Da una vecchia brochure Durst, la vista (purtroppo) posteriore della
fotocamera 35mm Durst Automatica, apparecchio automatico a priorità
di diaframma con esposimetro al Selenio ed otturatore centrale;
ignoro la dotazione ottica, ma si apprezza la pulizia del design e la
complessione dall'aspetto molto robusto, teutonico (in fondo, la sede
storica della Durst non è a Brixen?)
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UPGRADING 03/05/2007
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Grazie alla cortese e disinteressata
collaborazione del Sig. Francesco Favara, che mi ha gentilmente fornito le
immagini
relative alla Durst appartenuta a suo padre nonchè preziose delucidazioni
tecniche, posso aggiungere qualche notizia
in più su questa interessante e sconosciuta fotocamera italiana di fine anni
'50 (1959, per l'esattezza); come anticipato,
l'aspetto massiccio, minimale, pulito e con top simmetrico richiama molto gli
apparecchi di scuola tedesca: infatti -
analizzando i progetti ed i brevetti di Julius Durst, il fondatore della celebre
Casa - si scopre che a metà anni '50 egli
collaborava in veste di progettista esterno per la celebre Agfa di Leverkusen,
firmando progetti particolari e controcorrente
come il dispositivo del 1956 che illustrerò a seguire, caratterizzato da un
curioso rinvio per disattivare l'esposimetro al selenio
molto simile ad un pistone da motore miniaturizzato....
In quegli anni Julius Durst cessò la collaborazione con l'Agfa
e si dedicò alla progettazione dei prodotti che portavano il
suo nome; prima di specializzarsi in ingranditori cavalcò l'onda lunga delle
sue esperienze in Agfa progettando questa
interessante fotocamera, caratterizzata da un'estrema pulizia formale e per la
quale adottò soluzioni originali come la
pulitissima leva di carica che aderisce perfettamente al corpo macchina,
calandosi in un'apposita sede, una soluzione
ideata dallo stesso Durst, come documentato dagli estratti del brevetto allegati
a questa pagina.
La Durst Automatica era dotata di un otturatore centrale
Prontor SVS B, 1-300 della Gauthier, caratterizzato dalla
possibilità di esporre automaticamente a priorità di tempi sfruttando le
indicazioni e la tensione elettrica fornita dalla
classica cellula al selenio esterna; impostando l'otturatore su automatico si
poteva visualizzare il tempo di otturazione
scelto dall'apparecchio in una finestrella sul top, dove un galvanometro
scorreva su una scala il cui fondo era colorato
in arancio per i tempi al di sotto di 1/30" e riportava l'immagine di un
apparecchio su treppiede per indicare in modo
immediato ed efficace il rischio di mosso.
L'obiettivo era uno Schneider Kreuznach Radionar 45mm f/2,8
marcato Durst, e la struttura complessiva del gruppo
obiettivo-otturatore ricorda molto quella del color-Skopar in dotazione ad
apparecchi Voigtlander come ad esempio
la Vitomatic II, con la stessa, piccola ghiera di messa a fuoco a sbalzo sulla
parte anteriore ed uno "snapshot setting"
di colore rosso per foto colte al volo sfruttando l'iperfocale (nel caso della
Durst posizionato su 3m); per attivare
l'automatismo c'è un'apposita leva selettrice sul frontale dell'apparecchio,
sotto la cellula al selenio, mentre il mirino
galileiano è parzialmente specchiato come molti apparecchi tedeschi della
stessa categoria; il pulsante di scatto,
alla ricerca della massima pulizia del top in "stile Contax" era
posizionato sul frontale, mentre il manettino telescopico
per il riavvolgimento fa molto Leica M3; l'ultimo forte richiamo alla produzione
tedesca lo troviamo nello sbalzo
anteriore che regge l'obiettivo e nella grafica del nome: il font utilizzato è
molto simile a quello adottato dalla Zeiss
Ikon per i suoi apparecchi del periodo, mentre la propagine che regge
l'obiettivo ha l'inconfondibile profilo di quella
presente sulla Contare Cyclope, appena presentata sul mercato.
Quest'apparecchio ben si inserisce nell'alveo della grande
fioritura italiana anni '50, destinata purtroppo a vivere
una breve ancorchè intesa stagione, e si caratterizza per l'elevata qualità
costruttiva e per quegli inconfondibili
ancètres tedeschi che l'avrebbero ben mimetizzato in qualsiasi catalogo Zeiss
Ikon o Voigtlander dell'epoca,
e considerando il lignaggio dei blasoni non può esserci complimento più grande
per il piccolo capolavoro di
Julius Durst, che sia pure con ovvi limiti di budget finale ha saputo badare al
sodo e creare un prodotto semplice
ma di qualità, con un design sobrio ed elegante: la sua ultima firma nel
settore prima di entrare nel mito con
i celebri ingranditori.
queste immagini della Durst Automatica del 1959 mi sono state
cortesemente inviate dal Sig. Francesco Favara
e documentano la rara fotocamera appartenuta a suo padre ed alla quale lo legano
ovviamente molti intensi ricordi;
l'aspetto solido, serio e "teutonico" appare a prima vista; un
dettaglio qualificante è rappresentato dalla leva di carica
che - in posizione di riposo - si incassa letteralmente nella calotta,
sfruttando uno specifico brevetto di Julius Durst,
datato 1958, le cui sezioni ho raggruppato e riportato a seguire.
il progetto per la leva di carica della Durst Automatica
consente alla leva stessa di sollevarsi sull'asse, uscendo dalla sede in cui
si trova a riposo, per compiere la normale rotazione.
Come anticipato, Julius Durst fece apprendistato progettando
particolari di fotocamere per conto dell'Agfa, attività che proseguì fino
a circa il 1956; uno dei suoi ultimi progetti illustrava un rinvio meccanico per
accoppiare automaticamente i tempi di posa alla
lettura dell'esposimetro al selenio.
l'estro non convenzionale di Julius Durst lo portò ad
immaginare un rinvio costituito da un piccolo imbiellaggio con relativo
pistone e camicia di scorrimento, una soluzione di certo non semplice ma in
linea con il gusto tedesco per la meccanica
fine e diabolicamente intricata; il progetto risale al 1956 e funziona in questo
modo: la biella è collegata allo scatto del=
l'otturatore, il quale, durante il funzionamento, movimenta una leva collegata
al pistone; la fotocellula al selenio, col
potenziale elettrico generato dalla luce che la colpisce, fa ruotare un piccolo
disco dotato di fori calibrati e di diametro
progressivamente maggiore, allineati con uno "sfiato" posto alla
sommità della camera in cui corre il minuscolo pistone;
questi fori consentono all'aria presente nella camera di uscire mentre il
pistone sale verso il "punto morto superiore", sotto
la spinta della già citata leva sollevata dall'otturatore in funzione: quando
la luce diviene via via più intensa, la cellula al
selenio fa ruotare il disco munito di fori per il travaso nella posizione dove
si trovano le aperture di diametro maggiore,
che oppongono minore resistenza all'uscita dell'aria e consentono al pistone di
terminare la sua corsa in un tempo inferiore;
viceversa, quando la luce è scarsa, la fotocellula posiziona il disco con un
foro allineato di diametro ridotto che crea una
resistenza maggiore ed induce il pistone a salire meno rapidamente; siccome il
pistone è vincolato ai meccanismi
dell'otturatore, i tempi di posa in automatico si regolano di conseguenza,
ovvero: molta luce = foro grande = corsa rapida =
tempo breve; poca luce = foro piccolo = corsa lenta = tempo lungo. Si tratta di
un "feed-back" automatico e molto
ingegnoso, seppure nel tempo gli attriti possono aumentare, starando il sistema.
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FINE DELL'UPGRADING 03/05/2007
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