HYPERGON - TOPOGON - RUSSAR - BIOGON - AVIOGON - HOLOGON:
LA STORIA DEFINITIVA DEI SUPER-GRANDANGOLARI SIMMETRICI
A questo pezzo, che ha richiesto anni di
ricerche ed un notevole sforzo fisico e concettuale per raccogliere, catalogare
e presentare graficamente i dati, tenevo davvero molto perchè questi mitici
obiettivi sono stati un po' i paladini dell'impossibile
e dell'immaginifico, depositari di un linguaggio formale inequivocabile,
autentiche trappole per i sogni; spero che il lettore
sappia apprezzare la passione ed il tempo profuso per rendere fruibile una messe
di dati in gran parte inediti e coesi per
la prima volta in una realtà unitaria, ad ampio respiro, vorrei poter dire
definitiva (ma cosa c'è di certo nelle cose umane?).
AMPI ORIZZONTI, FIN DALL'ALBA DEI TEMPI
Contrariamente a quanto si possa immaginare, grandangolari estremi con angolo di
campo mozzafiato esistono fin dagli
albori della fotografia: semplicemente estremizzando il concetto teorizzato da
Gauss fu possibile fin da metà '800 realizzare
obiettivi perfettamente simmetrici, costituiti da due menischi contrapposti
fortemente incurvati, la cui struttura speculare,
adottando aperture modeste, permetteva la correzione di molte aberrazioni, a
partire dalla distorsione, eccezionalmente
ridotta nonostante l'epoca e l'angolo di campo; un esempio di questi arditi
pionieri è costituito dal Panoramic di Sutton,
datato 1859 e costituito da due menischi a raggio parallelo incurvati come due
emisferi simmetricamente contrapposti,
davvero unico in quanto la cavità sferica fra i due menischi era riempita di
acqua, per sfruttarne il particolare indice di
rifrazione; il Panoramic ad acqua con un'apertura di f/12 copriva la bellezza di
120°, valore appena conquistato dalla
visione reflex a distanza di quasi 150 anni! Un'altro grandangolare spinto
simmetrico di quell'epoca fu il Globe di Harrison
e Schnitzer, datato 1860 e basato su due doppietti collati simmetrici e
contrapposti, costituiti da una coppia di menischi
incurvati, che ad f/11 garantiva 90° di campo.
GOERZ HYPERGON, LA BOMBA ESPLODE
A cavallo fra i secoli, esattamente nel 1900, il matematico Emil von Hoegh
firmò per la C. P. Goetz di Berlino (azienda
che sarebbe poi confluita nella Zeiss Ikon) uno dei più semplici e ad un tempo
straordinari super-grandangolari di ogni
tempo: il celeberrimo Goerz Serie X Hypergon Doppel Anastigmat, un
semplicissimo grandangolare simmetrico basato
sul puro concetto di Gauss: due sottili menischi a falce di luna, incurvati al
limite del fattibile, contrapposti e perfettamente
simmetrici, in grado di coprire lo straordinario angolo di campo di 135° con
distorsione geometrica pari a zero; ad oltre
un secolo di distanza non è ancora giunto sul mercato un obiettivo destinato
alla normale produzione di serie con queste
referenze! Lo schema si rifà concettualmente al già citato panoramic di Sutton,
ma non si rende più necessario il ricorso
alla lente di acqua grazie alle più avanzate caratteristiche dei vetri ottici
utilizzati, un settore in cui la C. P. Goerz Berlin,
era decisamente all'avanguardia ed in concorrenza con la stessa Schott.
L'Hypergon è un obiettivo unico per varie ragioni: la struttura simmetrica
abbinata alla luminosità modesta consente la
correzione di molti parametri: astigmatismo, distorsione e curvatura di campo
sono perfettamente corrette, così come
l'aberrazione sferica, anche se non agli stessi livelli; l'aberrazione cromatica
a piena apertura resta non corretta ma
viene eliminata, dopo la messa a fuoco a piena apertura, chiudendo il diaframma
al valore di lavoro; a questo proposito,
la scala dei diaframmi dell'Hypergon è davvero insolita, dal momento che
riporta soltanto due valori, uno riferito alla
piena apertura ed uno di lavoro, più chiuso all'incirca di uno stop; i valori
di riferimento sono f/48 ed f/96, due dati che
hanno tratto in inganno generazioni di utenti e collezionisti, dal momento che
essi si riferiscono alla ormai desueta
scala Stolze-Goerz, cui corrispondono nella scala internazionale in uso dal
dopoguerra i valori di f/22 ed f/31.
Un'altra caratteristica assolutamente inconsueta è rappresentata dal sistema
adottato per contrastare la fortissima
vignettatura: in un grandangolare da 135° a schema simmetrico la legge di
Lambert del cos4 di theta lavora a
pieno regime, con l'aggravante della pupilla d'ingresso dei raggi periferici che
si assottiglia verso gli angoli, garantendo
un'illuminazione ai bordi estremi non superiore al 5% del flusso assiale, una
condizione inaccettabile nell'uso comune;
a tale proposito i tecnici della Goerz hanno agito con mente aperta e
fantasiosa, scartando a priori l'opzione di un filtro
degradante concentrico, difficile da realizzare con i mezzi dell'epoca e
necessariamente troppo grande per non intercettare
l'enorme angolo di campo, scegliendo di realizzare una piccola stella dal
delizioso disegno liberty, infulcrata su un perno
che ne consente la rotazione, a sua volta collegato da tre sottilissime barrette
ad un castelletto dotato di un braccio mobile
che permetteva di posizionare la stella esattamente di fronte alla lente
anteriore (la stella era sagomata come i petali di
un fiore parzialmente dischiuso e copiava quasi perfettamente la curvatura del
menisco); un piccolo tubo metallico,
collegato ad una peretta di gomma tramite un tubo, consentiva di soffiare aria,
mettendo in rotazione la stella un po'
come avviene con i "frulloni" giocattolo dei bambini che ruotano al
vento: la stella è sagomata in modo tale che -
una volta entrata in rapida rotazione - sottrae il 100% della luce sull'asse
mentre passando verso i bordi il prelievo si
riduce, diventando nullo agli angoli estremi.
Nell'uso pratico, si eseguiva l'80% della posa sollevando il braccetto con la
stella rotante e per il restante 20% si
rovesciava rapidamente in posizione la stella e si completava la posa facendola
ruotare col soffio d'aria: in questo
modo si equilibrava l'esposizione centro-bordi e la veloce rotazione rendeva lo
strumento invisibile sull'immagine
finale: il risultato era una fotografia da ben 135° ma molto corretta da ogni
punto di vista e caratterizzata da un
contrasto molto elevato: le immagini d'esempio di grossi grattacieli americani
riportate sulle brochure d'epoca sono
davvero impressionanti, dal momento che furono realizzate su lastre da ben
8x10".
Anche la montatura è davvero degna di nota; al di la della struttura aggiuntiva
per la stella di compensazione, essa si
distingue dalla produzione coeva, ancora legata a parti in ottone e metallo
lucido a vista e a font di testo dal
ridondante gusto liberty: il corpo dell'Hypergon era infatti interamente
rifinito in nero opaco, con sobrie scritte cubitali
perimetrali: un aspetto all'epoca giudicato dimesso ma che, col gusto attuale,
appare decisamente moderno, quasi
un look Zeiss-ante litteram; la montatura è priva di otturatore, i cui spessori
di lavoro sarebbero stati incompatibili
con i bordi dei due menischi, quasi a contatto, nè sarebbe stato possibile
applicarne uno alle due estremità, visto
l'angolo di campo in gioco: del resto, con un diaframma di lavoro pari a quasi
f/32 e le ridotte sensibilità delle lastre
in uso all'epoca , i tempi di posa erano sempre da "cap exposition":
occorreva soltanto essere lesti a rovesciare la
stella in posizione e completare la posa soffiando aria con l'apposita peretta.
L'Hypergon, mostro senza rivali, incontrò un buon successo commerciale e rimase
in produzione per decenni;
all'interno della C. P. Goerz il suo codice di riferimento era "serie
X" e furono messe in cantiere nove versioni diverse:
sei caratterizzate dall'angolo di campo di 135° e dotate della stella
rotante di compensazione e tre, introdotte
in un secondo tempo, con l'angolo di campo ridotto a 110° (sempre e comunque un
valore elevatissimo), che
grazie a questa modifica presentavano un'illuminazione periferica giudicata
soddisfacente e non richiedevano
la stella di compensazione; le varie versioni erano a loro volta identificate da
un codice alfanumerico, come
000a, 00, 0, 1, 2a etc; ho realizzato uno specchio riassuntivo generale che
raccoglie tutti i dati significativi
delle varie versioni: eccolo a seguire.
in questo specchio riassuntivo troviamo il semplicissimo schema ottico
simmetrico dell'Hypergon, basato su
avanzati vetri Goerz ad alta rifrazione, assieme allo spaccato ricavato dal
progetto originale di von Hoegh, che
brevettò il suo gioiello prima con Deutsche Reichspatent n° 126.500 e poi con
U.S. Pat. n° 706.560; l'obiettivo
fu prodotto i sei versioni da 135° (60mm, 75mm, 90mm, 120mm, 150mm e 200mm) e
successivamente anche
in tre versioni con angolo di campo ridotto a 110° (75mm, 90mm e 120mm), che
non richiedevano la complessa
procedura per compensare la vignettatura; nell'immagine dell'obiettivo si può
notare la curiosa struttura,
infulcrata ad ore 9, che consente il ribaltamento della stella rotante in
posizione; ad ore 12 troviamo il tubo
di raccordo per la peretta che soffia aria sulla stella, mettendola in rotazione
rapida. In assoluta evidenza la
diagonale del formato coperto: ad esempio, il 75mm copre un cerchio da 325mm di
diametro ed impressiona
una lastra 8x10" (20x25cm), mentre un moderno 75mm da banco - come il mio
Nikkor SW 75mm f/4,5 -
arriva ad appena 200mm, valore che non consente di coprire nemmeno il 5x7"
(13x18cm), permettendo
solo aggiustamenti sul 4x5" (10x12cm): le possibilità dell'Hypergon erano
davvero straordinarie; l'angolo di
campo effettivo è precisamente di 134,6°
credits : Hypergon picture Mike de Punte
Pochissimi sanno altresì che alla Zeiss, dopo il lancio della celebre Contax a
telemetro, era in atto una sorta di frenesia
collettiva per dotare nel minor tempo possibile il nuovo, prestigioso
apparecchio della più vasta gamma di obiettivi possibile;
naturalmente il settore dei grandangolari era quello che più risentiva delle
limitazioni del tempo e che più avrebbe fatto
aspettare gli appassionati; a tale proposito alla Zeiss adattarono il progetto
Hypergon, riducendo l'angolo di campo ad
80 e 60° per non richiedere il macchinoso sistema di compensazione a stella
rotante, e realizzarono due prototipi di
Hypergon 3,75cm f/5,6 ed un prototipo di Hypergon 2,5cm f/8 in montatura Contax;
gli esemplari di focale maggiore
riportavano le matricole 2.667.579 e 2.667.580, mentre il 2,5cm corrispondeva al
numero 2.561.263; gli obiettivi
non furono mai prodotti ed i prototipi finirono nella famosa collezione Zeiss,
poi spoglia di guerra degli Americani.
riproduzione di una borchure Goerz relativa all'Hypergon con l'impressionante e
calligrafica
riproduzione di un grande edificio, eseguita con l'Hypergon da 75mm su lastra
20x25cm;
notare come l'azione della stella abbia eliminato ogni vignettatura:
difficilmente un super-
grandangolare attuale di grande formato è in grado di surclassare la resa di
questo campione
classe 1900
Dopo l'assorbimento della C. P. Goerz - Berlin da parte
della Zeiss e la creazione della Zeiss Ikon,
l'Hypergon venne prodotto con le insegne della nuova proprietà e veniva
denominato Goerz Hypergon
Carl Zeiss Jena, come confermato dalla pagina di questa rara brochure dedicata
ai grandangolari Goerz
e risalente agli anni successivi alla creazione della Zeiss Ikon; la gamma dei
modelli era stata ridotta al
60mm, al 75mm ed al 120mm.
questo schema riproduce in scala esatta il posizionamento della stella rotante
di fronte alla
lente anteriore dell'Hypergon da 135°; i bracci rastremati sottraggono
progressivamente
sempre meno luce passando verso i bordi, agendo in rotazione come un filtro
degradante
concentrico; siccome la parte centrale viene completamente oscurata, è
necessaria una
porzione preliminare di esposizione senza la stella in uso
ho realizzato questa piccola animazione che spiega meglio di
tante parole il funzionamento di questo curioso strumento
La montatura dell'Hypergon andava posizionata sulla tavoletta del banco in modo
tale che il fulcro della
stella si trovasse ad ore sei e l'ingresso d'aria ad ore nove; sul frontale
insolitamente piatto e rastremato
(una necessità per lasciare campo libero all'inquadratura) troviamo in alto la
dicitura "HYPERGON - DOPPEL -
ANASTIGMAT" con una variante in corso d'opera: nelle serie dei primi anni
veniva citata a seguire la
patente tedesca "D.R.P. No. 126500", mentre nelle serie successive
questa dicitura veniva omessa;
alla riga inferiore erano indicati il tipo ( "Serie X") ed il modello
di obiettivo (es: "No. 000a"), seguiti dalla
lunghezza focale, la cui dicitura fu modificata nel tempo: nei primi esemplari
era infatti espressa in mm
(ad esempio "F=90 M/M") mentre in quelli successivi la scala era in cm
(ad esempio: "F=9 cm"); inoltre,
in queste serie avanzate veniva omesso il modello di obiettivo, lasciando
soltanto il tipo generale ("Serie X")
e la lunghezza focale; in un terzo rigo, e questo vale per tutti, c'era il
numero di matricola. Sul settore inferiore, ad
ore sei, era riportato il nome della Casa, appunto C. P. GOERZ BERLIN,
mentre nei primi esemplari si
può notare la scritta Germany sul bordo esterno dell'ottica, scomparsa negli
ultimi.
L'hypergon, pur con la sua rudimentale struttura e con la difficile messa in
opera, era un obiettivo dalle
caratteristiche uniche e dalle prestazioni notevoli, ed ha cavalcato l'onda
lunga per vari decenni, al punto
che ancora negli anni '60 e '70 lo troviamo al lavoro nella documentazione
sistematica ortogonale
dei soffitti di chiese barocche, con risultati veramente impressionanti.
la mitica trilogia Zeiss di grandangolari simmetrici
ZEISS TOPOGON: IL MULTIFORME FIGLIO DELL'HYPERGON
L'Hypergon aveva spalancato orizzonti inimmaginabili, ma la
sua apertura di lavoro f/31 con l'uso della stella di compensazione
gli precludeva le possibilità dell'utilizzo dinamico, come ad esempio la
fotogrammetria aerea; ad inizio anni '30 vi fu un grande
impulso allo sviluppo di obiettivi destinati a quest'uso e i grandi matematici
di ogni paese si applicarono per evolvere il concetto
nelle direzioni sperate: l'acquisizione di un'adeguata correzione
dell'aberrazione cromatica anche a diaframma spalancato
(comunque necessaria per lavorare con i filtri taglia-banda solitamente
impiegati) ed il raggiungimento di un'apertura massima
superiore, compatibile con le esigenze pratiche; la linea evolutiva prevedeva
l'applicazione ai due menischi falciformi del tipo
Hypegon di due lenti gemelle, più piccole e poste internamente con spaziatura
ad aria; pur nella perfetta simmetria speculare,
l'adozione di due menischi esterni con vetro a bassa rifrazione e bassa
dispersione abbinati a due menischi interni in vetro ad
alta rifrazione/alta dispersione crea le condizioni per il controllo
dell'aberrazione cromatica, mentre la struttura a 4 elementi
consente sufficienti variabili per elevare l'apertura massima ad f/6,3, anche se
nei primi modelli l'aberrazione sferica residua
richiede di diaframmare almeno ad f/11, limitando f/6,3 alla messa a fuoco;
naturalmente, grazie alla struttura assolutamente
simmetrica, la distorsione, come richiesto in aerofotogrammetria, è
virtualmente zero; il primo obiettivo di questa nuova
generazione fu presentato dalla Carl Zeiss Jena ed era stato progettato dal Dr.
Robert Richter, che aveva presentato la
richiesta di brevetto in Germania il 25 Luglio 1933 e negli Stati Uniti il 25
Luglio 1934; quest'obiettivo fu battezzato Zeiss
Topogon, e già l'etimologia del nome stesso la dice lunga sul suo impiego
previsto, ovvero la topografia e la fotogrammetria
grandangolare.
L'obiettivo, nelle opzioni del progetto originale, prevedeva un angolo di campo
di 100°, 35° in meno dell'Hypergon, ma con
una migliore distribuzione della luminosità ai bordi, seppure anche il tipo
Topogon subisse severamente gli effetti della legge
di Lambert, al punto che non si richiedeva nell'impiego generico un sistema
degradante di compensazione; quasi allo stesso
tempo, nel 1934, il grande matematico sovietico Michael Michaelovitch Roosinov
completò il calcolo di un obiettivo di foggia
analoga, che fu battezzato Leear-6 e garantiva 100° di campo, un progetto poi
migliorato col Russar-1 da 105° del 1936,
ampiamente utilizzato in aerofotogrammetria, cito questo progettista sovietico
perchè i suoi studi, come vedremo, saranno
di ispirazione fondamentale per i successivi progetti degli anni a venire. Il
Dr. Robert Richter sviluppò a fondo il concetto
doppio gauss del Topogon, come dimostrato da tre brevetti richiesti nel 1933,
nel 1938 e addirittura nel 1955: 25 anni
trascorsi a perfezionare la sua idea, perfetta in se e limitata solamente
dall'ineluttabile vignettatura legata al suo concetto.
Nel pacchetto del progetto originale erano presenti già due varianti del tipo
Topogon, in vista di un impiego molto diversificato:
due modelli base, a 4 lenti in 4 gruppi, erano caratterizzati da luminosità
f/6,3 e lunghezza focale di 66mm e 75,7mm e coprivano
un angolo di 100°; a questi due ne va aggiunto un tipo evoluto, che presenta
all'estremità dello schema ottico l'aggiunta di
due spessi e massicci menischi di campo in vetro pianoparallelo, portando così
a sei le lenti impiegate, pur mantenendo
uno schema simmetrico ed il campo coperto di 100°; le tre varianti si
giustificano con uno studio esasperato per il controllo
della distorsione in ogni configurazione e per ogni distanza: il primo tipo
(66mm f/6,3 a 4 lenti) è un obiettivo ben corretto
dal punto di vista sferico e cromatico con un campo anastigmatico fino ad oltre
100°, tuttavia è perfettamente simmetrico
rispetto al diaframma e presenta ad infinito una leggera distorsione dal momento
che nei simmetrici puri la distorsione è pari
a zero solo nel rapporto di riproduzione 1:1, a distanza molto ravvicinata!
Viene in aiuto la seconda opzione (75,7mm f/6,3),
che presenta un'asimmetria nel raggio di curvatura dei due menischi esterni, e
questo consente di controllare al meglio la
distorsione a grandi distanze, nell'utilizzo più frequente; inoltre, la scelta
di mantenere simmetrici i due piccoli menischi interni
riduce i costi di produzione, dal momento che sono realizzati in vetro flint ad
alta rifrazione, molto duro e difficile da lavorare,
e la necessità di realizzare un solo raggio di curvatura per entrambe le lenti
è certo benvenuta. Dal momento che questa
generazione di obiettivi era stata prevista anche per proiezione e soprattutto,
come vedremo, per la stampa con
ingranditore di immagini aero-fotogrametriche, fu prevista la terza opzione
(66,1mm f/6,3 a 6 lenti), che grazie all'aggiunta
dei due spessi vetri piano-paralleli esterni presentava una fluttuazione delle
distorsione irrisoria nel campo compreso fra
infinito ed 1:1; inoltre, Richter calcolò l'obiettivo in modo che con entrambi
i vetri esterni in posizione la distorsione fosse
praticamente nulla alle coniugate brevi, mentre per le lunghe distanze si
toglieva il vetro anteriore, che era rimovibile, e
questa variabile ottimizzava la distorsione su infinito; un ultimo vantaggio da
non sottovalutare: sulla superficie piana del
menisco posteriore era possibile riportare una sfumatura degradante concentrica
per annullare la vignettatura, procedura
che, come vedremo, sarà effettivamente messa in atto su alcuni modelli.
la prima opzione di Topogon, calcolata nel 1933, prevede la perfetta simmetria
ed un'apertura di f/6,3
con un'elevata risoluzione anche a tutta apertura nella porzione centrale; si
può notare la diretta derivazione
dal concetto Hypergon, con l'aggiunta dei due menischi interni in vetro flint ad
alta rifrazione (nD=1.7172)
che in sinergia con i vetri esterni a bassa dispersione (vD= 60,4) correggevano
gli errori cromativi che relegavano
l'Hypergon all'apertura di lavoro f/31; questa opzione simmetrica presenta
lievissimi errori di distorsione su
infinito ed è quindi adatta all'impiego generale ma non fotogrammetrico
La seconda opzione del progetto originale datato 1933, pur mantenendo le
caratteristiche di base come
angolo di campo 100° ed apertura f/6,3, presenta raggi di curvatura nella lente
L4 diversi dalla sua
corrispondente speculare L1, e questa variabile corregge perfettamente la
distorsione ad infinito, rendendo
questo tipo idoneo alla fotogrammetria
la terza e più sofisticata opzione del progetto datato 1933 prevede l'aggiunta
di due grossi menischi piano-paralleli
esterni che riducono a livelli irrisori le variazioni della distorsione passando
da infinito alla scala reale 1.1; inoltre, la
possibilità prevista in progetto di operare ad infinito senza il menisco
anteriore rende l'ottica praticamente priva di
distorsione sia ad infinito che a coniugate brevi, consentendo anche l'impiego
come obiettivo da stampa (nella versione
V-Topogon) per le criticissime esigenze d'ingrandimento d'immagini
aero-fotogrammetriche; queste speciali versioni
di Topogon presentavano anche un riporto degradante concentrico sul menisco
piano-parallelo posteriore (come
evidenziato nello schema), per correggere l'unico, vero limite del tipo Topogon:
la caduta di luce ai bordi.
Con la Germania nazista sempre più vicina al conflitto le
esigenze aero-fotogrammetriche diventarono ancora più estreme e fu
richiesto un angolo di campo superiore, per operare a quote minori minimizzando
la foschia; Richter presentò un nuovo progetto
nel Luglio 1938 con una soluzione insolita ma razionale: non era più possibile
spingere oltre l'angolo di campo del Topogon
senza incorrere in vignettature impraticabili, così Richter mise a frutto gli
esperimenti effettuati sui primitivi fish-eye ad uso
metereologico e modificò il Topogon aggiungendo un membro di lenti anteriori
che proiettava l'immagine su un obiettivo relay
posteriore (del tutto analogo al Topogon precedente) col compito di focalizzarla
sulla pellicola; per minimizzare la vignettatura
e semplificare il progetto fu accettato di non correggere la distorsione a
barile, ottenendo due obiettivi che si comportano
come i fish-eye che ben conosciamo: il primo , un 19,2mm f/6,3, copriva ben
180° ed il secondo, un 80,4mm f/6,3 destinato
a formati molto grandi, ne copriva 136°, all'incirca come l'Hypergon originale!
Naturalmente non era accettabile una
distorsione da fisheye in fotogrammetria, ed infatti lo stesso obiettivo veniva
poi utilizzato come ottica da ingrandimento,
per restituire una stampa assolutamente priva di distorsione; la versione maggiore
fu estensivamente utilizzata dalla Luftwaffen
fra il 1941 ed il 1945 per l'aerofotografia con la denominazione di Zeiss Pleon.
lo schema di Topogon-fisheye da 19,2mm f/6,3 per 180° tratto dal progetto di
Richter del 1938;
i vetri flint ad alta rifrazione erano stati evoluti negli ultimi 5 anni ed i
due piccoli menischi falciformi
del membro posteriore-relay presentano ora un indice di rifrazione nD = 1,7283;
la lente frontale
ha un diametro di oltre 160mm
the big one: il Topogon-fisheye 80,4mm f/6,3 copre solamente (si fa per dire)
136° ma impressiona
formati molto grandi; la lente anteriore misura circa 205mm di diametro; è
stato utilizzato in aero-fotografia
con la denominazione commerciale Zeiss Pleon
Lo sviluppo del Topogon, sulla via della perfezione anche riguardo ad
aberrazione sferica e vignettatura, fu tenacemente
perseguito da Richter fino all'avanzato dopoguerra: infatti il 25 febbraio 1955
presentò un terzo progetto globale, realizzato
per la rinata Carl Zeiss occidentale in colaborazione col Dr. Friedrick Koch,
brevettato in Germania con successiva richiesta
di brevetto americano in data 4 Giugno 1955 (concesso il 27 Giugno 1958); in
questo progetto erano presenti due interessanti
varianti: un Topogon classico f/6,3 con la variabile di un terzo menisco
falciforme aggiunto su un lato, sull'esempio del
Bausch&Lomb Metrogon americano sviluppato in tempo di guerra, riducendo
l'angolo di campo a 90° ma ottenendo una
sensibile riduzione della vignettatura; il secondo e più significativo
prototipo è un po' il canto del cigno di questo glorioso
tipo ottico, portato ad estreme conseguenze e quasi stravolto sull'esperienza
dei nuovi obiettivi fotogrammetrici di Bertele.
L'estrema evoluzione del Topogon, datata 1955: Richter ha "ibridato"
il suo schema con gli insegnamenti derivati
dall'Universal-Aviogon e dal Biogon di Bertele (che analizzeremo in seguito),
bardando il Topogon con due grandi
menischi esterni incurvati; la rifrazione delle due piccole lenti falciformi
all'interno dello schema è salita ad 1,7847
mentre è significativa l'aggiunta di due ulteriori minuscole lenti all'interno
del gauss, piano-parallele e collate, ricavate
da vetri particolari caratterizzati da indice di rifrazione pressochè identico
(nD= 1,6200 ed 1,6204) ma con dispersione
diametralmente opposta (vD= 60,3 e 36,3), questo per intervenire sulla
correzione dell'aberrazione cromatica senza
interferire a livello rifrattivo sulla correzione di Seidel relativa ad altre
aberrazioni; l'obiettivo ha un'apertura di f/5,6
e grazie all'angolo di campo ridotto a 90° presenta una ridotta vignettatura;
questo Topogon paludato da Biogon, che
rinnega se stesso, è il punto di arrivo di un glorioso schema che va a cozzare
contro i suoi limiti fisiologici; di questo
obiettivo fu realizzato un esemplare dalla Carl Zeiss Jena, poi si decidette di
soprassedere per i costi eccessivi nella
lavorazione delle lenti, dato che era già marciante il temibile concorrente
occidentale Biogon f/4,5.
L'obiettivo tipo Topogon è rinomato presso appassionati e
collezionisti per la sua eccezionale nitidezza e brillantezza di
contrasto, tuttavia la sua fama è dovuta soprattutto al peraltro raro Topogon
25mm in forza al corredo Contax a telemetro,
in versione 25mm f/4,5 pre-bellica (solo pre-serie) e 25mm f/4 postbellica, prodotta dalla
Zeiss Jena D.D.R. a partire dal 1950,
la cui unica variabile rispetto al modello prebellico - che giustifica il
modesto incremento nell'apertura - consiste nel trattamento
antiriflessi; l'obiettivo, realizzato in montatura leggera in lega d'alluminio,
presenta un passo filtri da 55mm e un diaframma che
chiude da f/4 ad f/16; negli ultimi esemplari focale e luminosità vengono
semplicemente indicati 4/25 mentre nei precedenti
1:4 f=25mm; nel sistema Contax l'obiettivo non ebbe rivali con i suoi 80° di
campo fino al 1954, quando subentrò l'ancora
più spinto e complesso Biogon 4,5/21 di Bertele da 90°, tuttavia
l'avvicendamento non fu immediato, dato che il Topogon
fu prodotto in piccola serie ancora fino al 1957 (anno in cui - in verità - ne
furono realizzati solo 93 esemplari, come quello
illustrato a seguire). In realtà quella dei Topogon fu una famiglia numerosa e
ben assortita, tuttavia ignota al grande pubblico
dal momento che si trattava di obiettivi destinati ad impieghi
tecnici-topografici su teodoliti o fotocamere metriche ed alla
aerofotogrammetria civile e soprattutto militare: la Luftwaffen macchiò
sinistramente il nome di questo grande progetto
utilizzando estensivamente il Topogon per la ricognizione aerea, non certo per
scopi pacifici; sono note versioni da 60mm
per impiego su speciali fotocamere metriche Zeiss a doppio obiettivo come la
SMK-40 o ad obiettivo singolo come la TMK;
nonostante il fatto che Topogon sia un brevetto della Zeiss orientale, esiste
anche il Topogon 60mm f/11 (per 88°) prodotto
ad Oberkochen, molto raro e caratterizzato dalla matricola speciale metrica
assegnata dalla Zeiss - West a questi prodotti;
dagli anni '30 arrivano Topogon da 55, 100 e 153mm di focale in montatura compatta
per uso topografico e/o su teodolite;
infine, la versione del progetto datato 1933 con i due menischi esterni
aggiuntivi fu utilizzata sia per l'aerofotogrammetria sia
per la stampa dei relativi negativi, utilizzando lo stesso Topogon come
obiettivo da ingrandimento su uno speciale ingranditore
di grandi dimensioni, realizzato ad inizio anni '50 dalla stessa Carl Zeiss e
denominato Zeiss SEG 5; il Topogon a 6 lenti ad
esso destinato era un 180mm f/5,6 definito Topogon - V , caratterizzato da
dimensioni imbarazzanti con una montatura dal
diametro di circa 30cm e dal peso di decine di chili! Esistono due versioni del
Topogon - V 180mm f/5,6 per stampa di negativi
fotogrammetrici, caratterizzate da varianti minori nell'estetica, come il
posizionamento delle scritte (sul profilo del cannotto anteriore
nel primo tipo, sulla cornice frontale della lente anteriore nel secondo) così
come nella loro composizione ( "Topogon V 1:6,3
f = 180mm" nel primo tipo e "Topogon V 1:5,6/180" nel secondo);
altra variabile nel comando del diaframma, messo in opera
da una spartana leva su guida semicircolare nel primo tipo e da un manettino
rotante nel secondo; entrambi gli esemplari sono
dotati di un misterioso collegamento elettrico (un cavo fisso di enorme sezione
nel primo tipo, una grossa presa pentapolare
nel secondo) la cui funzione mi è ignota: se si trattasse di un comando
motorizzato di apertura-chiusura del diaframma al
valore preselezionato non sarebbe certamente necessario un cavo di tale sezione
nè una complessa presa pentapolare...
Una caratteristica esclusiva del Topogon - V 180mm consiste nel fatto che
sull'enorme menisco piano-parallelo posteriore,
grande come un piatto da tavola, era applicato un riporto concentrico grigio
neutro degradante verso i bordi, che annullava
la vignettatura presente nel sistema, rendendolo pressochè perfetto; a tale
proposito, potrà incuriosire la scelta della Zeiss
di utilizzare un grandangolare spinto simmetrico per fotografia aerea come
obiettivo da ingrandimento per esigenze estremamente
critiche, quando sulla carta sarebbe stato più semplice ed economico adottare
un Gauss come un tipo S-Planar, nè del resto
è necessario il suo angolo di campo per ottenere ingrandimenti spinti, viste le
dimensioni dell'ingranditore: in realtà la scelta
ha un senso logico, dal momento che il Topogon - V 180mm f/5,6 presenta una
risoluzione molto elevata (fino a 140 l/mm,
un valore eccezionale se raffrontato al grande formato impressionato e/o
stampato) ed una distorsione praticamente nulla;
occorre ritoccare i parametri di quest'ultima asserzione: siamo abituati a
considerare nulla la distorsione di un'ottica quando
è quantificabile nell'ordine dello 0,5%, il che significa una curvatura di una
linea retta pari a 5mm su l'ingrandimento di 1 metro;
ebbene: il Topogon - V 180mm f/5,6 su una stampa analoga di grandi dimensioni
garantisce uno spostamento geometrico
massimo contenuto in 10 MICRON, pari a 0,01mm, cioè una distorsione dello
0,001% ! La sua correzione è tale che veniva
usato anche come calibro di riscontro per valutare la distorsione effettiva
presente negli obiettivi aerofotogrammetrici da ripresa,
stampando a tale uopo i loro negativi! Questi obiettivi sono molto particolari
perchè, caso unico, sono stati effettivamente
prodotti ad Oberkochen, nonostante il fatto che Topogon sia un nome registrato
dalla Carl Zeiss Jena e che l'intera produzione
di questi obiettivi provenga da lì; anche le matricole (120.000-135.000) sono
atipiche, in quanto si riferirebbero alla fine
anni '40: pare invece che la Zeiss Oberkochen abbia utilizzato una numerazione
indipendente per i pezzi appartenenti alla
serie degli apparecchi metrici per aero-fotogrammetria, così come già
accennato per il raro Topogon 60mm Oberkochen.
una serie di Topogon assortiti che rende l'idea della versatilità di questo
progetto e delle molteplici
applicazioni pratiche che ha trovato nella sua gloriosa carriera: tutti
conoscono il Topogon 25mm in
quanto dotazione del corredo Contax RF pre e postbellico ma esistono numerose
varianti ed esemplari
prototipici, e certamente l'inventario completo è difficile; nelle immagini
troviamo un prototipo del 1938
da 13,5mm f/3,5, davvero insolito e destinato ad una cinepresa Zeiss Movikon
16mm; il classico
25mm per Contax, nella versione postbellica f/4 (uno degli ultimi prodotti, anno
1957); un raro Topogon
60mm f/11, già appartenente alla generazione a 6 lenti con i due menischi
piani, montato anche su apparecchi
metrici Zeiss a doppia ottica; tre versioni anni '30 da100 e 153mm destinati ad
uso tecnico-topografico; un
particolare e raro 200mm f/6,3 in montatura per aerial-camera del 1937,
estensivamente utilizzato dalla
Luftwaffen nazista per mappatura aerea, e dotato di una complessa piastra di
montaggio che all'origine era
dotata di una serie d'ingranaggi per armare l'otturatore e regolare il diaframma.
Il Topogon 60mm appartiene
alla serie rarissima prodotta ad Oberkochen (probabilmente a seguito di un
accordo con la Zeiss Jena):
infatti le engravings sono tipicamente occidentali mentre la matricola atipica
(97076) si riferisce alla numerazione
speciale assegnata ad Oberkochen ai prodotti della gamma metrica (nulla a che
vedere, dunque, con la
matricola equivalente che risale all'immediato dopoguerra ed alla produzione
Zeiss Opton realizzata a
Coburgo nella Kollmorgen facility dello Stiftung, ancora prima di migrare ad
Oberkochen ed iniziare
a produrre dapprima col marchio Oberkochen Opton e finalmente, dopo complessi
accordi legali, con
la classica dicitura Carl Zeiss)
credits: photo 1-2-4-6-7-8: Westlicht Photographica Auction - photo 3:
Arsenal-photo.com photo- 5: Klaus Dr. Schmitt
due viste di fotocamere metriche tipo Zeiss SMK dotate di Topogon 60mm
nella rara versione prodotta ad Oberkochen ed appena descritta
credits : Klaus Dr. Schmitt
una vista anteriore del Topogon - V 180mm f/5,6 seconda serie cui ho abbinato la
rappresentazione grafica del suo
schema ottico, caratterizzato dalla versione 1933 a sei lenti, due delle quali
in forma di spessi menischi piano-paralleli
esterni che consentivano un perfetto controllo della distorsione su ampie
variazioni del rapporto di riproduzione; per
quantificare le dimensioni, il nottolino nero a sinistra dell'etichetta
"97" (usato per preselezionare il diaframma) veniva
impugnato facilmente dall'operatore con il palmo della mano; notare la
misteriosa presa pentapolare e le scritte riportate
sulla montatura anteriore; il passaggio dalla prima alla seconda serie è
avvenuto all'incirca dalla matricola 130.000, sempre
riferendoci alla speciale numerazione Oberkochen assegnata alla gamma dei
prodotti metrici
credits: picture Thomas Mueller
una veduta d'insieme del Topogon - V 180mm f/5,6 prima serie, con i dati
riportati sul profilo del cannotto
anteriore; lo sbalzo a profilo quadrato della montatura ed il misterioso cavo
elettrico di grande sezione lascia
intendere una qualche forma di controllo motorizzato, di cui ignoro le
prerogative; indicata dalla freccia rossa
potete notare il riporto degradante concentrico sul menisco posteriore,
necessario per uniformale l'illuminazione
sul campo; sono chiaramente avvertibili le enormi proporzioni
credits : Klaus Dr. Schmitt
una vista posteriore del Topogon - V 180mm f/5,6 seconda versione,
caratterizzato da una montatura più pulita
e priva dello sbalzo supplementare; il fiammifero svedese in legno rende bene le
proporzioni
credits : Thomas Mueller
vari dettagli del Topogon - V 180mm f/5,6 seconda serie, caratterizzato da un
rinnovato trattamento
antiriflessi e dal pratico nottolino per la regolazione del diaframma
credits : Thomas Mueller
un'immagine dell'insolito ed enorme ingranditore Zeiss SEG 5, utilizzato per
stampare negativi
aero-fotogrammetrici sfruttando lo Zeiss Topogon - V 180mm f/5,6, chiaramente
visibile
sotto la testa dell'ingranditore; dall'immagine otteniamo conferma delle grandi
dimensioni
dell'ottica
credits: Klaus Dr. Schmitt
un dettaglio della testa del SEG 5 dotato di Topogon - V
seconda serie; notare la spina interfacciata alla
presa pentapolare ed il nottolino per la regolazione del diaframma in posizione
frontale; quest'obiettivo
ingrandiva negativi aero-fotogrammetrici di grande formato con distorsione
nell'ordine dello 0,001%
credits : Klaus Dr. Schmitt
UPGRADING 23/12/2007
ABOUT TOPOGON-V 180mm BY ZEISS OBERKOCHEN
Ho trovato spiegazione all'anomalo impiego dello schema e del nome Topogon da
parte della divisione metrica
della Zeiss di Oberkochen nel dopoguerra: il progetto Topogon di Richter era
certamente registrato all'origine
a nome della Zeiss Jena così come il nome dell'obiettivo, tuttavia nel 1952 lo
stesso Richter (assieme a Friedrick
Koch) brevettò nuovamente il Topogon e le sue evoluzioni che nel frattempo
aveva calcolato anche a nome della
Zeiss occidentale, fornendo così alla Casa con sede ad Heidenheim l'imprimatur
legale per produrre a sua volta
il celebre obiettivo, mantenendone anche il nome di battesimo; nel nuovo
brevetto di Richter è presente anche una
evoluzione del Topogon prebellico dotato di spessi menischi esterni
pianoparalleli supplementari: in questo caso è
stato aggiunto un ulteriore, sottilissimo doppietto collato quasi sull'asse del
diaframma, portando ad 8 il numero
complessivo delle lenti. Questa versione (che copre 90°) è dichiarata come
virtualmente priva di distorsione ed in
grado di garantire risultati di valore in un ampio intervallo di scala; questo
progetto da 182mm f/6,3 entrò poi in
produzione come Topogon-V 180mm f/6,3 e rappresentò la prima versione di questo
celebre obiettivo da ingrandimento
prodotto dalla divisione metrica della Zeiss Oberkochen, poi evoluto - come
visto - in Topogon-V 180mm f/5,6.
Ho personalmente realizzato delle schede riassuntive che per la prima volta
svelano le caratteristiche ottiche ed i
piccoli segreti di quest'obiettivo davvero straordinario in tutti i sensi, a
partire dalla risoluzione superiore e dalla
distorsione fotogrammetrica per finire con i 9kg di peso ed il prezzo di listino
equivalente a qualcosa come 20.000 Euro
attuali (Dicembre 2007).... La complessa e voluminosa montatura cilindrica
incorporava il diaframma ed un'accoppiata
costituita dal filtro rosso e da un otturatore elettronico che venivano
comandati tramite la presa elettrica presente
sulla montatura stessa; ecco a seguire gli inediti schemi che mostrano
finalmente il Topogon-V senza veli...
l'inedito schema ottico del Topogon-V 180mm f/6,3 prodotto dalla Zeiss
Oberkochen; come si può
notare lo schema anteguerra per il Topogon metrico dotato di menischi esterni
pianoparalleli è stato
evoluto nel dopoguerra da Richter e Koch aggiungendo un sottilissimo doppietto
collato all'interno
del nocciolo ottico, esattamente 1mm davanti al diaframma; le lenti esterne
hanno un diametro di
circa 14,5cm e nelle versioni successive sarà presente anche una sofisticata
deposizione di ossidi
metallici semi-trasparenti sulla faccia posteriore dell'ultima lente, applicata
in modo disomogeneo
per ottenere l'effetto di un filtro degradante neutro e correggere così l'unico
vero difetto del tipo
Topogon: la vignettatura
Analizzando in profondità le caratteristiche tecniche del Topogon-V da 180mm
troviamo sia conferme
che novità: il nocciolo Topogon originale è sempre costituito da un gruppo
dalla perfetta simmetria speculare,
con lenti e spazi contrapposti caratterizzati da identiche dimensioni e tipi di
vetro; anche in questo caso i due
elementi più esterni sono in vetro a bassa dispersione (vD= 60,3) mentre i due
più interni sono in vetro ad
alta rifrazione (nD= 1,7171), il che consente (e consentiva anche nel classico
Topogon originale a 4 lenti) la
correzione dell'aberrazione cromatica, contrariamente a quanto avveniva nell'Hypergon
da cui quest'obiettivo
deriva. Fra le novità troviamo le caratteristiche delle due spesse lastre
esterne: mentre nel progetto originale
del 1933 avevano uno spessore identico ed erano realizzate in vetro
"standard" BK7 (nD= 1,5163 vD= 64,0),
nel progetto del Topogon-V la lastra anteriore è leggermente più spessa della
posteriore (35,70 contro 34,90);
inoltre nessuna delle due è più realizzata col vetro base BK7: quella
anteriore è ricavata da Schott SF-11
(nD= 1,7847 vD= 25,7), un "vecchio amico" dei progettisti Zeiss
che l'avevano estensivamente utilizzato in molti
progetti militari del tempo di guerra, mentre quello posteriore è stato
ottenuto dal vetro Schott F2 (nD= 1,6195
vD= 36,4): queste scelte sono curiose, dal momento che le superfici
piano-parallele non dovrebbero influire con un
effetto diottrico, quindi l'indice di rifrazione dei loro vetri è di importanza
relativa: probabilmente ai progettisti serviva
invece un particolare valore vD relativo alla dispersione, per la correzione
cromatica complessiva (inseguita a caro
prezzo: immaginiamo il costo di una lente da 15cm in SF11...). Un'altra novità
è rappresentata dal sottile doppietto
collato supplementare che troviamo all'interno del nocciolo ottico, subito
davanti alla sezione del diaframma: le due
lenti (la seconda due volte più spessa della prima) sono opportunamente
realizzate con vetri dall'indice di rifrazione
pressochè uguale (1,6200 ed 1,6204) ma caratterizzati da indice di dispersione
molto differente: molto più dispersivo
quello anteriore (vD= 36,3) e molto meno quello posteriore (vD= 60,3), e questo
espediente, unitamente alla scelta
di vetri adottata per le due grosse lastre esterne, probabilmente consentiva una
correzione fine dell'aberrazione
cromatica a livelli mai prima raggiunti con questi schemi; va notato che il
raggio della superficie d'incollaggio di
queste due sottilissime lenti non è infinito (cioè le superfici non sono
piatte), ma è presente una debolissima curvatura
positiva con un raggio effettivo molto ampio. Questa caratteristica, unitamente
alle falci di luna L3 ed L6 realizzate
in vetro Schott SF1 (coriaceo alla lavorazione) e dotate di un raggio di
curvatura accentuato con uno spessore
molto ridotto, comportava sicuramente molti scarti e rotture, contribuendo agli
elevati costi di produzione ed al
pazzesco prezzo finale; è riportato che diversi Topogon-V da 180mm presentano
segni di scollatura di quell'unica
superficie collata: probabilmente le caratteristiche fisiche molto diverse dei
due vetri ad alta e bassa dispersione
adottati portavano a dilatazioni termiche contrastanti che alla lunga separavano
gli elementi, così come avveniva
storicamente nei Sonnar nel punto d'incollaggio fra il vetro fluor-krown acid a
bassissima dispersione e quello ad
alta rifrazione.
END OF UPGRADING 23/12/2007
ABOUT TOPOGON-V 180mm BY ZEISS OBERKOCHEN
I registri di produzione sono decisamente incompleti, dal momento che molti
Topogon venivano realizzati per
specifico utilizzo militare e probabilmente non erano registrati; dalle note di
produzione della Zeiss Jena risultano
ufficialmente prodotti:
1,3cm f/3,5 Topogon 1 prototipo (mat. 1.756.707)
1,3cm f /3,5 Topogon 75 pezzi (da mat. 2.788.626 a mat. 2.799.700) per Movikon
16
2,5cm f/4,5 Topogon 84 pezzi (da mat. 1.503.251 a mat. 2.561.275) per Contax
2,5cm f/4 Topogon 1.195 pezzi (da mat. 3.318.101 a mat. 4.891.200) per Contax
postbellica
5,5cm f/6,3 Topogon 7 pezzi (da mat. 2.025.793 a mat. 2.802.587) per
fototeodolite
6cm f/5,6 Topogon 20 pezzi (da mat. 4.869.291 a mat. 4.869.310) per foto aerea
6cm f/6,3 Topogon 1 pezzo (mat. 2.613.569)
10cm f/6,3 Topogon 32 pezzi (da mat. 1.514.285 a mat. 2.763.400) per
Rehienmesskamera RMK P 10
20cm f/6,3 Topogon 5 pezzi (da mat. 2.452.031 a mat. 2.452.035) per
Reihenmesskamera
Il tipo Topogon ha rappresentato la seconda, grande evoluzione
del superwide simmetrico, consentendo la correzione
dell'aberrazione cromatica e l'apertura massima necessaria all'impiego dinamico;
su questo tipo ottico hanno lavorato
sia grandi matematici come Richter e Roosinov, sia grandi marche legate
all'aero-fotogrammetria come le tedesche
Zeiss e Aehenbrenner, la sovietica Drobyshev o le americane Fairchild e Bausch&Lomb,
e sia pure nella sua semplicità
ha portato a grandangolari praticamente perfetti, con un solo peccato originale
ereditato dall'archetipo Hypergon:
la vignettatura; il tipo Topogon, come ogni fenice immortale, è sopravvissuto
ai tempi e lo troviamo ancora oggi in
obiettivi di modernariato, come il 28mm f/6 della serie sovietica Orion, il
Canon 25mm f/3,5 ed il Nikkor 25mm f/4,
destinati ai rispettivi sistemi 35mm a telemetro degli anni '50 e '60, il wide
da 65mm f/6,3 per Mamiya Press 23
(affascinante perchè replica esattamente i dati di targa del progetto originale
del 1933), o nel più recente Rodenstock
WA-Geronar 90mm f/8 per grande formato.
gli schemi ottici dei 25mm Canon e Nikon per i rispettivi apparecchi a telemetro
sono dei cloni del Topogon; particolarmente interessante il Canon, che si rifà
al
Topogon a 6 lenti senza il menisco di campo anteriore, opzione del resto
prevista
anche a Richter nel progetto originale
IL RUSSAR DI ROOSINOV: E LA LUCE FU, AI BORDI
Apro una parentesi sulla serie Russar progettata
nell'immediato dopoguerra dal matematico Michael Michaelovitch
Roosinov di Leningrado, che sia pure quasi sconosciuta perchè relegata ai
rilievi aero-fotogrammetrici di oltre
cortina è di fondamentale importanza dal punto di vista tecnico, dal momento
che le intuizioni e le soluzioni che
incorpora traghetteranno il concetto di superwide prebellico verso la terza
evoluzione, il tipo Biogon di Bertele.
Michael Michaelovitch Roosinov (o Rusinov, a seconda di come trasliamo dal
cirillico) fu uno dei più illuminati
matematici ed ottici del blocco sovietico, e formalmente il padre delle varie
generazioni di grandangolari simmetrici
prodotti nella sua confederazione, dai simil-Topogon Leear-6 e Russar-1 del 1934
e 1936 fino alla serie Russar
di grandi obiettivi per aero-fotogrammetria; un obiettivo figlio del suo genio,
e basato sui concetti innovativi che
stiamo per discutere, è noto al grande pubblico sotto le spoglie del Russar
20mm f/5,6 in attacco a vite 39x1,
accreditato di riscontri qualitativi molto lusinghieri, bissato da un ancora
più interessante Russar 18mm f/4 da 100°,
sconosciuto sui nostri mercati. Roosinov era una mente aperta e creativa con un
carattere gentile, creava con
la stessa grazia sia progettando obiettivi sia quando componeva al pianoforte,
una sua grande passione; nel
cupo periodo di guerra si pose il problema relativo al superamento del limite
palesato dal tipo Topogon e dai
super-grandangolari simmetrici in generale, cioè la severa caduta di luce ai
bordi; a tale proposito occorre
chiarire un concetto, figlio di luoghi comuni sbagliati: la vignettatura,
aberrazione propriamente detta, e la
riduzione di luminosità secondo la legge di Lambert del cos4
di theta sono due fattori distinti, che entrambi
contribuiscono in varia misura e indipendentemente alla riduzione
dell'illuminazione ai bordi; in particolare, nei
grandangolari simmetrici la riduzione della pupilla d'ingresso dei raggi
periferici, cioè in sostanza l'area destinata
al loro flusso, causa la vignettatura vera e propria, cui si sovrappone la legge
di Lambert; Roosinov prese
atto che in tutti i progetti simmetrici del tempo che garantivano 100° di
campo, a causa dei due fattori
testè descritti, l'illuminazione degli angoli estremi del formato era limitata
ad appena il 5% di quella misurata
sull'asse; fin dal 1935 Roosinov aveva sperimentato variazioni che seguivano il
principio del conterraneo
Slussarev, realizzando schemi con menischi esterni divergenti e quelli interni
convergenti che permettevano
ai raggi luminosi provenienti da un punto oggetto fortemente fuori asse di
presentarsi all'intersezione col
diaframma con un'inclinazione ridotta, il che migliorava astigmatismo e
curvatura di campo ma soprattutto
modificava la costante di Lambert per cui in obiettivi così realizzati
l'illuminazione periferica non era più
in funzione del cos4 del semiangolo di campo
(fra l'asse di ripresa ed i raggi periferici più esterni) al passaggio
sul diaframma ma solamente del cos3,
consentendo un'illuminazione più omogenea ai bordi; inoltre Roosinov
sperimentò l'introduzione volontaria di coma pupillare, che incrementava l'area
di approccio dei raggi obliqui
periferici; queste procedure, applicate in sinergia a grandangoli simmetrici
estremi, elevano su un angolo di
campo pari a ben 120° la luminosità ai bordi a circa il 12-13% di quella
assiale, quando precedentemente
si era - come detto - fermi al 5% con soli 100°.
La teorizzazione di queste procedure fu rivelata da Roosinov
il 23 Agosto 1946, quando presentò il progetto
per due grandangolari simmetrici a sei lenti, il Russar-21 che copriva ben 133°
ad f/18 ed il Russar-22 che
garantiva 122° all'apertura f/8; i dati allegati al progetto rivelano in modo
eloquente come questi nuovi
concetti permettessero un degrado della luminosità più progressivo ed una
pupilla destinata ai raggi periferici
molto più ampia rispetto ai classici tipi Hypegon e Topogon, assieme ad una
risoluzione molto elevata; queste
teorie furono messe a frutto in seguito da Ludwig Bertele, quando progettò gli
innovativi Aviogon per la
Wild e Biogon per la Zeiss, e rappresentano una pietra miliare nell'evoluzione
della progettazione ottica.
il grande matematico Michael Michaelovitch Roosinov ritratto
mentre si dedica al pianoforte,
sua grande passione
lo schema che ho rielaborato dal progetto originale di
Roosinov del 1946: il tipo Russar postbellico
rappresenta una pietra miliare nella progettazione dei grandangolari estremi
simmetrici, perchè alla
correzione delle aberrazioni tipica dei predecessori unisce un'illuminazione
periferica molto buona,
visto l'angolo di campo offerto (133° in questo caso); fra l'altro Roosinov
aveva previsto la possibilità di
ridurre a zero lo spazio d'aria destinato al diaframma, se reso necessario dalle
variabili di calcolo, e la
scalfatura diagonale delle lenti sarebbe servita (annerita) da apertura fissa,
come nel successivo Hologon!
Tutto questo fu realizzato senza l'impiego di vetri ottici all'avanguardia:
infatti Roosinov per ragioni "politiche"
si serviva di materiali autarchici, messi a disposizione dalla vetreria Lensos;
naturalmente in Unione Sovietica,
nel periodo di guerra, furono in ben altre faccende affaccendati, per cui
Roosinov in questo progetto datato
1946 doveva ancora basarsi sul catalogo di vetri del 1936, e le versioni
utilizzate, rigorosamente denominate
da codici in cirillico, presentavano indici di rifrazione nD non superiori ad
1,62
questo schema, che ho rielaborato dal progetto di Roosinov,
evidenzia come da un lato la progressione
della vignettatura sia meno evidente, dato che la legge del cos4
non è completamente attiva, e dall'altro
come l'area della pupilla d'ingresso sul piano del diaframma destinata ai raggi
obliqui sia molto superiore,
garantendo una illuminazione periferica migliore, che con theta (il semiangolo
di campo) superiore a 65°
rimane comunque a livello del 12-13% rispetto al flusso assiale.
i parametri relativi al progetto: la distorsione è fantascientifica per un wide
da oltre 130°,
essendo contenuta ben al di sotto dello 0,1%!
il progetto di base del celebre Russar MP-2 20mm f/5,6 (in realtà
la focale effettiva è 19,7mm), presente anche in occidente in montatura
39x1 e molto apprezzato dagli utenti per la sua qualità
un progetto di Roosinov realizzato in tarda età e relativo ad un
sofisticatissimo superwide
simmetrico per aero-fotogrammetria, che incorpora ancora i concetti originali
relativi al
coma pupillare presenti nel progetto del 1946 appena discusso
la vetrina destinata ai Russar per aerofotografia di Roosinov in un museo della
tecnica russo; notare le
grandi dimensioni (ed evidentemente le relative focali) di molti esemplari, del
tutto sconosciuti in occidente
il celebre Biogon 90° f/4,5 di Ludwig Bertele abbinato ad una
"interpretazione"
realizzata da Roosinov, che con occhio moderno azzarderei a definire
"più telecentrica"; oh, uomo lungimirante: che finzioni bene sui
dorsi digitali attuali?
ZEISS BIOGON: IL CAPOLAVORO DI BERTELE, PROTOTIPO DEI WIDE SIMMETRICI MODERNI
Ludwig Bertele, classe 1900, è stato uno degli uomini simbolo
dell'ottica nel secolo passato ed il padre di progetti che sono
stati alla base dei sistemi di obiettivi moderni; giovanissimo e geniale, già
negli anni '20 dirigeva il dipartimento matematico
di calcolo ottico della Ernemann di Dresda, e a poco più di 20 anni progettò
il celeberrimo Ernostar f/2 ed f/1,8 destinato
alle famose Ermanox; quando la Ernemann confluì nella Zeiss Ikon, i dirigenti
dello Stiftung capirono immediatamente il calibro
del personaggio assunto in carico, e gli mantennero alla Zeiss le stesse
mansioni precedentemente svolte alla Ernemann; Bertele
ripagò la fiducia realizzando capolavori come i Sonnar a schema normale e
medio-tele o il primitivo Biogon da 63°, ponendo
le basi per un grande successo commerciale; nella piena maturità Bertele si
trasferì armi e bagagli in Svizzera, nella città di
Heerbrugg (cantone S. Gallo), dal momento che aveva pacificamente lasciato la
Zeiss per trovare un nuovo impiego come
progettista di ottiche per aerofotografia presso la Wild Heerbrugg AG,
specializzata nel settore; Bertele sfruttò la sua
straordinaria esperienza e fece tesoro delle sperimentazioni di Roosinov dando
vita ad una nuova generazione di superwide
simmetrici basati sia sull'introduzione di coma pupillare per ridurre la
vignettatura sia sullo sfruttamento di vari menischi
periferici spaziati ad aria per ridurre l'aberrazione sferica di ordine
superiore, permettendo aperture di diaframma più ampie.
Bertele palesò le prime avvisaglie di questa rivoluzione del settore già nel
1948, quando presentò l'invenzione dell'anno nel
campo specifico, ovvero l'obiettivo Aviotar, destinato alla fotocamera metrica
Wild RC-7 e basato sui nuovi concetti, con
prerogative tali da surclassare la generazione pre-bellica di obiettivi
aero-fotogrammetrici; dopo alcuni anni di affinamento, nel 1952
Bertele calò l'asso, evolvendo l'Aviotar nell'Universal Aviogon, un obiettivo
aero-fotogrammetrico da ben 120° che fu prodotto
dalla Wild nella focale 150mm f/5,6 e che divenne ben presto un classico,
garantendo una risoluzione minima di 100 l/mm
fino agli angoli a qualunque apertura, e che sarebbe stato addirittura
migliorato in Super-Aviogon a partire dal 1956; l'Universal
Aviogon, montato sulla metrica Wild RC-8, impressionava fotogrammi da 9x9"
(mentre il successivo Super-Aviogon fu
destinato alla evoluta RC-10) e fece la fortuna della Wild Heerbrugg; nel
frattempo bertele fu ingaggiato diciamo "a gettone"
dalla Zeiss per progettare un grandangolare da 90°, inizialmente destinato alla
Contax a telemetro ma adattabile in previsione
anche su formati maggiori, ad appannaggio del prestigioso cliente Linhof;
Bertele si basò largamente sulle esperienze maturate
con il progetto Universal Aviogon e partorì quella che sarebbe diventata una
leggenda del settore, il celeberrimo Biogon da 90°,
la cui etimologia (bios= vita gonios= angolo) anticipa un grandangolare
spinto dalla luminosità elevata e adatto a riprese dinamiche.
Come avrete notato ho omesso di citare la luminosità massima del Biogon:
infatti è risaputo che fu poi prodotto nelle focali 21mm
(per il 24x36), 38mm (per il 6x6), 53mm (per il 6x9) e 75mm (per il 9x12), tutti
con luminosità f/4,5; tuttavia il progetto originale
di Ludwig Bertele, presentato per la richiesta di patente svizzera il 12 Luglio
1951 e successivamente per quella americana il
5 Luglio 1952 (concessa il 25 Ottobre 1955), prevedeva TRE OPZIONI simili ma
indipendenti, caratterizzate da leggere variazioni
nel raggio di curvatura degli ampi menischi e qualche turnover nei vetri
utilizzati: le tre opzioni prevedevano un Biogon f/6,3, uno
f/4,5 ed uno f/3,4 ma solamente il secondo fu realizzato, forse scelto come
compromesso ottimale fra luminosità, ingombri e
costo di realizzazione!
il progetto originale del Biogon 90°, a firma di Ludwig Bertele; in evidenza le
tre opzioni del Biogon:
f/6,3 - f/4,5 - f/3,4, due delle quali sconosciute fino ad ora
due Biogon f/4,5 da 90° delle mia dotazione, dei quali sono
soddisfattissimo: il 38mm su Hasselblad SWC
ed il 21mm in montatura Contarex, che utilizzo su Leica M con anello
artigianale; li uso da tanti anni ed ho
sempre apprezzato le eccezionali caratteristiche ottiche di questi capolavori di
Ludwig Bertele
vista ravvicinata di due blood brothers; naturalmente il 21mm, uscito di
produzione nel 1962,
non dispone di antiriflessi T*
la sezione dell'hasselblad Super-wide, che monta un Biogon
4,5/38 in posizione fissa,
evidenzia la simmetria del progetto: la lente posteriore è ad appena 18mm dal
piano pellicola
credits : Hasselblad AB
tre belle viste del Biogon 53mm f/4,5, la versione dedicata al formato 6x9cm e
adottata a fine anni
'50 - inizio anni '60 dalle Linhof Press-Technika e Technika-70, parte di una
tripletta Zeiss da sogno
completata da Planar 100mm f/2,8 e Sonnar 180mm f/4,8, tutti e tre cloni
cresciuti in scala dei celebri
ed analoghi 38, 80 e 150mm Zeiss per Hasselblad 6x6; esiste anche una tripletta
dedicata alle Linhof
9x12cm, rappresentata dai rarissimi Biogon 75mm f/4,5, Planar 135mm f/3,5
e Sonnar 250mm f/5,6.
Da questa fotografia si evince uno dei limiti strutturali del Biogon, ovverosia
l'ingombro longitudinale e
l'ampio diametro dei menischi esterni: la versione maggiore, un 75mm f/4,5 da
90°, molto raro, ha
ingombri imbarazzanti (sembra una bomba da volata per mortaio da 120), mentre un
più moderno ed
omologo Nikkor-SW 75mm f/4,5 è molto compatto e garantisce 105° di copertura.
credits : Il Contatto - Torino
la sezione dei Biogon 21mm f/4,5 e 38mm f/4,5 dalla brochure
Zeiss di fine anni '50
evidenzia l'analogia del progetto ottico modulare
in anteprima assoluta propongo gli schemi ottici delle tre opzioni di Biogon
90° con le
caratteristiche ottiche di tutti i vetri impiegati, non trascendentali vista
l'anzianità del
progetto; i due vetri anteriori presentano una bassa dispersione mentre per le
lenti più
interne si è reso necessario adottare vetri leggermente diversi belle tre
versioni, delle
quali, ripeto, solo la f/4,5 è stato prodotta e rivelata al grande pubblico
l'aspetto definitivo del Biogon f/4,5 di produzione, che dalla prima metà degli
anni '50 continua
ad entusiasmare gli utenti che tuttora idolatrano la più diffusa versione 38mm,
adottata
da Hasselblad per tutta la serie SW e recentemente anche da altri costruttori,
come Alpa
Il Biogon di Bertele si rivelò subito un'altro capolavoro, additando nuovi
standard nei super-grandangolari
commerciali per quanto riguarda la risoluzione, il contrasto e la correzione
della distorsione; quest'ultima, sia
pure non al livello dei Topogon più specializzati, era comunque contenuta ad un
massimo di 0,25% a 2/3
di campo, un valore trascurabile ed eccezionale per un 90° destinato alla
fotografia convenzionale; dopo
l'exploit in versione 21mm f/4,5 sulla Contax RF, lanciata nel 1954, Hasselblad
seguì a ruota costruendo
la sua SWA attorno al Biogon 38mm f/4,5 ed in breve Linhof mise a catalogo come
dotazione di prestigio per
le sue 6x9 e 9x12 le versioni Biogon 53mm f/4,5 e Biogon 75mm f/4,5, tutte
accreditate di 90° di campo
e prestazioni eccezionali; il 38mm è stato l'obiettivo che ha goduto della
parabola produttiva più lunga,
mantenuto seraficamente in batteria da Hasselblad fino ai giorni nostri: del
resto, le sue prestazioni sono
così eccezionali che solo il recentissimo Distagon 40/4 IF, basato sullo
schema-capolavoro di Schuster,
è riuscito a bissarle in un tipo retrofocus, con 50 anni di ritardo; riguardo
alla versione 75mm, oltre che
pesante ed ingombrante è anche molto rara, ed in Giappone esiste una specie di
culto per quest'ottica;
ricordo che un amico francese, a inizio anni '90, aveva un Biogon 75 male in
arnese e gli proposi di
acquistarlo; l'amico mi sparò un prezzo di 6 milioni di lire dell'epoca, ed
alle mie giuste rimostranze
rispose che i Giapponesi li acquistavano tutti a cifre simili, in qualunque
condizione fossero!
Incidentalmente e contrariamente alla credenza comune, mi
viene suggerito da un esperto in ottiche
retrofocus che i Biogon da 90°, assieme ad alcuni altri obiettivi dello stesso
genere come il Nikkor-0
2,1cm f/4, i Super-angulon 21mm f/4 ed f/3,4 per Leica M ed il Canon 19mm f/3,5
RF-FL prima serie,
da un punto di vista squisitamente teorico vanno in realtà considerati dei
semi-retrofocus, dal momento
che tutti adottano gruppi divergenti nella parte anteriore.
Durante il lungo corso produttivo del Biogon 38 fu necessario sostituire certi
vetri per ottemperare a nuove
normative CEE che vietavano l'impiego nei vetri commerciali di sostanze dannose
per l'ambiente come
piombo, antimonio o arsenico; fatico ad immaginare un utente che dopo aver
pagato una Superwide sei
mesi di stipendio la getti a biodegradarsi in un laghetto, ma tant'è: la Schott
mise a disposizione vetri ecologici
simili ma non identici ai precedenti, e le curvature del Biogon, delicata
creatura basata su equilibri perfetti,
furono giocoforza leggermente modificate per fare quadrare nuovamente i
complessi calcoli matematici,
e a detta di alcuni la nuova versione CFi ne avrebbe risentito in quanto a resa
ottica; personalmente possiedo
una SWC del 1977 col Biogon "originale" e non sono in grado di
effettuare valutazioni, posso solo allegare
gli MTF originali, relativi alla versione con e senza vetri inquinanti.
gli MTF originali relativi al Biogon 38mm nella versione precedente e successiva
all'introduzione dei
vetri ecologici; sulla carta il nuovo modello ha perso qualcosa rispetto a
quello inquinante (???)
i valori, riferiti a 10, 20 e ben 40 cicli/mm, sono eccezionalmente alti ed
uniformi per un obiettivo
da 90° adatto al 6x6cm, ed anche alla massima apertura f/4,5 i valori
sono tali da soddisfare
esigenze professionali
l'illuminazione periferica ad f/4,5, superiore al 20% rispetto
all'asse, è da considerarsi buona per un 90° di questa
apertura, e mostra come Bertele avesse sfruttato le intuizioni di Roosinov, in
primis l'adozione di coma pupillare;
la distorsione, contenuta nello 0,25%, permette lavori di un certo impegno,
anche in aero-fotogrammetria
Il Biogon da 90° è caratterizzato da una risoluzione
estremamente elevata, dichiarata da Zeiss superiore a 250 l/mm,
un valore per decenni soltanto teorico dal momento che le pellicole
convenzionali non erano in grado nemmeno di
avvicinarla; il tipo Biogon presenta un'ottima planeità di campo, una
correzione dell'aberrazione sferica decisamente
superiore al precedente Topogon ed un'eccellente passivazione dell'aberrazione
cromatica, che a distanza di tanti anni
dal lancio torna utile alle più moderne esigenze, come l'abbinamento a dorsi
digitali, dove il 38mm ha brillato di luce
propria anche in confronto ai più moderni progetti; la qualità ottica anche a
piena apertura è così soddisfacente che
esiste un esemplare di Biogon 53mm f/4,5 privo di diaframma ed elicoide di messa
a fuoco e destinato ad una repro-
camera, come il cannotto di montaggio rivela, sulla quale operava, appunto, a
piena apertura, in piena ottemperanza
della regola generale sulla diffrazione; l'Hasselblad Superwide con Biogon 38 è
stata spesso alla ribalta della cronaca,
ed il caso più clamoroso è senz'altro quello che ha come protagonista la
passeggiata spaziale dell'astronauta americano
Michael Collins, nel corso della missione Gemini 9, nel Giugno 1966; Collins era
al di fuori della capsula per eseguire
fotografie con la Superwide quando, fra imprecazioni non da protocollo mentre
era collegato via radio con Houston,
l'Hasselblad gli sfuggì di mano, allontanandosi da lui e finendo in orbita
geo-stazionaria attorno alla Terra, un piccolo
Biogon-satellite che tuttora ci saluta dallo spazio; impagabile fu il commento
di Victor Hasselblad all'incidente:
"il tipo di ancoraggio della fotocamera non era di nostra produzione"
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UPGRADING 27/12/2006
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Dal momento che sono sempre stato un grande fan del tipo
Biogon , ho effettuato ricerche più approfondite del
solito, ricostruendo puntigliosamente la storia ed i numeri di produzione delle
varie versioni, ricavandone un quadro
ben più complesso del previsto, con informazioni inedite che gettano nuova luce
sia sulle varianti dei modelli, sia
sull'inquadramento cronologico relativo all'uscita di produzione, sia su alcuni
prototipi sconosciuti; pur con beneficio
di inventario, considerando la nota inaffidabilità dei registri di produzione
della Zeiss di Oberkochen, la produzione
del Biogon di Bertele è così articolata:
BIOGON 21mm f/4,5
progetto originale del 12/07/51
progetto finale di produzione del 05/04/52
evoluzione del progetto del 09/09/63
ESEMPLARI PRODOTTI:
10.200 pezzi per Contax (da mat. 1.136.060 a mat.
1.883.802) codice produzione: 10 41 01
4.000 pezzi per Contarex (da mat. 2.621.511 a mat. 3.449.129) codice di
produzione: 10 41 18
780 pezzi Per Wild Heerbrugg AG (da mat. 4.017.175 a mat. 7.088.504) codice di
produzione: 10 41 60
10 pezzi per imprecisato cliente "USA" (da mat. 6.362.323 a mat.
6.362.332) codice di produzione: 10 41 32
per un totale di 14,990 esemplari
assortiti; una prima anomalia si registra nelle date di produzione della
versione per
Contarex: stando ai registri di fabbrica la produzione dei secondi due lotti (da
1000+1000 pezzi) sarebbe avvenuta
nel 1963-64, mentre finora si considerava un lasso di tempo compreso fra il 1958
ed il 1962; il 09/09/63 sarebbe stato
completato il progetto per una piccola e non meglio precisata modifica
all'obiettivo, e sempre stando ai registi di fabbrica
tutti gli esemplari residui prodotti dopo quella data ne avrebbero beneficiato;
riporto il tutto per dovere di cronaca ma
con notevoli dubbi sull'argomento; un'altra considerazione interessante riguarda
l'effettiva uscita di produzione del Biogon
21mm f/4,5, finora collegata all'ultimo Biogon Contarex prodotto; viceversa la
Wild Heerbrugg AG, nuovo datore di
lavoro per Bertele dopo il rientro dall'operation Paperclip, aveva
particolarmente apprezzato il progetto Biogon e dagli
anni '60 continuò a richiedere piccole forniture del 21mm f/4,5 per montarlo su
un apparecchio metrico a pellicola 35mm,
e l'ultimo Biogon 21 per Wild, con matricola superiore a 7 milioni, fu prodotto
addirittura nel 1987, formalmente 25 anni
dopo l'estinzione ufficiale di questo campione! Curiosamente, la versione per
Wild è asseritamente basata sul progetto
originale del 05/04/52, senza la fantomatica correzione in corsa del 09/09/63,
tuttavia è stata l'unica configurazione da
21mm dotata di antiriflessi T*: chissà che meraviglia la sua resa.... Infine,
10 Biogon 21mm f/4,5, basati sul secondo
step del 1963, furono realizzati per un committente genericamente definito
"USA", forse anche in questo caso per
utilizzi metrici.
gli MTF originali del Biogon 21mm f/4,5 sono molto elevati ed uniformi anche a
piena apertura,
ed eccezionali per un 90° di inizio anni '50: all'epoca era davvero un fuori
quota
la vignettatura è anche in questo caso un po' il tallone d'Achille del Biogon
21: ricordo che quando
lo utilizzavo su Velvia i colleghi del fotoclub restavano sorpresi per
l'eccezionale contrasto,
brillantezza, nitidezza e saturazione cromatica, tuttavia la vignettatura - su
un materiale caratterizzato
da una così ridotta latitudine di posa - era evidente e fastidiosa, così come
il cast freddino e
l'effetto collaterale del contrasto elevato, cioè un'incredibile attitudine a
tappare brutalmente le
ombre; eccezionale la distorsione, anche in questo caso mantenuta negli standard
Biogon ed
inferiore allo 0,3%: in realtà è difficile avvantaggiarsene dal momento che
l'obiettivo - non
retrofocus - impone l'impiego di mirini esterni con i quali è assai difficile
valutare la perfetta
messa in bolla del'apparecchio....
BIOGON 38mm f/2,8
Nessun refuso di stampa: a quanto pare
il 29/11/68 fu completato un progetto per l'evoluzione del Biogon 38mm f/4,5
in una versione f/2,8, destinata in esclusiva alle creazioni di Viktor
Hasselblad; furono realizzate due prototipi valutativi
(uno dei quali reca la matricola prototipica 2.589.267) ma l'obiettivo non
entrò mai in produzione; posso ipotizzare
che alla base del nulla di fatto ci fosse la constatazione che per la
clientela-tipo del Biogon 38mm la luminosità f/4,5
fosse più che sufficiente, e che magari sull'altare della maggiore apertura -
oltre al peso e all'ingombro - fosse stata sacrificata
anche una quota della sua leggendaria qualità ottica....
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UPGRADING 13/04/2007
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ho recuperato il progetto originale di
Bertele per l'evoluzione del Biogon 90° ad f/2,8; tale progetto fu registrato
per la prima volta in Svizzera il 2 Agosto 1966 e presentato alla richiesta di
brevetto americano il 31 Luglio 1967;
il progetto si basa su cinque versioni diverse di due prototipi, tutte
estremamente simili fra loro ed ho creato una
schermata con lo schema ottico destinato ai due esemplari poi realizzati,
abbinato ai tipi di vetro utilizzati, materiale inedito
che viene divulgato per la prima volta; ecco lo schema:
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FINE UPGRADING 13/04/2007
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BIOGON 38mm f/4,5
progetto originale del 12/07/51
progetto finale di produzione del 05/06/53
evoluzione I del progetto del 27/06/67
evoluzione II del progetto del 25/10/76
introduzione di vetri ecologici con la versione CFi
ESEMPLARI PRODOTTI (aggiornato al 1997):
28.803 pezzi per Hasselblad SW (da mat. 1.073.885 a mat. 7.553.704) codici di
produzione: 10 41 17 (C) - 10 48 67 (da CF)
501 pezzi per ALPA - Pignons (da mat. 7.951.271 a mat. 7.951.761) codice di
produzione: 10 48 67
2.948 pezzi per l'Aeronautica (da mat. 4.451.700 a mat. 7.147.110) codice di
produzione: 10 41 45
20 pezzi per Hasselblad metrica SW-KE (da mat. 6.785.148 a mat. 6.785.167)
codice di produzione: 10 48 91
479 pezzi per MAUER (da mat. 4.854.397 a mat. 6.991.030) codice di produzione:
10 41 51
per un totale di 32.731 esemplari realizzati fra il 1954 ed il 1997; per
Hasselblad furono approntati due prototipi
da mostra con la solita matricola speciale, uno dei quali recava il numero
2.595.930 e dalle mie ricerche sono emersi
fattori insoliti e singolari; innanzitutto l'unica variante allo schema ottico
nota finora riguardava la già accennata introduzione
di vetri ecologici con la versione CFi, mentre dai registri di fabbricazione
risulterebbe che il Biogon originale di inizio
anni '50 sarebbe stato ritoccato altre tre volte, secondo criteri purtroppo
imprecisati: la prima volta avvenne il 04/08/66
e siccome tutti i Biogon riferiti a questa variante sono stati realizzati per l'Hasselblad
SW-KE e per un altro apparecchio
metrico realizzato da Maurer, per un totale di 499 pezzi, suppongo che il nuovo
calcolo sia servito ad inserire la piastra
reseau posteriore col crocicchio fotogrammetrico necessaria a questo tipo di
fotocamere (il cui inserimento deve essere
integrato nell'equilibrio del sistema ottico), magari approfittando per ridurre
ulteriormente la già trascurabile distorsione;
non esiste invece alcuna informazione o conferma relativa alle altre due
variazioni, che secondo i registri di fabbrica
sarebbero state calcolate il 27/06/67 ed il 25/10/76; quello che complica
ulteriormente la comprensione è il fatto
che la 2° variante del Giugno 1967 non sembra essere mai stata applicata alla
produzione di serie, e nei Biogon-C
neri T* dal 1978 in poi sarebbe stata inserita la terza opzione, calcolata
nell'Ottobre 1976, passando a piè pari dalla
configurazione originale a questa ultima (il Biogon della mia SWC, illustrata
nelle immagini precedenti, appartiene
proprio al primo lotto di 1.176 obiettivi che sarebbero stati aggiornati con
l'ultima variante, prodotti nel 1978);
fin qui nulla di strano, se non fosse che - col passaggio alla montatura CF, ad
inizio anni '90 - il nuovo Biogon 38mm
f/4,5 caratterizzato dal codice di produzione 10 48 67 - sempre secondo i
registri di fabbrica - sarebbe stato
proposto con lo schema ottico più datato, relativo alla variazione del Giugno
1967: tutto questo è molto difficile
da dipanare razionalmente e all'apparenza non c'è alcuna ragione per aggiornare
un obiettivo adottando uno step
di calcolo ottico più arretrato delle versione che va a sostituire...Accettando
quindi anche in questo caso di frapporre
il beneficio di inventario, i Biogon C-T* neri che beneficerebbero dell'ultimo
step di calcolo (25/10/76) sono 4.127,
prodotti fra il 1978 ed il 1982, così suddivisi:
1.176 pezzi compresi fra le matricole 5.766.140 e 5.767.315
200 pezzi compresi fra le matricole 5.793.928 e 5.795.127
24 pezzi compresi fra le matricole 5.986.337 e 5.986.360
1.150 pezzi compresi fra le matricole 6.193.222 e 6.194.371
1.200 pezz1 compresi fra le matricole 6.226.798 e 6.227.997
377 pezzi compresi fra le matricole 6,567.305 e 6.567.681
Curiosamente, e la cosa aumenta la confusione, il codice di produzione per tutti
i Biogon Hasselblad della serie C,
sia basati sull'opzione originale di inizio anni '50 sia su quella del 1976, è
sempre rimasto identico, ovvero 10 41 17;
la serie CF ebbe inizio con la matricola 6.571.957 ed il codice di produzione 10
48 67.
Un'altra anomalia è relativa alla fornitura dei 2.928 Biogon 38mm
all'Aeronautica: infatti, sui registri di produzione
un lotto da 2.000 pezzi, compresi fra le matricole 6.145.966 e 6.147.965, reca
la specificazione von Japan, anche
se ufficialmente tutti i Biogon f/4,5 sono stati prodotti ad Oberkochen;
incidentalmente, tutti i biogon forniti a questo
committente, caratterizzati dal codice di produzione 10 41 45, sono basati sulla
formulazione originale di Bertele.
BIOGON 45mm f/4,5
Anche in questo caso non si tratta di un
errore: effettivamente il 07/12/61 fu calcolata una quinta opzione del
Biogon f/4,5 da 90°, caratterizzata da una focale di 45mm e fin dall'origine destinata alla Linhof di Monaco
per il formato 6x7cm, abbinandolo al 53mm per il 6x9cm ed al 75mm per il 9x12cm; sui registri di produzione
di Oberkochen è indicata una produzione di 100 pezzi destinati proprio alla
Linhof KG, identificati dal codice
di produzione 10 41 55 e dalle matricole comprese fra 4.069.635 e 4.069.734.
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UPGRADING 20/02/2010
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Pare che questi 100 esemplari di Zeiss
Bioton 45mm f/4,5 per Linhof 6x7cm siano stati effettivamente prodotti:
tempo ha è comparsa sulle aste online una strana Hasselblad SWC modificata
sostituendo il Biogon 38mm f/4,5
originale con il Biogon 45mm f/4,5 Linhof ed applicando all'attacco posteriore
del corpo macchina la flangiatura
per magazzini Mamiya 6x7cm; la conferma definitiva ci viene fornita grazie alla
gentilezza dell'appassionato svizzero
Edmundo Waltuch, il quale non soltanto possiede un esemplare di Biogon 45mm
f/4,5 Linhof con piastra e tappi
originali ma è stato così gentile da inviarmi appositamente alcune fotografie
dell'obiettivo affinchè potessi inserirle
in questa pagina e fornire una interessante documentazione di questo rarissimo
obiettivo; naturalmente ringrazio
sentitamente l'amico Edmundo per la disinteressata collaborazione.
Ecco lo Zeiss Biogon 45mm f/4,5 per Linhof 6x7cm, uno dei
cento esemplari prodotti; come potete
notare l'obiettivo veniva fornito su otturatore Synchro-Compur della Deckel di
Monaco di Baviera
ed il suo diaframma chiudeva da f/4,5 ad f/32; il Biogon, con il suo DNA mutuato
dall'Aviogon, è
un obiettivo molto corretto e per rendere al massimo richiede una chiusura
moderata del diaframma,
quindi tutti i Biogon per grande formato prevedono una chiusura minima
"conservativa"; questa
prestigiosa dotazione Zeiss, del resto, costituiva un'alternativa per foto
istantanee e sul campo alla
classica dotazione di ottiche Schneider o Rodenstock, più votate allo studio;
infatti, mentre queste
ultime garantiscono una copertura abbondante che consente di brandeggiare il
corpo, gli Zeiss lambiscono
di misura il formato dedicato, e chiaramente non sono previsti per una ricerca
estrema del tutto a fuoco,
nè con i movimenti di basculaggio (impossibili per carenza di copertura) nè
chiudendo molto il diaframma
(operazione preclusa dall'assenza di valori estremi e comunque sconsigliata per
l'ottimizzazione degli
obiettivi a diaframmi più aperti).
(credits: picture Edmundo Waltuch)
Le dimensioni del Biogon 45mm sono ancora ragionevoli;
l'obiettivo
veniva consegnato con i classici tappi Zeiss Oberkochen in alluminio
sbalzato e rifinito all'interno con velluto blu. Trattandosi di un'ottica
prodotta negli anni '60, il suo antiriflessi non prevede ovviamente un
rivestimento multistrato T*.
(credits: picture Edmundo Waltuch)
La vista frontale conferma il numero di matricola 4.069.692;
dal momento
che il lotto di 100 esemplari è compreso fra 4.069.635 e 4.069.734, siamo
in presenza del 57° obiettivo prodotto; si tratta di un pezzo veramente raro,
e spero che il fortunato proprietario lo conservi gelosamente!
(credits: picture Edmundo Waltuch)
Questo aggiornamento porta dunque a cinque i modelli di Zeiss
Biogon f/4,5 da 90°
effettivamente prodotti: 21mm, 38mm, 45mm, 53mm e 75mm.
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FINE UPGRADING 20/02/2010
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BIOGON 53mm f/4,5
progetto originale del 12/07/51
progetto finale di produzione del 23/03/54
ESEMPLARI PRODOTTI:
2.251 per Linhof 6x9cm (da mat. 1.345.187 a mat.
5.299.827) codice di produzione: 10 41 57
Il Biogon 53mm f/4,5 è il primo dei due obiettivi
realizzati e forniti in esclusiva alla Linhof KG di Monaco, celebre
azienda specializzata in apparecchi tecnici di grande formato; i 185 esemplari
tardivi prodotti con matricole da
circa 5.300.000 allungano la parabola produttiva ben oltre le comuni
supposizioni; in questo caso non si registrano
particolari anomalie o varianti di fabbrica; recentemente sono entrato in
possesso delle misurazioni MTF originali
realizzate dalla Zeiss a suo tempo, ancora trascritte manualmente su carta
millimetrata, oltre ad una scheda generale
con le principali caratteristiche; l'informativa circa il rendimento di questi
Biogon di focale maggiore è sempre
stata una piacevole ossessione per i cultori Zeiss, e pubblico volentieri questi
dati, perfettamente raffrontabili con
quelli del Biogon 21 e quelli - già ampiamente noti - del Biogon 38;
curiosamente, l'obiettivo viene indicato col
codice di produzione 10 41 03 e non 10 41 57, come indicato sui registri di
fabbrica.
I valori registrati, sia pure logicamente inferiori a quelli
del Biogon 38, confermano l'alta correzione
del Biogon, caratterizzato da resa molto uniforme ed elevata per 4/5 della
diagonale di formato
la vignettatura del Biogon è piuttosto sensibile, come del resto prevedibile in
un supergrandangolare
simmetrico; la distorsione conferma i valori tipici del Biogon, ed è pari a
circa 0,25-0,3% a 2/3 di campo
BIOGON 75mm f/4,5
progetto originale del 12/07/51
progetto finale di produzione del 18/10/56
ESEMPLARI PRODOTTI:
1.913 pezzi per Linhof 9x12cm (da mat. 1.935.694 a mat. 5.544.665) codice di
produzione 10 41 61 e 10 41 10
823 pezzi per Fairchild (da mat. 4.156.185 a mat. 7.130.223) codice di
produzione 10 41 56
La versione superiore fu realizzata per le Linhof Techika 9x12cm e montata in un
numero limitato di esemplari;
gli ultimi 11 obiettivi, con matricole che arrivano a 5.544.665, spostano la
fine della produzione ad inizio anni '70 e
sono caratterizzati da un codice di produzione anomalo, ovverosia 10 41 10;
esiste una versione nota nei registri
di fabbrica come Fairchild-Biogon (codice di fabbricazione 10 41 56), sempre
basata su progetto definitivo del 1956,
che veniva fornita all'omonima, celebre industria aeronautica americana, per
esigente aero-fotografiche; in questa
configurazione furono assemblati 823 pezzi, gli ultimi dei quali consegnati
addirittura nel 1988. Come già nel caso
del Biogon 53, sono in grado di allegare la scheda generale Linhof e gli MTF
originali Zeiss del Biogon 75mm f/4,5.
con l'aumentare della focale è sempre più difficile per il Biogon mantenere l'MTF
nelle zone periferiche; del resto
il formato di destinazione è il 9x12cm e le esigenze riguardo a circolo
confusionale e trasferimento di
contrasto sono comunque abbondantemente soddisfatte, tranne in una piccola zona
periferica, sovente ininfluente
anche in questo caso la vignettatura è piuttosto pronunciata
mentre la distorsione è
contenuta addirittura al di sotto dello 0,15%, trasformando il Biogon 75 nel
più
corretto del lotto; queste piccole variazioni evidenziano come ogni versione del
Biogon f/4,5 sia caratterizzata da piccolissime varianti e adattamenti rispetto
al
progetto generico di base
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FINE DELL'UPGRADING 27/12/2006
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tre immagini di un bell'esemplare di Zeiss Biogon 75mm f/4,5
per Linhof 9x12; notare le notevoli
dimensioni - specie in lunghezza - rapportate alla piastra Linhof ; l'ingombro
longitudinale è uno
dei pochissimi lati oscuri di questo grande progetto, e costituì la principale
difficoltà incontrata da
Bertele nel calcolo relativo al prototipo di Biogon f/2,8, dove i disegni
preliminari, a fronte di un
rendimento soddisfacente, avrebbero obbligato a misure inaccettabili
credits : Il Contatto - Torino
Il Biogon di Bertele ha proiettato d'un colpo i fotografi di tutto il mondo in
una dimensione che apparteneva al
futuro, fornendo uno strumento pressochè perfetto per i più severi impieghi
della fotografia grandangolare, ivi
comprese le riproduzioni critiche di grandi oggetti a brevissime distanze (la
SWC focheggia a 30cm dal piano
pellicola), dove l'obiettivo garantiva minime perdite qualitative, o i più
svariati utilizzi topografici e fotogrammetrici,
fino alla più banale fotografia di architettura, matrimonio e reportage: uno
strumento duttile ed affidabile che,
rispetto alla generazione precedente, garantiva illuminazione più uniforme ed
apertura ancora maggiore, peraltro
largamente utilizzabile, ed ha senz'altro meritato sul campo l'allure di mito
che lo circonda e l'apprezzamento
generalizzato che, ad oltre mezzo secolo dal lancio, continua a riscuotere.
I DISCEPOLI DELL'ELETTO: LE EVOLUZIONI DEL
CONCETTO BIOGON
Mentre il Biogon f/4,5 da 90° iniziava la sua entusiasmante parabola
commerciale, Ludwig Bertele, da grande perfezionista,
continuava a lavorare sul concetto di base, elaborando una versione dall'angolo
di campo molto più spinto, ben 120°, che
si rifaceva concettualmente all'Universal Aviogon; nel settembre 1952 presentò
per il brevetto svizzero un interessante
progetto di superwide f/6,3 da 120° , molto simile al Biogon, ma basato su 9
lenti anzichè 8; l'elemento aggiuntivo era
un terzo menisco aggiunto dietro alle due classiche lenti frontali del Biogon,
mentre il resto dello schema era simile, sia
pure con ovvie variazioni nei raggi e negli spessori degli elementi; questo
simil-Biogon da 120° f/6,3 non fu mai prodotto
ed è sconosciuto; probabilmente il non luogo a procedere fu propiziato dal
fatto che era previsto di realizzare la lente
aggiuntiva in fluorite, una tecnica già applicata da tempo per gli obiettivi da
microscopio (dotati di lenti minuscole), ma
in quel 1952 creare un menisco i fluorite con simile diametro, spessore ridotto
e curvatura accentuata era probabilmente
improponibile nella produzione di serie, e l'ardito progetto Biogon-120° sparì
nel nulla, almeno fino alla prossima riga!
i dati inediti, presentati in anteprima, del progetto di
Bertele datato 1952 relativo ad un Biogon da 120°
ed apertura f/6,3; le analogie col Biogon da 90° dell'anno precedente sono
evidenti, e la modifica più
evidente consisteva nell'aggiunta di una nona lente, evidenziata in magenta,
collocata dietro ai due menischi
anteriori; i valori di rifrazione e dispersione ci rivelano che si tratta di un
menisco in fluorite cristallina, certo
un autentico azzardo all'epoca, che probabilmente precluse la produzione in
serie
L'idea fissa del 120° tipo Biogon rimase comunque fra i piani
di Bertele, e l'occasione per cimentarsi nuovamente
sull'argomento gli fu fornita dalla stessa Wild Heerbrugg AG per la quale
collaborava, e che gli commissionò il
calcolo di un obiettivo aero-fotogrammetrico da applicare ad una nuova
fotocamera metrica compatta che l'azienda
aveva pianificato di produrre; per l'apparecchio era necessario un obiettivo da
100mm di focale, con luminosità di
almeno f/8, risoluzione e correzione di livello fotogrammetrico e dimensioni
compatte, adatte alle quote contenute
del nuovo progetto; a metà Marzo del 1962 Bertele completò il calcolo di tre
prototipi basati sul concetto Biogon,
con focale 100mm, luminosità f/8 ed angolo di campo pari a 120°, il primo dei
quali fu prodotto e divenne la
dotazione ottica dell'apparecchio fotogrammetrico Wild.
le inedite schermate che ho preparato illustrano il progetto tipo Biogon da
120° del 1962, articolato si
tre prototipi, il primo dei quali divenne il Wild 100mm f/8 dell'apparecchio
fotogrammetrico illustrato a seguire
tre viste dell'obiettivo finito, dotato di otturatore
centrale, diaframmi da f/8 ad f/22 e filtro UV con taglio
al di sotto dei 400nm, si tratta di un 100mm f/8 che garantisce 120°
credits : Klaus Dr. Schmitt
Questa evoluzione del Biogon è interessante analizzando il
prototipo n°1, quello poi prodotto in serie:
appare a prima vista come un Biogon classico invertito, ma il tripletto collato
interno ha tesoro delle intuizioni di
Zenji Wakimoto, geniale e venerato progettista della Nippon Kogaku: come già
disquisito in altro contesto,
Wakimoto progettò il Nikkor-0 2,1cm f/4 da 90° basandosi sul Biogon di
Bertele, ma introducendo una
importante miglioria: nei tripletti collati al alto del diaframma la lente
intermedia era sottile e biconcava, mentre
quelle periferiche avevano a contatto una superficie convessa, secondo lo schema
convex-concave-convex,
mentre il tripletto collato del Biogon da 90° presenta uno schema opposto, con
le due lenti adiacenti con
raggio concavo e la lente centrale a profilo biconvesso, con forte spessore e
potere diottrico, secondo lo
schema opposto concave-convex-concave: quest'ultima scelta comportava una
distribuzione meno omogenea
delle forze ed un minor controllo di certe aberrazioni rispetto al Nikkor di
Wakimoto; ebbene, in questo nuovo
progetto Bertele ha invertito l'andamento, proponendo lo schema
convex-concave-convex del famoso collega
giapponese: una prova della mente aperta e priva di pregiudizi del grande
progettista tedesco.
In quegli anni Erhard Glatzel aveva assunto in Zeiss il ruolo di responsabile
della progettazione ottica e si trovò ad
affrontare una sfida entusiasmante, vuoi per le implicazioni concettuali vuoi
per il poco tempo concesso, appena 6 mesi:
dalla NASA era giunta la richiesta di un medio grandangolare fotogrammetrico da
applicare all'Hasselblad HDC destinata
alla prima discesa dell'uomo sulla Luna; conoscendo la validità del progetto,
Glatzel realizzò rapidamente una variante
del Biogon di Bertele, con angolo di campo ridotto e focale 60mm, con
luminosità f/5,6 e schema ottico dotato all'origine
della piastra reseau con crocicchio fotogrammetrico, previsto nel calcolo ottico;
mentre alla Deckel di Monaco realizzavano
un otturatore privo di lubrificanti (che sarebbero evaporati nel vuoto
imbrattando le lenti!), Glatzel calcolò l'obiettivo per
l'impiego in assenza di aria (quella di solito contenuta fra le lenti dà un
importante contributo rifrattivo) e lavorò sulla
distorsione fino a ridurla ben al di sotto dello 0,002%; l'obiettivo, dotato di
polarizzatori incrociati, era previsto per
lavorare ad f/5,6 ed f/8 e fu destinato al primo allunaggio con equipaggio
umano, aggiungendo, se ancora fosse necessario,
nuovi fasti al mito del Biogon; convertito all'uso terrestre, il Biogon 60mm
f/5,6 ha dato grandi soddisfazioni professionali
ai fortunati possessori, che l'impiegavano in fotogrammetria su Hasselblad
MK-70.
Per quanto concerne la produzione, i registri di fabbrica presentano dati
confusi e contraddittori: ufficialmente sono stati
montati 312 Biogon 60mm f/5,6, con matricole comprese fra 5.081.608 e 7.146.610;
in particolare, i primi Biogon 60mm
f/5,6 di quest'elenco furono realizzati intercalati ad un pacchetto per la NASA,
caratterizzato da matricole sequenziali, e cioè:
35 esemplari di Planar 100mm f/3,5 (da mat. 5.081.561 a mat. 5.081.595) per NASA
12 esemplari di Planar 80mm f/2,8 (da mat. 5.081.596 a mat. 5.081.607) per NASA
30 esemplari di Biogon 60mm f/5,6 (da mat. 5.081.608 a mat. 5.081.637) per
Hasselblad MK-70
30 esemplari di Planar 80mm f/2,8 con piastra reseau (da mat. 5.081.638 a mat.
5.081.667) per NASA
Questi 30 esemplari di Biogon 60mm sarebbero dunque
stati i primi ad essere realizzati, tuttavia la produzione appena
descritta si riferisce al 1970, tuttavia è notorio che la missione Apollo che
portò l'uomo sulla Luna - estate 1969 -
già annoverava il Biogon 60mm fra le dotazioni di bordo, mentre non è
registrato alcun esemplare prodotto in
precedenza; è possibile che per ovvie ragioni di riservatezza si sia omesso di
specificare la prima fornitura destinata
alla celebre missione della NASA, oppure - come già verificato nel caso del
Topogon 180mm - si è considerato
il Biogon 60 facente parte della gamma metrica, cui veniva assegnata una
numerazione specifica, indipendente
da quella generale ed assente dai registri di fabbricazione; il codice di
produzione base (indicante il modello destinato
all'Hasselblad MK-70) era 10 41 81, sia per la produzione civile sia per le
MK-70 fornite poi alla stessa NASA;
esiste un lotto di 6 Biogon - identificati dallo specifico codice 10 48 01 -
specificamente destinati ad apparecchio
Hasselblad-NASA e non Hasselblad MK-70, e probabilmente erano adibiti
all'impiego aerospaziale, anche se le
matricole di produzione, proprie del 1974, escludono che si stia parlando del
Biogon "lunare"; infine, 46 obiettivi
in due lotti furono realizzati come obiettivi speciali per DFVLR, con codice di
produzione specifico 10 48 89 e
matricole comprese fra 6.785.118 e 7.146.610, l'ultimo dei quali montato nel
1989.
lo schema ottico del Biogon 60mm f/5,6 "lunare", palesemente derivato
dal 90° di Bertele, assieme
all'Hasselblad MK-70, l'apparecchio metrico civile che lo adottava dopo
l'entusiasmante parentesi spaziale;
ho personalmente rimasterizzato la grafica dello schema ottico, dato che non
esisteva un diagramma
nitido e di dimensioni adeguate in alcuna documentazione
i rari MTF del Biogon 60, con in evidenza la soddisfacente distribuzione
luminosa e
l'eccellente correzione della distorsione, ben al di sotto dello 0,002%
Nel frattempo alla Wild Heerbrugg AG giungevano richieste per
apparecchi aero-fotogrammetrici di dimensioni
particolarmente compatte e Ludwig Bertele si trovò nella condizione di
riprogettare il tipo Aviogon, realizzando
una versione più compatta, con una focale ridotta a 44mm, luminosità f/5,6 ed
angolo di campo sempre nell'orbita
dei fatidici 120°; nell'Aprile 1967 il progetto del nuovo obiettivo era pronto
e fu impiegato con la denominazione
ufficiale di Wild Super Aviogon f = 44mm 1:5,6; lo schema ottico è certamente
di tipo Biogon, ma molto più
complesso e basato su 11 lenti, con un elemento in più in ogni gruppo centrale
(anche in questo caso basato sullo
schema di Wakimoto-san convex-concave-convex) oltre ad un doppio menisco
posteriore: è forse la più
complessa evoluzione del tipo Biogon originale messa in pratica da Ludwig
Bertele
lo schema ottico del Super Aviogon f/5,6, complessa evoluzione del Biogon
originale, basato su 11 lenti;
notare la foggia biconcava dell'elemento centrale in entrambi i tripletti
centrali, in contrapposizione con
quanto avveniva nel Biogon originale del 1951
il Wild Super Aviogon 44mm f/5,6 montato su una camera per aero-fotogrammetria
particolarmente
compatta; notare la scritta "Made in Switzerland" orgogliosamente
esibita sull'ottica
credits : Klaus Dr. Schmitt
Ad inizio anni '70 c'era ancora spazio per il calcolo di simmetrici da 90°,
nonostante l'arrembante trend dei sistemi
reflex, tuttavia luminosità massime nell'ordine di f/4,5 - eccellenti ad inizio
anni '50 - non erano più recepite positivamente
dall'utenza, per cui Erhard Glatzel, assieme al partner abituale Heinz Zajadatz
ed col contributo di Ludwig Bertele dalla sua
pensione dorata di Heerbrugg, realizzò un progetto di grandangolare simmetrico
da 90° compatto, destinato anche ad
impieghi particolari (come i numerosi prototipi calcolati per luce monocromatica
tradiscono) e previsto per luminosità
massime fino ad f/2,8; una importante miglioria tecnica prevedeva la
possibilità di modificare durante la messa a fuoco
lo spazio ad aria al centro dello schema, destinato al diaframma, fino ad
arrivare quasi al contatto fisico fra vetro e lamelle,
permettendo un migliore controllo delle aberrazioni, anche in questo caso sono
in grado di presentare in anteprima gli
schemi ottici dei prototipi, le focali previste ed i vetri utilizzati: anche in
questo caso il progetto deriva con evidenza
dall'inossidabile Biogon originale, con particolare attenzione al contenimento
delle dimensioni: che fosse un progetto
mirato al target Leica M ?
i progetti per un Biogon evoluto da 90° e luminosità
comprese fra f/3,5 ed f/2,8 realizzati da Erhard Glatzel, Hans Zajadatz e
Ludwig Bertele nel 1971; anche questi obiettivi non entrarono in produzione
(erano i tristi tempi del crack Zeiss-Ikon) e queste
schermate restano l'unica testimonianza di essi; stupisce la presenza di ben 5
prototipi previsti per luce monocromatica selettiva,
solitamente destinati ad impieghi tecnici e non prettamente fotografici
L'ultimo, autentico sviluppo sul tema Biogon fu messo in atto
da Erhard Glatzel assieme al partner abituale Heinz Zajadatz, e
completato nel Marzo 1974; naturalmente non si trattava più di obiettivi
destinati ad apparecchi fotografici convenzionali
(l'utenza era ormai indirizzata in massa su modelli reflex che non accettavano
grandangolari simmetrici) ma indirizzati a nicchie
specialistiche, come ad esempio le reprocamere compatte, che per ridurre le loro
dimensioni richiedevano obiettivi di corta
focale con schemi ben più complessi del "tipo Aviar" a 4 lenti
adottato dai vari Apo-Ronar, Apo-Nikkor, etc; quest'ultimo
canto del cigno del tipo Biogon prevede ancora due modelli da 92-93°, uno dei
quali molto compatto, ma il fulcro del progetto
è rappresentato da prototipi con angolo di campo più ridotto, tipicamente
62-66°, e luminosità contenuta, cha avrebbero portato
al celebre Zeiss S-Biogon 40mm f/5,6, uno dei più nitidi obiettivi per
reprocamere compatte! Inoltre, la versione f/4,5
(visibile nel primo e terzo schema a seguire) fu la base per un'evoluzione del
Biogon 75mm f/4,5 per uso aero-fotogrammetrico
militare, che condivide col Classico Biogon 75 per Linhof 9x12 solamente i
dati di targa, ma era caratterizzato da dimensioni
molto maggiori, sia per diametro che per lunghezza; il Biogon 75mm f/4,5
aero-fotogrammetrico veniva utilizzato dall'azienda
americana Pacific Optical, specializzata in fotocamere per fotogrammetria, e
veniva montato sull'aerial camera militare modello
KS-87b con formato nominale di 4,5x4,5"; il Biogon 75/4,5
aero-fotogrammetrico presentava una lente posteriore di diametro
surdimensionato, proporzionalmente molto più simile all'anteriore rispetto al
Biogon 75/4,5 degli anni '50, e garantiva una copertura
da 125mm di diametro già alla piena apertura f/4,5, dove - grazie allo schema
evoluto e al generoso dimensionamento delle lenti -
esibiva una vignettatura quasi trascurabile; l'obiettivo fornisce una
risoluzione molto elevata e la sua distorsione, molto inferiore
a quella del Biogon 75mm classico, già ridottissima, era contenuta nei rigidi
standard fotogrammetrici, ovvero con uno scostamento
massimo al di sotto dei 10 micron complessivi; l'obiettivo era eventualmente
fornito su otturatore Ilex n° 5 (!) ed è possibile
adattarlo all'uso civile su banchi ottici dalle dimensioni adeguate e
sufficientemente robusti da sostenere il pesantissimo ordigno,
sui quali impressiona tranquillamente lastre 5x7", anche se i brandeggi ed
i basculaggi sono limitati dalla lente posteriore enorme
(grande all'incirca come quella anteriore del Biogon 75 classico), posizionata
fra l'altro ancora più vicina al film rispetto alla versione
di Bertele; test eseguiti a proposito su negativi bianconero hanno fornito
stampe di qualità eccezionale.
gli schemi inediti, ancora una volta derivati dal Biogon di
Bertele, relativi al progetto di Glatzel e Zajadatz del Marzo 1974;
dal prototipo n° 2 è stato derivato l'S-Biogon 40mm f/5,6 di produzione, uno
degli obiettivi grandangolari per reprocamere più
performanti, mentre le opzioni da 90° f/4,5 hanno dato vita ad un uovo,
straordinario Biogon 75mm f/4,5 per uso fotogrammetrico
militare
L'S-Biogon 40mm f/5,6, così come il più datato prototipo di
Biogon 53mm f/4,5 cui abbiamo già accennato, venne prodotto in
montatura semplice, priva di diaframma ed elicoide di messa a fuoco e tramite un
cannotto cromato veniva applicato su reprocamere
compatte, impressionando pellicola 35mm non perforata su formato massimo di
30x42mm (diagonale 52mm); l'obiettivo è ottimizzato a
piena apertura f/5,6 e non prevede diaframma bensì un filtro degradante neutro
per minimizzare la vignettatura; tale obiettivo è ottimizzato
al rapporto di riproduzione di 1:30 ed ammette un range di utilizzo compreso fra
1:30 ed 1:8; la distorsione - minima - passa dallo
0,3% ad 1:8 allo 0,02% ad 1:30 e la risoluzione dichiarata è di ben 360
linee/mm, valore eccezionale considerando che l'ottica lavora
alla piena apertura f/5,6, indice di un obiettivo diffractrion-limited dalla
correzione estrema; la lunghezza focale effettiva è di 40,2mm
e la coniugata anteriore di lavoro è di 132,5cm al rapporto di riproduzione
1:30 e di 44,1cm al rapporto di riproduzione 1:8. L'S-Biogon
era in dotazione standard alla reprocamera Zeiss Mikrobox e fu prodotto
esattamente in 6.114 esemplari fra il 1975 ed il 1994, tuttavia
i clienti furono quasi sempre aziende specializzate che probabilmente hanno
tuttora in carico d'inventario l'apparecchio e non intendono
disfarsene, da cui l'oggettiva rarità del pezzo sul mercato; il codice di
produzione dell'S-Biogon era 10 77 31 e fu realizzato con numeri
di matricola compresi fra 5.587.926 e 7.351.837.
lo Zeiss S-Biogon 40mm f/5,6 derivato dal progetto di Glatzel
del 1974; nella foto sono presenti il
cannotto per il montaggio sull'apparecchio ed il filtro degradante neutro
dedicato, necessario dal
momento che si tratta di un grandangolare simmetrico utilizzato a piena
apertura; in realtà la distribuzione
luminosa ai bordi è comunque pari ad almeno il 50% di quella assiale, ed il
filtro è un eccesso di
perfezionismo
credits : Klaus Dr. Schmitt
un'altra vista dell'S-Biogon 40mm f/5,6, che curiosamente non
dichiara l'antiriflessi T*, forse
non applicato per particolari esigenze di trasmissione spettrale, anche se viene
ufficialmente
dichiarato ottimizzato per il normale spettro visibile
credits : Klaus Dr. Schmitt
gli MTF originali dell'S-Biogon 40mm f/5,6, davvero
eccezionali considerando il fatto che si
tratta di un grandangolare misurato a piena apertura e che le frequenze spaziali
di riferimento
non sono sui classici 10, 20, 40 cicli/mm bensì sugli enormemente più
restrittivi parametri di
25, 60 e 100 cicli/mm! In parole povere, la curva più bassa degli MTF
convenzionali (quella
riferita alle 40 l/mm) su questi grafici andrebbe a posizionarsi a metà strada
fra la prima e la
seconda curva, restando su valori dell'80% MTF; eccezionale anche la distorsione
ed il
controllo della vignettatura, sia pure aiutata dall'apertura modesta di f/5,6
lo schema ed i vetri impiegati nei prototipi da cui è
derivato l'S-Biogon 40mm; nonostante le diversità nelle spaziature e
nei raggi di curvatura delle lenti, lo schema di base ed il posizionamento degli
elementi è identico a quello del Biogon
originale, il 90° f/4,5 del 1951
Questo straordinario campione chiuse in bellezza l'era del
Biogon di Bertele, dimostrando ad un tempo la straordinaria
validità e la notevole versatilità di questo tipo ottico, in grado di passare
con noncalance dai panni del supergrandangolo
per la fotogrammetria terrestre dallo spazio a quelli di obiettivo repro
iper-nitido e diffraction-limited a piena apertura,
consegnandolo al mito come uno dei progetti più riusciti ed intrisi di storia.
ZEISS HOLOGON : PIU', CON MENO
Hologon è un altro nome entrato nell'immaginario collettivo
perchè ad un angolo di campo estremo univa una correzione
superlativa di quasi tutte le aberrazioni ed una struttura dalla scarna
semplicità, talmente compatta da sembrare impossibile;
lo Zeiss Hologon è tutto questo, il parto geniale di un Glatzel al pieno della
sua maturità che concepì un grandangolare
simmetrico estremo di nuova generazione, tanto semplice all'apparenza quanto
diabolicamente complesso da produrre,
con piccole lenti dalla forma e dalla curvatura al limite dell'impossibile;
anche in questo caso ho recuperato molte informazioni
sconosciute ed inedite su questo tipo ottico, a cominciare dal fatto che i
progetti per il tipo Hologon furono due, in successione,
costituenti l'uno una logica evoluzione dell'altro.
Tutto ebbe inizio nel 1966, quando Erhard Glatzel ed Hans Shulz ottennero il
brevetto n° 1.241.637 dal Patentschrift tedesco,
e successivamente la U.S. Patent application n° 669.463 in data 21/09/1967,
relativamente al calcolo di un obiettivo grandangolare
estremo basato su appena tre elementi separati, caratterizzati da un'apertura di
f/8 e da un angolo di campo di 110°, cui
corrispondeva sul 24x36 una focale di 15mm; il geniale schema di Glatzel
prevedeva due menischi pressochè emisferici esterni,
l'anteriore con dimensioni maggiori del posteriore, collegati da una sfera di
vetro centrale posta al centro, praticamente a
contatto con i due menischi esterni; dal momento che non vi era spazio alcuno
per il diaframma fu previsto di creare una strozzatura
incidendo la sfera centrale, la cui scalfatura fungeva direttamente da apertura
fissa f/8, scelta come compromesso fra luminosità,
iperfocale e controllo delle aberrazioni; questa struttura - apparentemente
semplicissima - si rivelò una trappola diabolica per
le maestranze, chiamate a lavorare i minuscoli e coriacei vetri ad alta
rifrazione in forme e con curvature al limite fisico della
realizzazione, il che causò moltissimi scarti di lavorazione e mugugni dagli
operai addetti; l'obiettivo così concepito fu
battezzato Hologon 15mm f/8 e fu applicato in montatura fissa su un corpo
macchina derivato dalla Zeiss Ikon Spezialkamera
solitamente destinata ad impieghi scientifici, applicando un mirino tipo Albada
esterno - munito di bolla ad aria incorporata -
e regolando la messa a fuoco fissa su un iperfocale tale per cui (con un circolo
confusionale convenzionale di 0,03mm) la
profondità di campo utile si estendesse da 0,5m ad infinito.
L'Hologon era un progetto nato perfetto: la struttura ottica correggeva infatti
a livelli elevati coma, aberrazione sferica,
astigmatismo, aberrazione cromatica e curvatura di campo, per non parlare della
distorsione, virtualmente zero; purtroppo
in uno schema simmetrico di questo tipo sia la vignettatura sia la legge di
Lambert erano perfettamente operative e l'unica
pecca dell'obiettivo era - ed è - una vistosissima caduta di luce ai bordi, per correggere
la quale la Zeiss dotò l'obiettivo della
Contarex Hologon (così era stato battezzato l'apparecchio) di un attacco S 57,
cui applicare uno speciale filtro degradante
concentrico ("verlauffilter") appositamente concepito, che sottraeva
due stop di luminosità nelle aree centrali, livellando
perfettamente la distribuzione luminosa sul campo; era prevista una doppia
dotazione di tappi: una per l'apparecchio da
solo ed uno per l'apparecchio con verlauffilter montato; il filtro stesso è una
sorta di piccolo capolavoro: tutti suppongono
che l'effetto degradante concentrico sia dovuto ad una sorta di riporto
applicato al vetro, mentre ispezioni eseguite a suo
tempo smontando il filtro dalla sua montatura, hanno appurato che in realtà (e
questo vale anche per il filtro della successiva
versione per Leica M) si tratta di due lastrine di vetro, reciprocamente
convesse in modo impercettibile, e questa struttura
determina l'effetto degradante; la Contarex Hologon (la cui etimologia,
giustamente, si riferisce ad un angolo di copertura
totale) incontrò successo fra i fotografi creativi dell'advertising, nonostante
l'assenza di esposimetro, messa a fuoco e la
necessità di utilizzare un'impugnatura aggiuntiva a pistola con scatto
flessibile per non immortalarsi le dita....Fu tuttavia
prodotta in un numero di esemplari molto ridotto: circa 2.000, in piccoli
lotti, fra il 1969 ed il 1975, alcuni dei
quali montati negli ultimi anni ad Oberkochen dallo Zeiss Contarex Vertieb e
dotati del logo Zeiss "block logo" (e quindi
ricercatissimi dai collezionisti); si tratta in sostanza di un pezzo raro,
trattato a prezzi da amatore.
Nel frattempo la Leitz Wetzlar era molto interessata a questo supergrandangolare
compatto dalle notevoli prerogative:
mise l'orgoglio nel taschino e chiese ufficialmente alla Zeiss una speciale
versione in montatura Leica M e dotata di
messa a fuoco, anche se non accoppiata al telemetro; Zeiss acconsentì, mettendo
in cantiere un lotto di Hologon 15mm
che sarebbero stati applicati ad una speciale montatura, estremamente piatta,
larga, rifinita tutta in nero; probabilmente si rinunciò
all'accoppiamento al telemetro per ovvi problemi nel differenziare i passi degli
elicoidi in un obiettivo dove la variazione di tiraggio
nell'intervallo di messa a fuoco era davvero trascurabile; riguardo ai
numeri di produzione, furono realizzati 6 prototipi di 15mm
f/8 Hologon: due destinati alla Contarex Hologon (con matricola 2.584.452
e 2.584.453) e quattro a
Leica M (con matricola compresa fra 2.592.205 e 2.593.021); i codici assegnati
furono 10 41 75 e 10 48 16;
la produzione di serie si articolò inizialmente su 2.000 esemplari per Zeiss,
in tre lotti così suddivisi:
500 pezzi realizzati nel 1969 (da mat. 4.814.293 a mat. 4.814.792)
500 pezzi realizzati nel 1969 (da mat. 4.851.137 a mat. 4.851.636)
1.000 pezzi realizzati nel 1971 (da mat. 5.098.518 a mat. 5.099.517)
riguardo alla produzione per Leica, i dati sono dubbi: ufficialmente fu
realizzato un solo lotto così articolato:
500 pezzi per Leica M (da mat. 5.745.846 a mat. 5.736.345)
Tuttavia, vista l'oggettiva, estrema rarità del pezzo, ed anche considerando
l'incetta messa in opera dagli amatori
del Sol Levante, si può dar vita a due ipotesi: A) la produzione di 500 pezzi,
pianificata con il lotto di matricole
già assegnato, non è stata completata; B) tutti e 500 gli obiettivi previsti
sono stati montati, ma è stata effettivamente
consegnata solo una parte; ad ogni buon conto, è possibile ipotizzare che il
numero di Hologon-M effettivamente
in circolazione sia compreso fra 150 e 350 pezzi; in ogni caso, ammesso che il
montaggio e la distribuzione abbia
seguito la sequenza cronologica di matricole, sarebbe possibile valutare
l'effettiva realtà produttiva dell' Hologon-M
verificando il più alto numero di matricola noto, a partire da 5.745.846.
L'Hologon-M
15mm f/8 metteva a fuoco
da 20cm ad infinito ed era dotato di un mirino esterno, strutturalmente identico
a quello della Contarex Hologon,
da applicare nella slitta sul tettuccio della Leica-M; in alcune foto delle
prime brochures l'obiettivo ritratto sul
corpo M5 presenta un numero di matricola 2.5xx.xxx e molti hanno notato come si
tratti di una matricola Leitz
riferita ad un contesto cronologico sbagliato; in realtà (anche se all'epoca la
numerazione Zeiss era a circa
5.7xx.xxx) si ratta di una matricola Zeiss prototipica, appartenente ad un lotto
di numeri tenuti da parte per
questo impiego.
L'informativa collettiva riguardo all'Hologon si ferma qui,
mentre ho scoperto che l'Hologon era stato fatto
evoluto ulteriormente: infatti il 13 Aprile 1970 Erhard Glatzel presentò a nome
suo, di Heinz-Dieter Shulz, di
Ris Ruth e di Hans Shulz (nel frattempo deceduto) un progetto per una
rivisitazione dell'Hologon; pur mantenendo
il classico, inconfondibile schema, nel progetto erano previste tre versioni,
sempre accomunate dalla luminosità
massima f/8: una da 120°, la classica da 110° ed una da 90°, ottenute
sfruttando vetri ottici a rifrazione diversa
piuttosto che cercare nuovi raggi di curvatura nelle lenti già di per se
difficili da realizzare; purtroppo la Zeiss
Ikon di Stoccarda, la madre delle fotocamere Zeiss, era cronicamente in rosso e
lo Stiftung stava per staccare
la spina, e non c'erano prospettive per mantenere ancora in produzione l'Hologon,
quindi l'evoluzione del
progetto restò nel cassetto e queste versioni dell'obiettivo erano finora
sconosciute; esiste invece un esemplare
di Hologon 110mm f/8 da 110° realizzato come prototipo la cui struttura
ottica solleva più di un interrogativo:
è infatti presente un otturatore centrale Compund (fra l'altro molto datato
rispetto all'anzianità ipotetica dell'ottica)
nella parte posteriore che non è compatibile con lo schema Hologon classico;
inoltre il cannotto centrale è
molto allungato, troppo per le proporzioni dell'Hologon che conosciamo: esiste
in effetti la documentazione di un
Hologon 110mm f/8 per lastre 13x18cm, ma tale nome fu dato ad un progetto da
90° basato su uno schema
tipo Super-Angulon modificato, e d'altronde non soltanto la copertura ma anche
le curvature delle lenti
esterne non collimano: probabilmente anche lo schema ottico è un prototipo
unico, per il quale ho immaginato
due ipotesi fantasiose, non supportate da calcoli; dal Fabrikazionbuch
risulterebbe che l'Hologon 110mm f/8
da 110° sarebbe stato realizzato in due soli esemplari nel 1966 come obiettivo
sperimentale per Linhof 13x18cm,
uno dei quali - con matricola prototipica 2.583.337 - è quello illustrato a
seguire; dati frammentari parlano di
uno schema ottico basato su 5 lenti in 4 gruppi, come la versione Hologon
110mm da soli 90°, e questo
conferma l'evoluzione rispetto al 3 lenti classico, che avrebbe permesso
l'introduzione di un otturatore
centrale; incuriosisce anche lo sbalzo dei menischi esterni rispetto alla
montatura, che impedisce di fatto
l'adozione di un verlauffilter degradante, a meno che (ma è una pura illazione)
non sia già presente sul piano
dell'otturatore stesso.
Va infine annotato che la Kyocera, impostando la nuova gamma
di apparecchi telemetrici Contax G, richiese alla
Zeiss una riedizione tardiva dell'Hologon, come fiore all'occhiello di prestigio
da contrapporre al suo target commerciale,
la Leica M (che a suo tempo, come visto, ne fu dotata); non fu possibile
riproporre il 15mm originale sia per i costi
relativi alle complesse lavorazioni meccaniche sulle lenti, sia perchè l'ultimo
vertice del suo menisco posteriore è ad
appena 4,5mm dalla pellicola, e l'otturatore elettronico della Contax G1, più
spesso di quello in seta della Leica, non
lasciava spazio sufficiente; si dovette quindi riprogettare l'obiettivo su una
focale 16mm, trasformando ciascuna delle
prime due lenti in altrettanti doppietti, con l'intento di semplificare le
lavorazioni: purtroppo l'elemento centrale, così
come era stato per il primo modello, creò notevoli grattacapi (pare che si
spezzasse e/o scollasse ad una determinata
fase della lavorazione) e fu necessario incastonarlo in un castelletto di
sostegno, il tutto con gravi ritardi sui tempi di
consegna ed un aggravio sui costi previsti; un'altra semplificazione riguarda il
filtro degradante concentrico: dal
capolavoro dei due vetri convessi si passò ad un filtro piano con una
vetrofania adesiva dotata di serigrafia degradante,
certamente poco in tono col lignaggio dell'ottica, il tutto sacrificato
sull'altare del contenimento dei prezzi, obiettivo
comunque mancato dal momento che all'atto del lancio commerciale l'Hologon costava oltre 6
milioni di lire dell'epoca...
Spigolatura: dell'Hologon-G 16mm f/8 - che come il suo predecessore diveniva un
f/16 a filtro montato - negli
anni compresi fra il 1994 ed il 1997 ne sono stati realizzati solamente 7.587
pezzi, con matricole comprese fra
7.491.024 e 8.122.420 : è dunque un obiettivo poco
consueto anche in montatura Contax RF.
Dal punto di vista ottico manteneva e superava le prestazioni
del modello da 15mm ma occorreva grande attenzione
per la messa in bolla: infatti la bolla incorporata nel suo mirino esterno era
vincolata da una guida su un percorso
prestabilito ed era possibile valutare solo il fuori bolla dell'apparecchio
sull'asse orizzontale ma non quello dovuto
a rotazione sull'asse longitudinale che collegava l'apparecchio al soggetto;
inoltre era molto facile includere le proprie
dita nell'inquadratura!
per l'ennesima volta in anteprima assoluta, lo Zeiss Hologon nelle tre versioni
previste dal secondo progetto di Glatzel:
l'opzione da 120°, quella classica da 110° (identica al modello di produzione)
e quella da 90°; le varianti si diversificano
per l'indice di rifrazione dei vetri adottati, via via maggiore all'aumentare
dell'angolo di campo, mentre l'adozione di vetri
esterni ad alta dispersione con l'elemento interno a dispersione molto minore
aiuta a correggere l'aberrazione cromatica;
l'inconfondibile schema evidenzia la particolarissima struttura dei tre
elementi, la cui molatura presentava elevate difficoltà
con un impressionante percentuale di scarti, specialmente per l'elemento
centrale con la scalfatura circolare che fungeva
da diaframma
UPGRADING 10/11/2007
Con la fattiva collaborazione di Vicent Cabo abbiamo disegnato con esattezza le
sezioni dei tre prototipi di Hologon
presenti nel progetto evoluto di Glatzel e mai realizzati; per tracciarli ci si
è basati sui raggi e sulle distanze del progetto,
e per la prima volta possiamo osservare l'aspetto di questi tre obiettivi: il
primo sarebbe stato un Hologon 21mm f/8 da
90°, per trasferire l'eccellente resa di questo tipo ottico nell'ambito del
più classico superwide per apparecchi a telemetro;
il secondo avrebbe condiviso la focale e l'angolo di campo col modello di
produzione, ma è più luminoso, trattandosi di
un 15mm f/5,6 da 110° anzichè f/8, forse alla ricerca di una luminosità più
sfruttabile a mano libera col filtro degradante
in posizione (f/11 anzichè f/16); il terzo ed ultimo prototipo sarebbe stato un
Hologon 12,5mm f/8 con 120° di campo,
che è sempre stato il preciso obiettivo tecnico di Glatzel, poi mitigato a
110° - probabilmente - per ridurre un po' l'altissima
vignettatura e non richiedere un filtro degradante con differenziale superiore
ai due stop; ecco gli schemi inediti dei tre modelli.
gli schemi disegnati ad hop partendo dalle quote del progetto;
la versione 15mm f/5,6 sarebbe
stata forse più interessante di quella in produzione perchè avrebbe consentito
di elevare ad
f/11 la luminosità con filtro ND inserito, agevolando al presa a mano libera;
curiosamente, il
vetro utilizzato per l'elemento centrale della versione da 90° non è presente
nel catalogo Schott
FINE UPGRADING 10/11/2007
l'Hologon 15mm f/8 sul corpo di originaria destinazione, la Contarex Hologon,
sul quale era montato in
posizione fissa, senza ausili di messa a fuoco, con un mirino esterno posto
sopra l'obbiettivo sull'asse di
ripresa, dotato di livella a bolla visibile nell'inquadratura
credits : Leicatime
Ho posto a raffronto gli schemi ottici dell'Hologon 15mm f/8 e dell'Hologon 16mm
f/8; in quest'ultimo
le due lenti anteriori sono state trasformate in doppietti, con l'intento di
ridurre la complessità delle lavorazioni
meccaniche e di avere più variabili nella correzione ottica, potendo
eventualmente sfruttare due vetri diversi
per ogni doppietto; la fotografia ( credits: il Contatto - Torino) dell'Hologon
16mm evidenzia tutto il fascino
feticistico di questo semplicissimo super-grandangolare dalla resa perfetta
Gli MTF dell'Hologon 16/8 e dell'Hologon 15/8 a confronto, con un leggero
vantaggio per il
Contax G, anche se le curve insolitamente basse alle frequenza spaziali di 10 e
20 cicli/mm
evidenziate dal 15mm (si tratta di test d'inizio anni '70) mi fanno sospettare
un protocollo
non omogeneo fra i due; la vignettatura evidenzia tutti i limiti di un
simmetrico così concepito,
e richiede tassativamente il filtro degradante concentrico, con il quale
entrambi gli obiettivi
divengono f/16; infine, la distorsione è virtualmente pari a zero, una
prerogativa eccezionale
sovente vanificata dall'oggettiva difficoltà di messa in bolla
quattro immagini del prototipo datato 1966 di Zeiss Hologon 110mm f/8 da 110°,
attualmente
in vendita (Novembre 2006) a 30.000 euro; incuriosisce la presenza di un
otturatore
centrale (fra l'altro un obsoleto Compound, più datato dell'ottica) nella parte
posteriore,
dal momento che lo schema Hologon ortodosso impedisce inserimenti assiali di
sorta;
inoltre il cannotto centrale è troppo allungato per rispettare le proporzioni
richieste;
esisteva un raro Hologon 110mm f/8 per lastre 13x18cm, ma copre solo 90° ed il
suo
schema è estraneo all'Hologon classico, avvicinandosi più al tipo
Super-Angulon
(infatti, sovrapponendolo in scala alla foto di profilo le curvature delle lenti
esterne non
collimano assolutamente); probabilmente anche lo schema è un prototipo unico,
realizzato
appositamente per questo esemplare, la cui origine prototipica è confermata,
come di consueto
in casa Zeiss, dalla classica matricola 2.5xx.xxx
credits : Peter Coeln
in questo schema ho riportato in alto le sezioni del tipo
Hologon classico e dell'inconsueto Hologon
110mm f/8 da 90°, che condivide con gli obiettivi appena trattati solo il nome
e non certo il tipo
ottico; premesso che nessuno dei due schemi originali collima con le quote
meccaniche del prototipo
e con la posizione dell'otturatore, ho immaginato due ibridi ottenuti dalla
sinergia dei due schemi,
senza calcoli e con una buona dose di fantasia
un'immagine dell'Hologon 110mm f/8 da 90°, progettato per il 13x18cm, montato
su Compur 0 ed estraneo al prototipo da 110° sopra illustrato, col quale
condivide soltanto i dati di targa e lo schema (in questo caso noto) a
5 lenti in 4 gruppi, anche se basato su curvature e spaziature diverse; la
matricola
prototipica (2.583.344) è molto simile a quella dei prototipi Hologon 110mm f/8
da 110° ( 2.583.337), autorizzando la supposizione che Zeiss stesse lavorando
simultaneamente sulle due opzioni
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HOLOGON UPGRADING 24/09/2007 INIZIO
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Come ampiamente descritto, la
gamma Hologon comprendeva anche due prototipi da 110mm f/8, dei
quali è rimasto un solo esemplare noto per ogni versione, caratterizzati dai
numeri di matricola prototipici
2.583.337 e 2.583.345 (l'esemplare della foto ufficiale qui sopra reca il numero
2.583.344, quindi almeno
due esemplari furono effettivamente assemblati); riguardo all'altro modello, il
registro di produzione della Zeiss
di Oberkochen segnala parimenti due esemplari realizzati, ma è annotato
solamente il numero di matricola
di quello noto, 2.583.337; entrambi furono progettati come dotazione
super-grandangolare per la gamma di
apparecchi tecnici Linhof di formato 13x18cm, con l'intento di creare forse una
"tripletta" di ottiche Zeiss come
già avveniva nei formati inferiori (6x6: Biogon 38/4,5 - Planar 80/2,8 - Sonnar
150/4; 6x9: Biogon 53/4,5 - Planar
100/2,8 - Sonnar 180/4,8; 9x12: Biogon 75/4,5 - Planar 135/3,5 - Sonnar
250/5,6); la scelta di non derivare
una versione maggiorata della gamma Biogon è forse dovuta ai notevoli ingombri
longitudinali e trasversali di
questo tipo, che già nella versione 75mm per il formato 9x12cm rasentava i
limiti di praticabilità dei corpi Linhof...
Probabilmente fu questa la ragione per cui si partì dal foglio bianco,
prendendo in considerazione sia lo schema
Hologon originale di Glatzel sia un'architettura più convenzionale, ispirata ai
classici ed apprezzati Schneider
Super-Angulon; la conferma sulle intenzioni di realizzare una gamma Zeiss anche
per Linhof 13x18 ci arriva
dalle scarne informazioni sul progetto di un Planar 210mm f/5,6, destinato al
ruolo di focale normale nello stesso
formato, mentre manca ogni riferimento ad una versione tele, forse perchè gli
ingombri del tipo Sonnar, la
strozzatura dell'otturatore centrale e la scarsa necessità di un lungo fuoco su
formati così grandi suggerirono
di concentrare gli sforzi su grandangolare e normale; la scelta di realizzare
due versioni di 110mm f/8 basati su
schemi così diversi è forse dovuta all'intenzione di garantire una copertura
abbondante che permettesse un
minimo brandeggio, funzione negata dagli Zeiss sui formati inferiori in quanto
la copertura coincideva esattamente
con il formato: infatti lo schema adottato per il Planar è lo stesso utilizzato
sul primo 75mm f/3,5 per Rolleiflex, e
quindi leggermente grandangolare (56° contro i 46° degli standard); riguardo
ai grandangolari, lo schema Zeiss
di derivazione Super-Angulon era asimmetrico e rispetto a quest'ultimo
rinunciava ad una lente ma anche ad una
copertura abbondante, arrivando a 90° contro i 100° dello Schneider, il che
non avrebbe consentito movimenti
sul formato 13x18cm: per ovviare a questa limitazione si elaborò lo schema
Hologon originale per ottenere un
obiettivo di identiche caratteristiche geometriche (110mm f/8) ma dotato di un
angolo di campo pari a 110°,
sufficienti per qualche accomodamento in fase di composizione.
gli schemi e le caratteristiche dei due obiettivi previsti per Linhof 13x18cm
La gamma Zeiss-Linhof 13x18cm non andò in porto, forse per la
realistica valutazione della ridottissima
nicchia di mercato, i due Hologon 110mm f/8 restarono allo stadio di prototipo e
le loro caratteristiche
segrete sono rimaste avvolte nel mistero, anche perchè - come già accennato -
esiste un solo esemplare
noto per ogni versione; sono lieto di rendere pubblico anche quest'ultimo
tassello del mosaico grazie alla
eccezionale documentazione messa a punto con la collaborazione del Dr. Milos
Mladek di Vienna, celebre
consulente per il settore fotografico di importantissime Case d'asta, e del Sig.
Peter Coeln, titolare del Leica
Shop di Vienna, per le cui mani sono passati entrambi i prototipi conosciuti
delle due versioni di Hologon;
l'amico Milos, che ringrazio di cuore, ha eseguito nel suo laboratorio delle
eccezionali radiografie dei due
obiettivi, che hanno consentito di togliere il velo sul grande mistero inerente
lo schema ottico dell'Hologon
110mm basato sullo schema "ortodosso" di Glatzel: infatti, come
accennato, nella formula originale non c'è
spazio fisico per inserire alcunchè fra le lenti, mentre quest'obiettivo è
dotato di un grosso otturatore centrale
Compound per l'esposizione su Linhof, le cui lamelle teoricamente non dovrebbero
trovare posto...
Le inedite immagini che seguono illustrano i due prototipi di Hologon
conosciuti.
i due prototipi noti relativi alle due versioni di Hologon
110mm f/8 previste per Linhof 13x18:
a sinistra quello derivato dallo schema originale di Glatzel, ed in grado di
coprire 110°; a
destra la versione con schema di tipo Super-Angulon ed accreditato di appena
90° di campo
credits: picture Leica Shop Wien
i due Hologon 110mm f/8 affiancati ad una Contarex Hologon per
valutarne le dimensioni
davvero importanti; la versione da 90° è equipaggiata con un otturatore
centrale Syncro-Compur
credits: picture Leica Shop Wien
l'Hologon 110mm f/8 affiancato al classico Super-Angulon 121mm
f/8
dal cui schema concettualmente deriva; notare la notevole compattezza
dell'obiettivo Schneider
credits: picture Leica Shop Wien
La radiografia del misterioso Hologon 110mm f/8 da 110° ha
confermato l'adozione di
uno schema modificato secondo le caratteristiche della mia ipotesi n° 2
(naturalmente si
è trattato solo di fortuna); lo schema è stato rivisto (forse dagli stessi
Glatzel e Schultz),
rendendolo leggermente asimmetrico per spaziare il menisco posteriore ed il
doppio "fungo"
centrale, ricavando così l'interasse utile per le lamelle dell'otturatore
Compound; l'indagine
radiografica sul modello da 90° ha altresì confermato il nocciolo ottico
presente nel piccolo
schema sui prototipi Linhof 13x18cm riportato all'inizio di quest'aggiornamento;
ecco le
inedite radiografie eseguite dal Dr. Milos Mladek
la radiografia dell'Hologon 110mm f/8 da 110°; notare la lavorazione meccanica
dell'elemento centrale per ricavare al suo interno il diaframma fisso;
l'otturatore è
ancora dotato del proprio dispositivo ad iride per regolare l'apertura, ma il
suo
utilizzo non è assolutamente previsto
credits: radiography Dr. Milos Mladek
Al fine di visualizzare per la prima volta e con chiarezza lo
schema ottico tipo Hologon modificato
adottato da questo prototipo, ho realizzato due animazioni molto didascaliche.
come potete notare il tipo Hologon classico è divenuto
leggermente asimmetrico,
cambiando i valori rifrattivi dei due menischi per ottenere un passaggio per
l'otturatore
per la prima volta possiamo ammirare lo schema del prototipo
Hologon 110mm f/8 da 110°
in tutta la sua magnificenza; notare lo spazio ricavato per la funzionalità
dell'otturatore centrale
la radiografia dell'Hologon 110mm f/8 da 90° ha confermato lo schema
che gli veniva attribuito, derivato dal Super-Angulon f/8 ma reso asimmetrico
dalla fusione del doppietto collato posto dietro al diaframma in un solo
elemento
credits: radiography Dr. Milos Mladek
Per meglio visualizzare anche lo schema della versione da 90°
ho realizzato
un'altra animazione, analoga alle precedenti.
l'elemento distintivo dell'interpretazione Zeiss è senz'altro l'elemento
singolo
dietro il diaframma; quest'obiettivo copre 10° in meno dell'omologo
Super-Angulon f/8
alla luce di questi dati inediti possiamo dire che le versioni
"ortodosse" del tipo Hologon originale
sono tre: il 15mm per Contarex e Leica, il 16mm per Contax G ed il 110mm
prototipo per Linhof;
l'altro 110mm utilizza uno schema estraneo e probabilmente la denominazione
Hologon è stata scelta
solo per distinguerlo dal tipo Biogon, un progetto registrato da Bertele ad
personam in Svizzera e
sul quale forse la Zeiss non aveva i diritti di utilizzo per uno schema simile
ma non derivato dal progetto
originale.....
in questa radiografia troviamo affiancati lo Schneider
Super-Angulon 121mm f/8 e lo
Zeiss Hologon 110mm f/8 da 90°: gli schemi sono simili ma le dimensioni dello
Zeiss
sono decisamente superiori
credits: radiography Dr. Milos Mladek
i relativi schemi ottici abbinati alla radiografia; notare
nello Zeiss l'elemento singolo dietro il
diaframma che si contrappone al doppietto collato del simmetrico Schneider
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HOLOGON UPGRADING 24/09/2007 FINE
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L'Hologon è passato come una meteora nel firmamento fotografico della sua
epoca, suggestionando
operatori ed appassionati col suo essere di niente, e comunque perfetto: un
progetto minimale, inconsueto,
quasi blastfemo e che invece funziona alla grande; la versione M per Leica ha
raggiunto quotazioni da
capogiro ed è da sempre al centro di fetisicmo e follia collettiva per il
fascino indiscreto dell'innominabile
congiungimento carnale fra i due nomi illustri dell'ottica tedesca; lo ebbi in
mano, bastava un si ed era mio:
risposi no, ed è stato meglio così: i sogni devono restare di materia eterea.
Concludendo, i super-grandangolari simmetrici hanno
accompagnato la fotografia fin dai suoi albori,
solleticando le corde più intime dell'inconscio col loro fascino indiscreto,
fatto di visioni oniriche con
prospettive impossibili, degne di H. P. Lovecraft; l'evoluzione step by step ha
progressivamente
eliminato le limitazioni fisiche dei progetti originali e questi affascinanti
globi di vetro hanno attraversato
un'epoca servendo su tutti i fronti, a volte come strumenti di progresso, a
volte di morte; la visione
caratteristica che declinano ha influenzato la pittura, la grafica, lo stile
visivo di molte correnti
ed hanno forgiato in parte la sensibilità percettiva di ciascuno di noi; credo
siano, per queste e
molte altre ragioni, orami parte integrante dell'io collettivo, e questa
celebrazione antologica
era ben più che doverosa.
(Marco Cavina)
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