illustrare
l'evento venne utilizzata una grafica virtuale ma lo schema riporta già una
piccola fotografia del modello
F3 NASA completo, assemblato e dotato del relativo Nikkor 35mm f/1,4 NASA...
Nell'advertising utilizzato a metà anni '80, qui proposto in
due versioni, l'immagine virtuale
fu ovviamente sostituita da un'autentica fotografia dello Space Shuttle al
decollo! Notare il
refuso presente nella seconda immagine...
L'impiego di un corpo Nikon in questa serie di missioni fu un ottimo veicolo
pubblicitario per la
Nippon Kogaku e ribadì la sua vocazione di fotocamera squisitamente
professionale.
credits: advertisings (3) Nippon Kogaku
Una "index" tipografica giapponese che illustra una
serie di apparecchi forniti alla NASA
dalla Nippon Kogaku, alcuni dei quali non utilizzati in missione ma impiegati
per lavori
di routine; fra di essi si riconoscono la F2 DP-1 con dorso data, la F2H ad alta
velocità,
la F2S DP-2 con servo-EE DS-1 e la F con motore F-36; l'astronauta accanto alla
finestra dello Shuttle impugna la F3 con motore MD-4 modificato e Nikkor AiS
85mm f/2 dotato di filtro arancio, mentre le due Nikon F3 con motore al centro
della
composizione sono equipaggiate con uno degli obiettivi più sfruttati durante
queste
missioni: il micro-Nikkor AiS 55mm f/2,8; anche in questo caso la struttura del
barilotto
è stata modificata per eliminare completamente le parti in gomma o plastica, e
sul classico
55mm f/2,8 micro è stata applicata un'inedita ghiera di messa a fuoco in
metallo munita
di sbalzi alternati e godronati, in linea con l'estetica Nikkor degli anni '60 e
dei primi anni '70:
la visione è effettivamente sconcertante, sembra un micro-Nikkor 55mm f/2,8
rinato
con 20 anni di anticipo.... Questa ossessiva attenzione ai protocolli di
sicurezza sui
materiali ci lascia incuriositi ripensando agli Zeiss Hasselblad forniti per le
stesse missioni
con parti in gomma e plastica in bella vista!
Un'altro advertising della Nikon F3 per NASA utilizzato sul
mercato interno giapponese;
il prestigio legato a questa partneship fu ampiamento sfruttato dalla Casa madre
per scopi
promozionali, e come darle torto?
credits: advertisings Nippon Kogaku
E' difficile stilare un elenco degli obiettivi Nikkor AiS a messa a fuoco
manuale forniti alla
NASA per equipaggiare la F3 del programma Space Shuttle: ufficialmente vennero
indicati
il 35mm f/1,4, il 55mm f/2,8 micro, l'85mm f/2, il 105/2,5, ed il 135mm f/2,8,
ma si vocifera anche
dell'UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5 e del micro-Nikkor 105mm f/2,8.
Un dettaglio del Nikkor 35mm f/1,4 NASA rivela che l'intero
chassis esterno è ripreso
dal primo modello di produzione, il Nikkor-N-C Auto; specificamente, questo
barilotto
con la dicitura Nikon anzichè Nippon Kogaku fu regolarmente prodotto fra il
1971 ed
il 1973, ed è stato evidentemente riesumato in produzione negli anni '80 in
quanto
completamente privo di parti in metallo e gomma; persino la (ormai inutile)
forcella di
accoppiamento esposimetrico corrisponde al vecchio modello pre-Ai (notare
l'assenza
di finestrature); se il barilotto è identico alla versione "storica",
il numero di matricola è
davvero particolare: i Nikkor-N-C Auto 35/1,4 con scritta "Nikon"
furono prodotti con
matricole comprese fra 360.001 e 368.727 e d'altro canto gli ultimissimi esemplari della
più
recente produzione Ais arrivano poco sopra i 600.000, mentre questo esemplare
riporta
la matricola 900.007, decisamente anomala e probabilmente concepita ad hoc per
questo modello NASA, una ipotesi confermata dal Serial Number NASA 1.007.
ovvero il settimo esemplare in entrambi i casi.
(picture by Westlicht Photographica Auction)
Questo esemplare di Nikkor AiS 28mm f/2 prodotto nel 1982
accresce la famiglia
dei Nikkor con messa a fuoco manuale forniti alla NASA, tuttavia quest'obiettivo
non venne impiegato in missione, come confermato dall'etichetta "NOT FOR
FLIGHT";
l'ottica è stata in ogni caso privata di ogni parte in plastica e gomma: la
presa della
messa a fuoco è stata rozzamente rifinita con un nastro adesivo telato ed il
classico
tappo anteriore in resina è stato sostituito da un tappo metallico in ottone
laccato
(materiale molto apprezzato perchè non produce scintille per attrito); notare
il logo
Nikon con grafica obsoleta.
(6 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Nel Dicembre 2007 è stata messa in vendita una Nikon F3 HP
NASA, completa di
motore, accessori ed obiettivo UV-Nikkor 55mm f/2, proveniente da un'asta
governativa
per la dismissione ufficiale di materiale NASA e proposta ad un prezzo
congruente al grande
valore storico del pezzo, 69.000 US Dollars; le immagini che seguono si
riferiscono a questo
kit, composto da:
Nikon F3HP NASA corpo macchina P/N SED33101585-303 S/N 1012
Nikon F3HP mirino P/N 33101585-007
Nikon F3 vetro di messa a fuoco P/N SED 33101572 S/N 1007
Nikon motore P/N SED33101585-002 S/N 1026
Nikon MD battery Pack P/N SED33101573 - 301 S/N 1023
Nikon MD battery Pack P/N SED33101573 - 301 S/N 1007
grabber e pulsante sovradimensionato per guanti spaziali 35MM EVA Kit P/N SED 33102478-301 S/N MU004
Nikon Nikkor 55mm UV F2 Lens Serial Number 1000019
Nikon Nikkor 55UV tappo anteriore e posteriore P/N SED33101579-003 S/N M1021
Cavo di scatto flessibile P/N SED33102473-301 S/N 1012
Le fotografie sono state realizzate da Erik Black (leggermente modificate da me per evidenziare
i soggetti) e gli sono molto riconoscente per aver condiviso dettagli così interessanti.
Il kit "NASA Nikon F3 small camera" non prevede il sofisticato dorso portapellicola a metraggio
motorizzato ad alta velocità per speciale pellicola esther a strato sottile (messo a punto da un apposito
team nello stabilimento di Ohi appositamente per la NASA), ma si accontenta dei tradizionali caricatori
tipo 135 ed è dotata di un motore di derivazione MD-4, alimentato da pack di batterie AA ad interscambio
rapido; in questo eccezionale lotto è presente anche uno scatto flessibile, speciali accessori per l'attività
extraveicolare (EVA) con grossi guanti (grabbers da avvitare alle ghiere dell'ottica e pulsante di scatto
maggiorato) ed un particolare e rarissimo Nikon UV-Nikkor 55mm f/2, realizzato appositamente per
l'impiego spaziale,
Sulla F3 HP NASA sono evidenti alcuni dettagli sovradimensionati per facilitarne
l'uso con i guanti; sul plusante di scatto standard è avvitato l'accessorio maggioratore
destinato all'attività EVA.
Il dorso dell'apparecchio appare decisamente convenzionale, se paragonato alla
versione "big camera"; in evidenza i comandi di riavvolgimento adeguatamente
dimensionati ed una spina di servizio.
Sul lato destro del motore e dell'obiettivo è presente una striscia di Velcro per fissare
meglio i pezzi durante il trasporto.
Per facilitarne la lettura, sopra al contafotogrammi è applicata una lente
di ingrandimento supplementare.
I battery packs, dall'aspetto spartano, presentano chiare indicazioni
per l'orientamento delle batterie AA.
Il vetro di messa a fuoco ed il pentaprisma HP sono standard ma anch'essi
vennero meticolosamente contrassegnati con gli specifici numeri d'inventario.
L'UV-Nikkor 55mm f/2 è uno degli obiettivi più rari ed ambiti dai collezionisti
mai realizzati dalla Casa giapponese; venne realizzato (pare) in un paio di dozzine
d'esemplari utilizzando uno schema ottico calcolato ad hoc e mai impiegato per
analoghi obiettivi destinati all'impiego "civile"; la stessa montatura è estremamente
anonima, rinunciando a tutti gli stilemi estetici dei Nikkor di serie, e risponde
ai rigidi capitolati di sicurezza imposti dalla NASA (assenza di parti in gomma,
infiammabili, rimovibili, etc.); infine, va annotato che la scala del diaframma
presenta delle linee di fede supplementari anteposte alla numerazione, come
avveniva nella primissima serie di obiettivi realizzati per la Nikon F, denominati
thick mark lenses.
La matricola originale Nikon partiva presumibilmente da 1.000.001, quindi l'esemplare
illustrato sarebbe il 19° prodotto.
La lente posteriore dell'obiettivo presenta una curiosa "mascheratura"
nera in direzione ore 12 rispetto al senso di montaggio, la cui utilità
pratica mi sfugge; trattandosi di un obiettivo UV, probabilmente le
sue lenti sono realizzate esclusivamente con Quarzo e Fluorite, materiali
che - contrariamente al vetro ottico - sono trasparenti agli ultravioletti
fino a lunghezze d'onda molto corte. Va annotato che il trattamento antiriflessi
è molto semplice, dal momento che un rivestimento multistrato standard avrebbe
forse compromesso la trasmissione degli UV ad onda corta; infine, il senso di
flash-back nel passato mutuato dalla montatura viene corroborato anche dalle
obsolete viti utilizzate per fissare la baionetta...
I tappi dell'obiettivo; quello anteriore è l'unico dettaglio che sia sfuggito
all'orgia di serial numbers e part numbers incisi o serigrafati un po' dovunque,
ed anch'esso è un richiamo al passato, trattandosi di un coperchio in metallo
con fissaggio a vite e logo Nikon decisamente obsoleto.
Per l'attività extraveicolare con i guantoni era disponibile un maggioratore per il pulsante
di scatto e due grabbers per l'obiettivo (in realtà dedicati più al Nikkor 35mm f/1,4 NASA,
dotato di apposite fessure filettate sulle ghiere di messa fuoco e del diaframma); ignoro la
collocazione e la funzione dei due evidenziatori di colore fluorescente, probabilmente destinati,
appunto, a richiamare l'attenzione su qualche dettaglio funzionale.
Quest'istantanea ritrae un'astronauta mentre immortala i colleghi con una Nikon F3 NASA;
notate il cablaggio di alimentazione applicato al corpo macchina.
credits: picture NASA
Nelle ultime fasi del programma i sistemi reflex 35mm si erano
convertiti all'autofocus, e
la NASA individuò nella magnifica Nikon F4 la candidata ideale di questo nuovo
corso;
i primi corpi F4 - F4S entrarono in servizio intorno al 1989 e vennero
forniti sia con il
pentaprisma standard sia con quello d'azione, più adatto all'uso indossando un
casco di
missione.
Questo esemplare di Nikon F4 con mirino d'azione DA-20
fu fornito alla NASA
a fine anni '80 per la modica cifra di 2.150 U.S. Dollars: non sembra un prezzo
di
particolare favore (considerando il cambio dell'epoca), anche se il mirino DA-20
aveva un certo costo....
(4 pictures Westlicht Photographica Auction)
Altri dettagli della Nikon F4 fornita alla NASA confermano che
l'apparecchio
è tuttora assolutamente come nuovo, inusato a distanza di vent'anni; chissà
cosa avrebbe da dire il Presidente Obama per questo "spreco",
considerando
l'attuale tendenza alla morigeratezza economica in tutti i compartimenti?
(5 pictures by Westlicht Photographica Auction)
Quest'altra F4 NASA è conforme alle specifiche F4S, ed è dotata del fondello
MB-21 in grado di accogliere 6 batterie AA e di garantire una cadenza di scatto
pari a 5,7 fotogrammi al secondo; anche questo esemplare è formalmente identico
al modello di serie, e non disponendo del costoso mirino d'azione venne
acquisito
per un prezzo inferiore, ovvero 1.484 US Dollars; l'esemplare illustrato
proviene
dalla stessa asta di materiale governativo dalla quale proviene la F3 HP
illustrata
precedentemente, ed anche in questo caso ringrazio Erik Black per aver
realizzato
le dettagliate immagini che seguono.
Le immagini confermano che l'esemplare NASA è assolutamente
identico
al modello F4S regolarmente commercializzato; notare anche in questo caso
il piccolo pezzo di Velcro per il fissaggio.
Questa immagine documenta uno speciale allestimento della
Nikon F4 per i voli spaziali,
caratterizzato da un ingombrante soletta di comando; gli obiettivi illustrati
appartengono
alla generazione AF-Nikkor, e precisamente troviamo un 28mm f/2,8 prima serie,
uno zoom 35-70mm f/2,8 ed un tele 180mm f/2,8 ED seconda serie; si vocifera
che alla NASA siano stati forniti anche AF-Nikkor della gamma supertele, come il
300mm f/2,8 ED ed anche focali superiori, ma al momento non ho trovato
indicazioni
più precise; il modello F4 venne utilizzato dalla NASA, ad esempio nelle
missioni
Shuttle-Mir STS-63, STS-74, STS-76, STS-79, STS-81, STS-84, STS-86,
STS-89, STS-91.
Quando la successiva ammiraglia di casa Nikon, il modello F5,
andò a rimpiazzare la
gloriosa F4, l'allora Presidente Soichiro Yoshida si impegnò affichè la
collaborazione
con NASA continuasse ed anche la Nikon F5 entrasse a ruolo come apparecchio 35mm
ufficiale delle missioni spaziali USA; la prima F5 ad effettuare attività
extraveicolare nello
spazio era a bordo dello Space Shuttle "discovery" nel Dicembre 1999,
ed esiste una
significativa immagine dell'apparecchio completamente rivestito di materiale
bianco
termoisolante mentre viene brandeggiato da un astronauta impegnato all'esterno
della
navetta; i modelli F5 destinati alla NASA erano praticamente identici a quelli
di serie,
con l'eccezione di una speciale lubrificazione con materiali in grado di
mantenere la giusta
viscosità ed adesione in un range di temperature esteso fra -50° C e +110°C;
sembra che
la Nikon's American Subsidiary della Nikon Incorporated americana (con base a
Melville,
New York) abbia provveduto direttamente alla lubrificazione speciale di un lotto
di apparecchi
Nikon F5 ed obiettivi AF-Nikkor poi consegnati alla NASA; in particolare,
sarebbero stati
approntati e destinati all'Ente spaziale:
35 corpi Nikon F5
12 obiettivi AF-Nikkor 50mm f/1,4 D
12 obiettivi AF-Nikkor 35mm f/2 D
8 obiettivi AF-Nikkor 28mm f/2,8 D
Stupisce piacevolmente il constatare come obiettivi di fattura
palesemente amatoriale e realizzati
con abbondante uso di plastiche siano stati accettati per un impiego così
prestigioso!
Il corpo Nikon F5 NASA illustrato a seguire proviene anch'esso dalla già citata
asta di materiali
governativi ed anche in questo caso dobbiamo ringraziare Erik Black per la
dovizia di immagini.
Come si può notare, la Nikon F5 destinata alla NASA era identica al modello
di serie, lubrificanti a parte; questo esemplare venne acquisito per il prezzo
di 2.500
US Dollars.
Una Nikon F5 NASA durante l'utilizzo EVA; notate il completo
isolamento termico dell'apparecchio.
credits: picture NASA
Va annotato che la NASA negli anni '90 acquistò altri obiettivi AF-zoom-Nikkor,
destinandoli tuttavia ad un impiego estraneo alle missioni spaziali, come
strumenti
per lavoro di routine, esentandoli quindi dai severi capitolati di missione;
durante
le recenti dismissioni di materiali, sono sbucati fuori dagli inventari NASA
anche
due obiettivi decisamente amatoriali e piuttosto economici: un AF-zoom-Nikkor
24-50mm f/3,3-4,5 D ed un AF-zoom-Nikkor 28-85mm f/3,5-4,5 D; ecco le foto
dei due esemplari, anch'esse opera di Erik Black.
I due AF-zoom-Nikkor testè descritti ed impiegati dalla NASA
per meno prestigiosi impieghi "a terra"; notare il refuso d'inventario
nel 24-50mm, erroneamente denominato "28-50mm", ed il prezzo
"di saldo" pattuito all'acquisto: 150 US Dollars cadauno...
Negli anni '70 è stato operativo anche il progetto Skylab, il
grande laboratorio orbitale
uscito dall'orbita e bruciato nell'atmosfera nell'estate 1979; purtroppo la
documentazione
sull'hardware fotografico di bordo è quantomeno scarno, ma è accertato che la
Hasselblad
HEDC metrica sia stata impiegata anche in questo caso.
Lo Skylab si staglia sul landscape terrestre, immortalato da
un'Hasselblad HEDC.
(picture by NASA)
Un astronauta durante attività extraveicolare sullo Skylab
ripreso con una Hasselblad HEDC.
(picture by NASA)
Per quanto riguarda la controparte sovietica, gli apparecchi e
gli obiettivi impiegati
dalle missioni spaziali d'oltre cortina sono sempre stati circondati dalla
classica riservatezza
che ha sempre caratterizzato le operazioni concepite in questo paese; possiamo
tuttavia
descrivere un apparecchio che accompagnò le missioni spaziali sovietiche
fin dai
primi anni '60: la Leningrad spaziale.
(2 pictures by Milos Mladek - Wien)
L'apparecchio Leningrad spaziale è molto interessante perchè
è stato concepito
con intelligenza e realizzato con cura insolita per un apparecchio sovietico;
contrariamente a quanto fatto dagli Americani, che inizialmente presero un po'
"sottogamba" la questione della fotografia in missione, affidando la
documentazione
dei primi, storici voli ad un "giocattolo come la Ascoset, i
Sovietici progettarono
immediatamente un apparecchio specificamente ideato per le esigenze
dell'astronauta
e costruito per ottenere immagini di qualità senza compromessi.
La Leningrad spaziale venne messa a punto intorno al 1960 partendo dal modello
Leningrad
di serie, ed è stata collaudata per la prima volta dal Maggiore Titov nel suo
volo orbitale attorno
alla Terra compiuto il 6 e 7 Agosto 1961 a bordo della navetta Vostok-2;
l'apparecchio utilizza
comune pellicola 35mm in caricatori da 36 pose e l'avanzamento è attuato da un
sistema a molla
in grado di trascinare l'intero rullo da 36 esposizioni con una sola carica; i
tempi di posa sono
solamente due: quello standard di 1/1000" (scelto per eliminare qualsiasi
micromosso) e quello
di emergenza, pari ad 1/60", destinato alle condizioni di luce sfavorevoli;
lo scatto dell'otturatore
è attivato tramite un solenoide elettrico, alimentato con corrente a 28 Volts,
e l'apparecchio
disponeva di una pistol grip da applicare ad una presa elettrica multipolare
sulla parte superiore
del corpo macchina: in tal modo, quando l'astronauta brandeggiava
l'impugnatura dotata di
grilletto di scatto, l'apparecchio si trovava a testa in giù; lo sblocco
sovradimensionato del
riavvolgimento si trova sul frontale destro, sotto il grosso pomello di carica e
dietro il solenoide,
mentre la manovella telescopica per riavvolgere la pellicola si trova nella
posizione tradizionale
ma è anch'essa decisamente sovradimensionata ed in configurazione di riposo è
ripiegata sul retro
dell'apparecchio, tenuta in posizione da una clip metallica; quando
l'apparecchio non è cablato
all'alimentazione 28 Volts si può attivare manualmente l'otturatore tramite lo
scatto flessibile
meccanico illustrato nelle immagini; nelle fotografie si intravedono i due cavi
di alimentazione
del solenoide che escono dal corpo macchina dietro l'attacco dei cavetti
flessibili; il dorso
posteriore è incernierato in alto ed ha una leva centrale di fissaggio
sovradimensionata che
agisce su un chiavistello posto sul bordo inferiore del dorso stesso. L'ottica
è posizionata
a fuoco fisso su infinito e consente di regolare i diaframmi da f/2,8 ad f/16.
L'apparecchio si impugnava come una pistola e richiedeva
solamente di impostare l'apertura
di diaframma (in funzione della luminosità ambiente, della sensibilità GOST
del film in uso
e del tempo di esposizione pari ad 1/1000", basandosi su tabelle realizzate
a terra e fornite
a bordo): una volta impostato questo valore l'astronauta poteva eseguire 36
esposizioni
semplicemente puntando l'apparecchio (alla cieca, non è previsto mirino) e
premendo il
grilletto: quest'ultimo chiude in circuito che - tramite la spina di interfaccia
sul tettuccio
dell'apparecchio - aziona il solenoide dell'otturatore, e successivamente la
molla provvede
a riarmare l'otturatore stesso e ad avanzare il film: per costruzione,
complessione e resa
ottica dell'obiettivo la Leningrad è certamente superiore alla Anscoset
utilizzata a quei tempi
dai rivali a stelle e strisce... Le due immagini si riferiscono a due diverse
generazioni di Leningrad:
sono apparecchi complessivamente identici, con piccoli dettagli distintivi nella
finitura.
L'obiettivo, progettato al GOI di Leningrado nel 1954, è un MIR-1 37mm f/2,8,
uno dei primi
obiettivi grandangolari retrofocus per 35mm realizzati al mondo, scelto per la
sua luminosità,
l'angolo di campo e la buona resa ottica, anche se il vantaggio del grande
spazio retrofocale
libero non viene sfruttato da quest'apparecchio. L'espressione "MIR",
poi ripresa per la celebre
stazione spaziale, significa "pace, concordia" ma anche
"Terra" : un nome evocativo e sicuramente
indicato; il MIR-1 per Leningrad presenta trattamenti antiriflessi molto
sofisticati anche nei modelli più
datati, prodotti nel 1961, ed è caratterizzato da una flangiatura anteriore di
forma circolare con delle
asolature che consentono di applicare il complesso fotocamera/obiettivo a
specifici attacchi presenti
sulle finestre dei moduli sovietici.
Il MIR-1 37mm f/2,8 fu progettato dal GOI di Leningrado nel
1954
e presenta uno schema base tipo Xenotar con menisco anteriore aggiuntivo
per incrementare l'angolo di campo e garantire la proiezione della coniugata
posteriore ad una distanza sufficiente per l'adozione su corpi reflex; questo
schema è concettualmente simile a quello dei primi Flektogon della Carl
Zeiss Jena. L'obiettivo adottava vetri molto sofisticati per l'epoca, a partire
dal grosso elemento anteriore realizzato con un vetro Fluor-Krown a bassa
dispersione analogo all'attuale Schott FK5, caratterizzato da un numero di
Abbe vD superiore a 70; a questo primo exploit faceva da contraltare
l'adozione di elementi ad alta rifrazione di tipo Short-Flint, tre dei quali
sono analoghi agli attuali SF6 ed SF10; si tratta quindi di un progetto molto
"nitido" ed avanzato che in tempi recenti ha avuto una buona diffusione nel
mercato amatoriale, anche se pochi sanno che il MIR-1 è stato anche l'obiettivo
spaziale russo per eccellenza! L'ottica in versione spaziale, in tempi recenti,
veniva assemblata dalla KMZ di Krasnogorsk, mentre gli esemplari più vecchi
erano costruiti dalla ZOMZ di Zagorsk.
Prova di risoluzione sul MIR-1 eseguita dal GOI nel 1955; la
risolvenza
in asse è eccellente, con un calo fisiologico ai bordi (prevedibile in un
grandangolare retrofocus della prima generazione) che restano comunque
su valori accettabili.
Un'altra affascinante sfaccettatura del programma spaziale
sovietico, ignota ai più,
riguarda la loro ossessione per Marte: fin dagli anni '50 l'esplorazione e
addirittura
la colonizzazione umana di Marte fu il loro obiettivo primario, e vennero
distolti
solamente dalla "sfida" lanciata da J. F. kennedy, quando ad inizio
anni '60 dichiarò
che gli Americani avrebbero conquistato la Luna entro il decennio: la posta
mediatica
in gioco era troppo grossa, ed i Sovietici abbandonarono il progetto
"Marte" per
accettare la sfida americana; in realtà, fin dal 1960, al GOI di Leningrado
avevano
pianificato la progettazione di una serie di obiettivi destinati alla fotografia
multispettrale
in vista dell'invio di sonde o navette con equipaggio sul pianeta rosso: questi
obiettivi
speciali, realizzati unicamente con Quarzo e Fluorite per garantire la
necessaria copertura
spettrale, erano denominati UFAR, e solo il nome è già tutto un programma!
Questa scheda riassuntiva sottolinea la sofisticazione di
questi obiettivi
sovietici nati per il progetto "Marte"; il primo di essi, l'UFAR-1
100mm f/4,
venne progettato addirittura nel Luglio 1960 e successivamente montato
dalla LOMO, anch'essa a Leningrado così come l'Istituto Statale di Ottica
(GOI) che l'aveva progettato; i sovietici possedevano un buon know-how
nella lavorazione di lenti in Quarzo e Fluorite, ed erano specializzati
nell'impiego
di Fluoruro di Litio anzichè il classico Fluoruro di Calcio.
L'UFAR-1 100mm f/4 (progetto GOI n° OF-233)
garantiva una trasmissione luminosa
superiore al 65% su un range spettrale compreso fra 230nm (ultravioletto) e
1.000nm
(infrarosso), copriva il 24x36mm con un angolo di campo di 24° e garantiva in
asse
una risoluzione di 63 l/mm che crollavano brutalmente sul campo a 15 l/mm a
causa di
aberrazioni residue (curvatura di campo, astigmatismo) irrisolte a causa
dell'impiego di
due soli materiali (Quarzo e Fluorite) caratterizzati da indice di rifrazione
troppo simile.
L'UFAR-4 52,4mm f/2,8 è un progetto
leggermente più recente e costituisce una
significativa evoluzione del precedente UFAR-2 da 52mm f/2,8 del Dicembre 1960,
che si basava su uno schema simile a quello del 100mm UFAR-1; nel caso
dell'UFAR-4
sono presenti ben 3 doppietti collati composti da Quarzo e Fluorite ma la
correzione
delle aberrazioni extrassiali resta problematica, come dimostrato dall'abisso
prestazionale
fra l'asse del fotogramma (85 l/mm) ed i bordi (15 l/mm). La focale 52,4mm, con
angolo
di campo di 45°, rende quest'ottica più adatta all'uso generale, mentre le
caratteristiche
di copertura spettrale sono identiche a quelle dell'UFAR-1 ed anche la
produzione era
sempre affidata alla LOMO.
Le ottiche ZUFAR-1 e ZUFAR-2
sono degli speciali catadiottrici da 500mm f/4 e
350mm f/4 effettivamente impiegati sulla DAC camera M5d che era a bordo delle
sonde
Mars-2, Mars-3, Mars-4 e Mars-5; queste ottiche coprivano rispettivamente 4° e
6° su
un formato da 24x24mm e garantivano una trasmissione luminosa superiore al 60%
sul
campo spettrale 300-700nm, coprendo quindi tutto lo spettro visibile e la prima
porzione
di infrarossi; per ottenere questa prestazione i catadiottrici Zufar, nuovamente
costruiti da
LOMO, adottavano uno specchio primario e secondario in Quarzo, con gruppo
secondario
di lenti in Fluorite; la perfetta foratura assiale dello specchio secondario è
sempre critica, al
punto che molti progettisti adottano uno schema che non richiede questa
apertura: proviamo
ad immaginare la perizia richiesta a praticare il foro in un grosso menisco di
Quarzo...
La risoluzione di questi obiettivi è molto più omogenea (50 - 44 l/mm il 500mm
e 57 - 47 l/mm
il 350mm) e si tratta senz'altro di realizzazioni molto sofisticate; lo Zufar-1
350mm f/4 misurava
160mm di lunghezza per 130 di diametro con un peso di ben 1.500g; le misure per
il 500mm
sono ignote, ma sicuramente superiori a quelle del 350mm.
L'immagine illustra la DAC camera M5d montata sulle sonde Mars;
l'obiettivo che la equipaggia è un catadiottrico Zufar-2 come quello
appena descritto dal punto di vista tecnico.
(picture copyright Dr. Klaus Schmitt - used under permission)
Le tabelle originali GOI relative ai primi obiettivi
multispettrali "marziani"
progettati nel 1960: l'UFAR-1 100mm f/4 (Luglio) e l'UFAR-2 52mm f/2,8
(Dicembre); lo schema ottico è simile, col caratteristico tripletto collato
posteriore;
le denominazioni in cirillico confermano l'esclusiva adozione di Quarzo e
Fluorite
ed in entrambi i casi la risoluzione, elevata al centro, crolla drasticamente
allontanandosi
di pochi mm dall'asse a causa della curvatura di campo e dell'astigmatismo
residuo.
Una versione moderna è rappresentata dall'UFAR-12 41mm f/2,5;
l'obiettivo
illustrato è stato prodotto nel 1993 e curiosamente non è indicato il
costruttore.
La montatura è molto spartata e le due ghiere di messa a fuoco e diaframma sono
dello stesso diametro e rifinite con una serie di ingranaggi che lascia supporre
l'impiego con servomotori simili a quelli degli obiettivi cinematografici; la
scheda
tecnica individuale evidenzia una risolvenza in asse di 82 l/mm e ai bordi di 40
l/mm:
la progettazione più moderna ha quindi corretto più efficacemente le
aberrazioni
periferiche garantendo una qualità ai bordi più soddisfacente (anche
quest'ottica
è realizzata impiegando solamente Quarzo e Fluorite)
(picture copyright Dr. Klaus Schmitt - used under permission)
Viste anteriore e posteriore dell'UFAR-12 41mm f/2,5 che
confermano la
finitura spartana ed essenziale; l'attacco dell'obiettivo è a vite 42x1mm e
la ghiera anteriore presenta dei fori filettati, forse per flangiare qualche
accessorio.
(2 pictures copyright Dr. Klaus Schmitt - used under permission)
Due esemplari diversi di UFAR-12 le cui matricole lasciano
supporre una produzione in piccolissima serie.
(2 pictures copyright Dr. Klaus Schmitt - used under permission)
La stazione orbitante MIR, simbolo delle missioni spaziali
sovietiche,
in rendez-vouz con lo Space Shuttle americano: una delle tante missioni
congiunte dove differenze ideologiche e politiche sparivano e restava solo
la meraviglia di condividere lo splendore mozzafiato del cosmo.
(picture by NASA)
Al termine di questa lunga chiacchierata voglio precisare di
essere cosciente
che gli argomenti sono stati trattati in modo incompleto e frammentario,
tuttavia
spero che facciate ammenda per le omissioni ed apprezziate la complessa
coordinazione
di dati, augurandomi che ciascuno di voi torni a fotografare con rinnovato
slancio grazie
alle meraviglie che le immagini riprese nello spazio ha saputo donarci, con quel
luccichio
negli occhi che viene dalle stelle.
Marco Cavina
(PS: so perchè mi accollo lavori immani come questo:
inconsciamente
mi sto lentamente preparando alla morte e queste sono lettere d'addio.)
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