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Fuori banda: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.
Gli obiettivi fotografici sono concepiti – come logico - per fotografie comprese nell’ambito dello spettro luminoso visibile dall’occhio umano, approssimativamente per lunghezze d’onda comprese fra 430nm e 700 nm; naturalmente esigenze specifiche di natura tecnica, scientifica o creativa possono richiedere l’utilizzo come fonte primaria di sorgenti luminose caratterizzate da emissione che esulano da questa ristretta sezione dell’ampissima banda delle onde elettromagnetiche, spingendosi oltre la soglia del visibile e da ambo i lati, vuoi verso lunghezze d’onda più corte (ultravioletto) vuoi verso le più lunghe (infrarosso).
Naturalmente le ottiche convenzionali, per quanto di
ottima qualità, assecondano fino ad un certo punto questo utilizzo ribaldo e
disinvolto, al di fuori dei parametri di progetto; nel campo dell’infrarosso -
fortunatamente - gli obiettivi richiedono semplici precauzioni che si limitano
ad una correzione di fuoco alla coniugata anteriore (l’infrarosso va a fuoco
su una giacitura più remota ed occorre impostare una messa a fuoco leggermente
più ravvicinata) e l’impiego di un apposito filtro rosso scuro; naturalmente
tutto questo restando nell’ambito dell’infrarosso prossimo, senza spingersi
oltre gli 800-850nm, dato che già a 1.000nm lo spostamento di fuoco è tale da
consigliare l’utilizzo di speciali obiettivi superacromatici, mentre andando
verso i 2.000nm il vetro non è più in grado di trasmettere questa frequenza ed
occorre utilizzare obiettivi con lenti realizzate in Germanio, costosi oltre
l’immaginazione e sconcertanti a prima vista, dato che le lenti appaiono come
realizzate in metallo cromato e del tutto opache.
Rank Taylor Hobson IRTAL II 100mm f/1,0, esempio di obiettivo specifico per ripresa IR in campo spettrale di 2.000nm con lenti realizzate in Germanio, trasparenti a queste lunghezze d’onda estremamente elevate ma del tutto opache alla luce visibile.
picture © Dr. Klaus Schmitt
Incidentalmente, ho parlato di frequenza e non di
lunghezza d’onda; infatti è la frequenza di oscillazione che connota il
colore percepito, dato che la luce, se attraversa il vuoto o solidi trasparenti
come appunto il vetro, presenta nel secondo caso una velocita inferiore ed una
lunghezza d’onda più compressa, ma il colore percepito resta identico perché
non varia la frequenza di vibrazione; fra l’altro queste escursioni fuori
spettro nel campo IR o UV che ci paiono così rilevanti sono ben poca cosa nel
mare magnum dello spettro elettromagnetico terrestre globale, con lunghezze
d’onda che variano dai 10-
Passando invece all’ultravioletto la situazione si
complica un poco: infatti la banda dell’ultravioletto in senso lato parte da
circa 430nm (soglia del violetto visibile) e scende fino a lunghezze d’onda di
pochi angstroms, arrivando ai limiti dell’area di copertura dei raggi X,
mentre il vetro ottico convenzionale non lascia passare nulla al di sotto dei
330nm, situazione peggiorata sovente dai trattamenti antiriflesso o da speciali
collanti per i gruppi di lenti (il famoso Absorban Leica, ad esempio) che
tagliano praticamente tutta la banda UV.
Fin dai primi decenni del secolo passato si era presa
coscienza di questa problematica (era noto che l’UV annerisce l’emulsione al
Cloruro d’Argento, ed era possibile stabilire quali mezzi lasciassero passare
queste lunghezze d’onda e quali no) e si tentarono vie alternative prendendo
in considerazione altri materiali trasparenti con adeguate caratteristiche
ottiche e meccaniche; ben presto ci si rese conto che il Quarzo (Biossido di
Silicio, cristallino e trasparente) era in grado di trasmettere la banda UV fino
a lunghezze d’onda ben più corte di quanto consentisse il vetro, permettendo
l’utilizzo fotografico di queste frequenze; nonostante le difficoltà per
reperire cristalli purissimi di dimensioni adeguate (gli immensi giacimenti del
Brasile o dell’Arkansas erano ancora da sfruttare) e per la successiva
lavorazione (il Quarzo è concoide, con sfaldatura casuale e molto duro, 7 Mohs
contro 5,5 Mohs del vetro e 6,5 Mohs del migliore acciaio temperato), furono
realizzati obiettivi con lenti in Quarzo già nell’epoca adolescenziale
dell’ottica, come testimonia questo pregevole obiettivo della Steinheil di
Monaco di Baviera con focale di 776mm, denominato appunto “Quarz” e la cui
obsoleta datazione è tradita dalla classica montatura retrò in ottone laccato
dotata di filettatura da 88mm per l’impiego su banco ottico; questo speciale
obiettivo era previsto dal costruttore per l’utilizzo fino a 200nm di
lunghezza d’onda.
Il datato Steinheil Quarz 776mm da banco ottico, già dotato di lenti in Quarzo molato e previsto per la ripresa UV fino a 200nm.
Picture ©
Dr Klaus Schmitt
Effettuando una rapida carrellata sulla banda UV, abbiamo
visto che da
Sull’altro versante - analogamente - anche le emulsioni presentano svariati inconvenienti al ridursi della lunghezza d’onda: attorno a 230nm la gelatina inizia ad assorbire massicciamente le radiazioni e si ricorreva ad emulsioni particolari (le “celebri” Schumann e “Q”, star del settore) specificamente formulate e caratterizzate da uno strato di gelatina superficiale estremamente sottile o dalla presenza dello strato sensibile di sali d’Argento direttamente in superficie; era anche possibile spalmare di vaselina od olio minerale fluorescente l’emulsione convenzionale (naturalmente, per ovvi motivi logistici, si parla di lastre piane) sfruttando per impressionarla la fluorescenza superficiale indotta dagli UV.
Tristemente, scrivo coniugando al passato perché con l’avvento massiccio del digitale questi scenari sono quantomeno stravolti…
Appare dunque evidente che la fotografia multispettrale
nel campo UV estremo è un cimento da autentici specialisti, tuttavia lo
sfruttamento della banda più prossima al visibile, nel campo da 220nm a 350nm,
è di grande utilità in svariate applicazioni pratiche, dall’indagine
poliziesca alla perizia su opere d’arte svelando assegni contraffatti,
affreschi raffazzonati e così via, rappresentando una nicchia di utenza
certamente ridotta ma da prendere in considerazione per quelle grandi Case che
fanno dell’universalità del loro sistema il veicolo promozionale principale.
Dopo gli esperimenti pionieristici come lo Steinheil sopra citato, negli anni
’50 la casa americana Wollensak con sede a Rochester (famosa per i noccioli
ottici degli obiettivi Leitz-New York del tempo di guerra) realizzò alcuni
obiettivi con specifiche UV, uno dei quali veramente unico e con caratteristiche
talmente straordinarie da meritare un romanzo o addirittura la sceneggiatura di
un film; per le eccezionali immagini di questo esemplare e per la sua
incredibile storia voglio ringraziare sentitamente il caro amico Dr. Klaus
Schmitt, che oltre a conservare il pezzo nella sua eccezionale collezione di
ottiche speciali è uno dei massimi esperti mondiali nel campo degli obiettivi e
della fotografia UV.
Mister Wollensak, illuminato imprenditore con una vivace curiosità
intellettuale indirizzata alle branche più disparate, mise in produzione un
obiettivo UV realizzato solo con vetri ottici, il Wollensak UV Amaton 10 ½”
(265mm) f/8, un’ottica in montatura semplice senza otturatore e dedicata ai
grandi formati; la sua copertura spettrale, in assenza di vetri in quarzo e
fluorite, parte da circa 320nm – escludendo quindi gli UV ad onda corta – e
si estende con continuità per tutto il campo visibile fino a 700nm; si tratta
di un obiettivo insolito ed estremamente raro.
vista frontale del rarissimo Wollensak UV Amaton 10 ½” f/8
picture
© Dr. Klaus Schmitt
vista laterale del Wollensak UV Amaton 10 ½“ f/8; si nota la montatura senza
otturatore
e la scala del diaframma graduata fino ad f/64
picture © Dr. Klauss Schmitt
L’altro obiettivo Wollensak dedicato alla ripresa UV è
accompagnato da una storia straordinaria e tale da incrementare ulteriormente il
suo già significativo valore, dal momento che stiamo parlando di un’ottica
progettata e realizzata in una manciata di esemplari, utilizzando lenti in
quarzo di provenienza extraterrestre!!! Sul finire degli anni ’50
uno sciame di meteoriti ferrose impattò sugli stati nel Nord-Est degli USA; si
trattava di pallasiti, ovvero di splendidi aeroliti metallici che inglobano
nuclei cristallini, solitamente di peridoto od olivina che dir si voglia (una
miscela isomorfa con nesosilicato di ferro bivalente e nesosilicato di magnesio
che deve il colore verde, appunto, al ferro presente nella prima componente,
detta fayalite, mutuato dalla matrice ferrosa), ma l’eccezionalità di queste
meteoriti stava nel fatto che i nuclei cristallini inglobati erano perfettamente
trasparenti e privi di impurità come il migliore vetro ottico; Mr. Wollensak
venne a conoscenza di questa curiosa anomalia e pensò subito di sfruttare
questo “vetro” per realizzare obiettivi: acquistò una grande quantità di
queste anomale pallasiti, estraendo e testando il materiale cristallino
trasparente; immediatamente si rese conto che si trattava di quarzo amorfo e
privo delle caratteristiche negative del materiale cristallino naturale
terrestre (polarizzazione, birifrangenza, etc.); le rilevazioni
spettrofotometriche evidenziarono che il quarzo alieno trasmetteva bene anche
frequenze dell’ultravioletto profondo, bel oltre la soglia di 320nm concessa
dai vetri ottici convenzionali, garantendo parziale trasparenza fino alla
fatidica soglia dei 200nm!
Alla Wollensak capirono che sarebbe stato possibile
realizzare un obiettivo UV corretto anche per le onde corte utilizzando quarzo
extraterrestre, una prospettiva affascinante che fu affrontata più come sfida
tecnologica o come intrigante acme e fiore all’occhiello dell’azienda che
per realistiche velleità commerciali: infatti, come di consueto, i nuclei
silicei delle pallasiti erano di diametro molto modesto ed alla fine il
materiale disponibile e sufficientemente dimensionato per realizzare le lenti di
un obiettivo fu talmente scarso da consentire il completamento di pochissimi
esemplari, e non tutti otticamente perfetti, di Wollensak UV Anastigmat
Se non bastasse il pedigree extraterrestre, le lenti in quarzo che hanno
viaggiato per anni luce a velocità inimmaginabili bruciando miliardi di
chilometri nello spazio, per finite sulla Terra celate in meteore roventi, a
rafforzare la straordinaria mistica di quest’obiettivo ci pensa
l’incredibile ed inquietante serie di gravi incidenti ed impedimenti che hanno
scandito la realizzazione delle sue lenti, quasi come se un’entità maligna e
pensante si opponesse al sacrilegio perpetrato trasformando frammenti di
infinito in hardware tecnologici…..durante la molatura del blocco di quarzo
alieno una scheggia, quasi animata da volontà cosciente, partì dalla mola e
trafisse entrambi gli occhi dell’operatore; successivamente,
un giovane apprendista intento a sovrintendere alla levigatrice che stava
ruotando per lucidare queste lenti in quarzo alieno si distrasse un attimo ed
una manica fu presa dalle parti rotanti che gli ruppero il polso; mentre tentava
disperatamente di liberarsi, anche la seconda manica finì nella levigatrice che
gli spezzò l’altro polso come un
fuscello; sconvolto dallo choc e dal dolore, il ragazzo barcollò cadendo in
avanti, il colletto della maglia fu preso dagli ingranaggi e purtroppo lo
sventurato operatore morì col collo spezzato; naturalmente fino a questo punto
si potrebbe ascrivere il tutto a sfortunatissime coincidenze, ma procediamo
oltre…..si decise di trattare antiriflesso le lenti e durante le procedure
dalla finestra di controllo si verificò che il fluoruro di magnesio non
fondeva, sicchè un addetto entrò nel locale per registrare il termostato del
forno; solo una volta entrato si rese conto che il forno funzionava
correttamente ed in pochi secondi i suoi abiti furono in fiamme, sfigurandolo ed
ustionandolo severamente; durante queste fasi concitate
dalle lenti surriscaldate che si assestavano sul plateau si levò un crepitio
sinistro nel quale c’è chi volle riconoscere un ghigno malefico; fatto sta
che la genesi dell’ UV Anastigmat n° 201 pare sia stata accompagnata da una
sorta di maledizione interplanetaria…
il rarissimo Wollensak UV Anastigmat
alcune meteoriti ferrose; questo esemplare è l’unico censito al mondo e le
fasi della sua
realizzazione furono funestate da ripetuti ed inquietanti incidenti e
disgrazie…Notare l’aspetto
artigianale dell’imballaggio, proprio di un obiettivo realizzato a mano in
pochissimi esemplari
picture © Dr. Klaus Schmitt
Il Wollensak UV Anastigmat 4“ f/4,5 col diaframma ad 8 lamelle chiuso; uno
precedente
proprietario ebbe a dire che “l’obiettivo sembra avere il fuoco dentro”,
definizione colorita
ma assai appropriata, vista l’origine delle lenti…
picture © Dr. Klaus Schmitt
La montatura semplice, senza otturatore e con la scala dei diaframmi graduata
fino ad f/32
picture © Dr. Klaus Schmitt
Nel frattempo, in Europa,
Lo Zeiss jena UV-Objektiv 60mm f/4, con la classica montatura dell’epoca ed
il diaframma a preselezione
picture
© Dr. Klaus Schmitt
Un’altra vista del Carl Zeiss Jena UV-Objektiv 60mm f/4; notare il ridotto
diametro
del nocciolo ottico, presumibilmente basato su un semplice tripletto
picture © Dr. Klaus Schmitt
Sul finire degli anni
la vista frontale dello Zeiss UV-Planar 60mm f/4; l’assenza di lenti in quarzo
è evidenziata
dalle rigature sulla lente anteriore (il quarzo è estremamente resistente
all’abrasione, 7 Mohs)
mentre la matricola nell’ordine dei 2.580.xxx lo posiziona cronologicamente
intorno al 1958
picture
© Dr. Klaus Schmitt
la montatura dell’UV-Planar 60mm f/4, completamente nera, è molto moderna per
l’epoca; la
sala dei diaframmi è graduata da f/4 ad f/22 e non è previsto un elicoide di
messa a fuoco
picture
© Dr. Klaus Schmitt
lo schema ottico dello Zeiss UV-Planar 60mm f/4,
basato su un Gauss simmetrico
picture from Sidney F. Rays lens book
Con l’arrivo dei sixties
il complesso
schema ottico tipo gauss asimmetrico
del rarissimo Zeiss UV-Planar 50mm f/2
(Marco Cavina 2006)
In quegli anni anche
il Rodenstock
UV-Rodagon 60mm f/5,6, assolutamente
identico dal punto di vista meccanico
al coevo Rodagon 50mm f/5,6 ma in grado di trasmettere gli UV a partire da 320nm
picture
© Dr. Klaus Schmitt
In tempi più recenti altri nomi eccellenti si sono cimentati in realizzazioni di questo tipo, ed il primo in ordine di tempo fu l’Asahi Optical Co., l’azienda madre del celeberrimo brand Pentax , accreditata di un know-how di prim’ordine nell’ottica e parimenti affermata nel settore delle realizzazioni specifiche in campo medicale e quindi attenta anche alle esigenze tecniche “speciali”.
Il rarissimo
Quartz-Takumar 85mm f/3,5 del 1963, il primo obiettivo moderno specifico per
ripresa UV.
picture © Dr. Klaus Schmitt
L’obiettivo, prodotto dal 1963 al
Caratteristica qualificante di quest’ottica è la presenza a corredo di quattro speciali filtri, contenuti in un astuccio in vinilpelle rivestito in velluto verde coordinato con barilotto porta-obiettivo; tali filtri non si applicano alla montatura filettata anteriore ma si montano a pressione bloccandoli in posizione avvitando un nottolino godronato laterale, esattamente come nel caso dei paraluce Nikon serie HK.
Una rara
immagine del Quartz-Takumar 85mm f/3,5 con la dotazione di filtri specifici per
l’UV
picture © Dr. Klaus Schmitt
Questi speciali accessori altro non sono che filtri passa banda che tagliano le frequenze indesiderate, consentendo l’utilizzo in luce UV a partire da 365nm oppure da appena 253,7nm; siccome la messa a fuoco sarebbe visivamente impossibile con il filtro da ripresa applicato, ad ognuno di essi è abbinato in tandem una versione analoga che permette la sola messa a fuoco e la visualizzazione; al momento dello scatto il filtro da visione va sostituito con l’omologo specifico per la ripresa.
I filtri necessari per la ripresa UV sotto i 365nm e 253,7nm in duplice versione per l’inquadratura e la ripresa.
Picture
© Dr. Klaus Schmitt
Sull’obiettivo era anche presente una scala micrometrica di correzione della messa a fuoco in riferimento alla specifica lunghezza d’onda utilizzata come sorgente luminosa.
La scala di
correzione della messa a fuoco relativa alle varie lunghezze d’onda UV
impiegate.
picture © Dr. Klaus Schmitt
Nel 1968, l’anno successivo all’uscita di produzione di questo archetipo, entrò in scena una significativa evoluzione del progetto, con evidenti migliorie concettuali e funzionali: l’Ultra-Achromatic-Takumar 85mm f/4,5, semplicemente UA-Takumar per gli amici.
A fronte di una leggera riduzione dell’apertura massima, irrilevante nello specifico utilizzo pratico, l’obiettivo garantiva una correzione superacromatica non soltanto nello specifico campo dell’ultravioletto ma anche per tutta la gamma del visibile e financo per buona quota dell’infrarosso, garantendo immagini nitide e senza alcuna correzione di fuoco fra le operazioni di inquadratura e scatto nell’enorme intervallo compreso fra 220nm e 1000nm, trasformandolo in uno strumento duttile ed efficacissimo che riuniva in se le virtù di un nitido mediatele convenzionale, di un superacromatico corretto per l’infrarosso e di un obiettivo speciale per l’ultravioletto!
Il primo della
classe: da 220nm a 1000nm senza un cedimento, l’atout dell’UA Takumar 85mm
f/4,5
picture © Dr. Klaus Schmitt
Anche le caratteristiche meccaniche e funzionali presentarono migliorie di rilievo; se il barilotto condivide col precedente modello l’attacco filtri da 49x0,75mm, l’innesto per il corpo macchina 42x1 e le quote esterne, nell’uso pratico possiamo avvalerci di un diaframma completamente automatico su valori compresi fra f/4,5 ed f/22 nonché di una ghiera indipendente per la messa a fuoco graduata da 0,6m ad infinito che rendono l’utilizzo a mano libera quantomeno praticabile; il massimo ingrandimento possibile era di circa 0,21x.
L’angolo di campo, come nel precedente modello è di
circa 28° mentre il peso è leggermente superiore ma comunque sempre molto
contenuto, ovvero
Un elemento di continuità col modello precedente è rappresentato dalla omologa dotazione di filtri speciali, in questo caso contenuti in un bauletto corredo in vinilpelle rivestito di velluto rosso porpora che prevedeva anche l’alloggiamento per l’obiettivo stesso; in questo caso la dotazione funzionale prevedeva cinque filtri in luogo di quattro, e tutti adibiti a specifici tagli di frequenza in fase di ripresa dato che la già citata correzione globale rendeva superflui i filtri per la messa a fuoco precedentemente forniti; specificamente, due filtri erano dedicati alla ripresa nel campo UV e ben tre destinati a riprese all’IR con lunghezze d’onda progressivamente maggiori: nel dettaglio, per l’ultravioletto si riproponevano filtri simili ai precedenti, calibrati su 253,7nm e 365nm mentre per l’infrarosso erano fornite le versioni R62B, R68B ed un filtro “nero” 862nm; contrariamente alla versione Quartz-Takumar 85mm f/3,5 questi filtri sono dotati di normale attacco filettato 49x0,75mm e mentre i modelli speciali “dedicati” 253,7nm, 365nm e 862nm sono specificamente marcati e personalizzati “Ultra-Achromatic Takumar” sulla corona frontale, i due modelli rosso scuro R62B ed R68B hanno una montatura più convenzionale e sottile con la semplice dicitura Asahi Pentax Japan nello spessore, suggerendo forse un utilizzo in comune con Takumar più convenzionali dal momento che questi due filtri presentano un taglio di banda che permette riprese IR anche con obiettivi non specialistici, con la semplice correzione di fuoco.
Il bauletto
corredo dell’UA-Takumar 85mm f/4,5 col suo prezioso contenuto;
nell’immagine manca alla dotazione il filtro 253,7nm.
Picture
© Dr. Klaus Schmitt
Quattro dei
cinque filtri in dotazione; notare come la montatura dei due modelli
utilizzabili anche con ottiche convenzionali sia diversa ed analoga ai filtri
standard, mentre quelli per l’utilizzo “fuori spettro” sono dedicati
specificamente.
picture © Dr. Klaus Schmitt
Questo piccolo gioiello che garantiva prestazioni operative ben oltre l’apparenza dimessa restò in produzione fino al 1975, dividendo la gloria del blasone con un altro Takumar speciale, l’UA 300mm f/5,6 apocromatico, ma anche in questo caso l’eccezionalità del progetto fu più un acuto nelle intenzioni ed una bella vetrina per il marketing che un successo commerciale, dato che al momento attuale non sono censiti più di 20 esemplari in buone condizioni e con la dotazione più o meno completa; come nel caso del predecessore, dunque, si tratta di un obiettivo estremamente raro e certamente un istant-classic per il collezionista raffinato e competente che ama mettere a manetta la sua attrezzatura e non soltanto spolverarla!
l’altro obiettivo che all’epoca si fregiava della denominazione
Ultra-Achromatic-Takumar:
si tratta del 300mm f/5,6 dove l’ampia correzione spettrale veniva in questo
caso sfruttata
per ottenere un’ottima correzione dell’aberrazione cromatica in ttto lo
spettro visibile, rosso
compreso; era in sostanza un ottimo tele apocromatico, ma non destinato alle
riprese UV o
comunque al di fuori dello spettro visibile; pare che solo 5 esemplari siano
tuttora censiti!
picture © Dr. Klaus Schmitt
la bocca da fuoco dell’UA-Takumar 300mm f/5,6, obiettivo oggi rarissimo
picture © Dr. Klaus Schmitt
Un sorriso per
la stampa…Ogni scarafone è bello a mamma sua, ma dietro l’apparenza
ingannevole si cela uno strumento professionale micidiale.
picture © Dr. Klaus Schmitt
Assieme a questi sparuti reduci, rari Nantes di una comunque non folta schiera, sono arrivati a noi anche due prototipi, in tutto e per tutto simili al modello definitivo fatto salvo per le engravings anteriori, prive del riferimento al costruttore.
Il rarissimo
prototipo dell’UA-Takumar 85mm f/4,5.
picture © Dr. Klaus Schmitt
Risalendo alle specifiche depositate al brevetto è possibile analizzare lo schema, le caratteristiche ottiche, di rendimento e le aberrazioni correlate all’UA-Takumar, che peraltro non presenta il fianco a critiche: scegliendo una focale “facile” ed una luminosità ridotta si è garantita una qualità adeguata.
La sezione
rivela il semplice schema a 5 lenti in Quarzo e Fluorite di minuscole dimensioni
drawing from Pentax archives, graphics reworked by Marco Cavina
la disposizione degli elementi in quarzo e fluorite con i relativi indici di
rifrazione e numero di Abbe
drawing from Pentax archives, graphics reworked by Marco Cavina
Il percorso
ottico della luce attraverso l’UA-Takumar.
La buona correzione delle aberrazioni testate in un vasto ambito da 422nm a 750nm.
Altri diagrammi correlati alla correzione dell’UA-Takumar.
Come evidenziato da un precedente spaccato, le lenti in
quarzo sono rappresentate dal primo e dal quarto elemento, entrambi divergenti,
mentre sono in fluorite la seconda, la terza e la quinta lente, convergenti;
notare l’elevatissimo numero di Abbe che caratterizza la fluorite, addirittura
94,9, mai bissato nemmeno dai modernissimi vetri super-ED e super-UD al fosfato
di fluoro, ed indice di uno spettro secondario ridottissimo, per cui la fluorite
va giustamente famosa, anche se in questo caso questa vantaggiosa caratteristica
non viene sfruttata pienamente ma ci si accontenta dell’ottima trasparenza di
questo materiale agli UV ad onda corta.
Spostamento di fuoco; notare come dalla parte centrale dello spettro visibile
fino
alla soglia dell’UV lo shift sia pressoché nullo.
Aberrazione
sferica, distorsione ed astigmatismo: buona correzione in tutti i settori.
Dettaglio della
distorsione, contenuta in un negligibile –0,7%.
this and the previous 5 (five)
drafts are from GB1128080 patent
Restando in casa Ahahi Pentax, questi due per quanto
inconsueti UA-Takumar sono certamente surclassati da una sconosciuta versione su
otturatore centrale per pellicole di grande formato realizzata per
Il portafiltri a cassetto consente il montaggio dei filtri UV per la ripresa
(non forniti o assenti nel kit dell’unico esemplare noto) e svolge anche la
funzione di efficace paraluce, evitando che la luce parassita colpisca il filtro
stesso o l’obiettivo; i due filtri per la messa a fuoco, verdi alla vista,
sono specificamente calibrati per un taglio delle frequenze rispettivamente
superiori a 253,7 e 365nm e presentano di profilo l’avvertimento “remove
before taking pictures”; l’acromatizzazione dichiarata parte da 200nm e sul
cannotto esterno dell’obiettivo è presente, così come sul Quartz Takumar
85mm, una ghiera con la scala micrometrica di compensazione per la messa a fuoco
la cui dinamica è decisamente criptica ma suppongo contenga riferimenti
centimetrici legati al tiraggio del soffietto sull’apparecchio di grande
formato utilizzato in ripresa; a seguire le eccezionali immagini di quest’unico
esemplare, noto finora soltanto ad una ristrettissima elìte di iniziati.
il bauletto corredo in legno pregiato fornito con il Quartz Takumar 135mm f/5
picture © Dr. Klaus Schmitt
l’interno del cofanetto conserva l’obiettivo stesso e, in buon ordine, il
portafiltri da ripresa
ed i due filtri per la messa a fuoco; notare l’aspetto artigianale della
confezione, proprio
di una realizzazione in tiratura ridottissima
picture
© Dr. Klaus Schmitt
l’unico esemplare conosciuto del rarissimo Quartz Takumar 135mm f/5,
destinato ai grandi formati e montato su otturatore centrale Seikosha
SLV
picture © Dr. Klaus Schmitt
una vista di profilo evidenzia le scale di correzione la cui logica non è
affatto intuitiva
picture © Dr. Klaus Schmitt
il Quartz Takumar 135mm f/5 al quale è stato applicato il portafiltri da
ripresa a cassetto
picture © Dr. Klaus Schmitt
i due filtri taglia-banda destinati alla messa a fuoco; il taglio avviene
rispettivamente al di sopra di 253,7nm e 365nm
picture © Dr. Klaus Schmitt
Nel frattempo la concorrenza aveva preso atto di queste
realizzazioni esclusive, senza però dare a ciò un seguito operativo se non
casi rimasti isolati e rappresentati dallo Zeiss UV-Sonnar 105mm f/4,3
(realizzato nel 1968 per Hasselblad), dal Nikon UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5
presentato molto più tardi, nel
Tornando a noi, in quel 1968 che stava arrembando come un
frangente e dove tutto pareva in accelerazione
I tre pregevoli campioni erano rappresentati dall’S-Planar 135mm f/5,6 “bellows”, uno speciale obiettivo macro in montatura corta previsto per riprese da infinito ad 1:1 su soffietto, dal Planar 100mm f/3,5 - ottica praticamente priva di distorsione e dotata di elevatissima ed uniforme risoluzione ai diaframmi aperti per utilizzo fotogrammetrico in coppia col Biogon 60mm f/5,6 “lunare” - ed infine dall’ancora più esclusivo UV-Sonnar 105mm f/4,3, ottica realizzata con lenti in Quarzo e Fluorite e destinata, analogamente all’UA-Takumar - alla ripresa nella banda ultravioletta così come in luce visibile, anche se il primato dell’acromatizzazione completa da UV ad IR restava al campione Asahi dato che lo Zeiss si accontentava di una correzione limitata fra i 215nm ed i 700nm, ovvero fino alla soglia del visibile senza accedere all’IR, probabilmente una scelta conservativa di Zeiss legata alla proverbiale ricerca della perfezione; del resto quattro anni dopo la stessa Zeiss avrebbe presentato il Sonnar 250mm f/5,6 Superachromat, tuttora insuperato per la correzione cromatica fino a 1000nm.
L’obiettivo e basato su uno schema a 7 elementi leggermente più complesso rispetto al Takumar e fu inizialmente prodotto in montatura C, tuttavia essendo un obiettivo specialistico fornito solo su ordinazione non condivideva con gli altri la livrea argento satinato ma - al pari del Planar 100mm f/3,5 fotogrammetrico e dell’S-Planar 135mm f/5,6 macro - era fin dall’inizio anodizzato in nero fatta eccezione per la baionetta B50 anteriore che era rifinita in argento; la focale effettiva era di 107,2mm corrispondenti ad un angolo di campo di 41° sulla diagonale e di 30° sul lato, il diaframma operava nell’intervallo f/4,3-f/32, la messa a fuoco minima scendeva ad 1,8m (valore non eccezionale) ed il barilotto prevedeva una lunghezza di 87mm, un diametro di 78mm ed un peso complessivo di 670g; naturalmente era servito dal classico otturatore centrale Syncro-Compur #0 comune agli altri obiettivi della serie C; sul catalogo dell’importatore italiano Pecchioli - anno 1969 - questo obiettivo (fornito su richiesta speciale) era identificato dal codice n° 20133.
Lo schema ottico
dell’UV-Sonnar 105mm f/4,3 caratterizzato dall’utilizzo di lenti in Quarzo e
Fluorite.
drawing from Hasselblad
database; graphics reworked by Marco Cavina
Nel 1982
Lo Zeiss
UV-Sonnar 105mm f/4,3 nell’originale montatura C nera che lo
caratterizzava al momento del lancio sul mercato nel 1968.
picture from 1970 italian (Pecchioli) Hasselblad catalogue
La resa ottica è di tutto rispetto anche se, come accennato, una messa a fuoco minima di 1,8m in un ottica che equivale grosso modo ad un 60mm nel 24x36 non consente di evidenziare dettagli minuti come invece è prassi comune nella ripresa UV dove i soggetti sono sovente particolari di opere d’arte o di documenti e referti dermatologici ravvicinati; probabilmente la scelta è da ricondursi alla standardizzazione delle lavorazioni meccaniche: infatti è facile notare come negli obiettivi Zeiss C la parte basilare della montatura con gli elicoidi e le ghiere - nella maggioranza degli esemplari - sia riconducibile a quella del classico Planar 80mm f/2,8 con eventuali e spesso ridicole aggiunte di cannotti anteriori di varia foggia (vedi, ad esempio, il Distagon 40mm f/4); evidentemente l’escursione dell’elicoide di messa a fuoco propria del Planar 80mm - se applicata ad una focale maggiore - determina l’inconveniente a causa della modesta variazione di tiraggio disponibile.
l’inconsueta lente frontale concava dello Zeiss UV-Sonnar 105mm f/4,3
picture © Dr. Klaus Schmitt
il filtro dedicato Zeiss UG 11 realizzato da Schott, che consente un’ottima
soppressione della fastidiosa banda IR
picture © Dr. Klaus Schmitt
La presentazione
dell’ottica nelle schede tecniche Zeiss.
this and next draft from
Hasselblad litterature
Gli MTF
originali dell’UV-Sonnar 105mm f/4,3 misurati non in luce bianca
ma nella singola banda del violetto
a 436nm, alla soglia del visibile.
Nella foto di Jens Karlsson (storico fotografo Hasselblad) parte del sistema Zeiss Hasselblad C del 1977, dove spicca l’UV-Sonnar 105mm f/4,3 grazie alla sua baionetta B50 cromata.
Curiosamente, gli obiettivi C nel 1968 (anno della sua introduzione) erano come detto “bianchi” mentre l’UV Sonnar nacque già anodizzato nero; intorno al 1972-73 e fino al 1982 (anno del passaggio alla serie CF) anche il resto del parco ottiche fu anodizzato completamente in nero mentre l’UV-Sonnar mantenne l’originale baionetta B50 cromata come segno di distinzione e di appartenenza alla categoria degli “speciali”.
Un altro marchio che si cimentò in questa prova
ardimentosa fu
L’obiettivo, ovviamente in configurazione AiS, nasceva
in pratica sul barilotto del micro-Nikkor 105mm f/4 AiS (più snello del
precedente Ai) sia pure focheggiando tramite un unico e lunghissimo elicoide
anziché due, copriva un angolo di campo sulla diagonale di 23°20’,
presentava un diaframma che lavorava fra f/4,5 ed f/32 e pesava 525g; la messa a
fuoco minima (da cui il mitico suffisso micro) scendeva ad appena 48cm che
consentivano di passare direttamente dall’infinito ad un rapporto di
riproduzione di 1:2, davvero utile sul campo; lo schema ottico a 6 lenti in 6
gruppi prevede lenti esclusivamente in quarzo e fluorite anche se qualche fonte
sostiene che in realtà
l’UV-micro-Nikkor
105mm f/4,5 assieme al suo gruppo ottico realizzato con elementi in Quarzo e
Fluorite.
picture and drawing from
Nikon product guide – 1989-90
Sono note due versioni di quest’obiettivo: la prima è caratterizzata dal paraluce applicabile separato e dalla semplice indicazione UV-Nikkor 105mm 1:4,5, senza il suffisso micro; la seconda prevede il paraluce telescopico integrato e la denominazione completa UV-Micro-Nikkor 105mm 1:4,5.
Uno dei primi
esemplari semplicemente indicato come UV-Nikkor 105mm 1:4,5 senza il suffisso
micro.
picture credit: Leonard Foo
– Malaysian Internet Resource
In entrambe le versioni l’obiettivo era fornito con un dotazione specifica rappresentata da una montatura per portafiltri basculante AF-1, un portafiltri per gelatine vero e proprio UR-2 e un filtro opaco per UV che lascia passare solamente le frequenze fra 220nm e 420nm con un picco di trasmissione a 330nm, da inserire nell’UR-2; quest’ultimo gruppo si agganciava in cascata davanti all’AF-1 e si avvitava il tutto all’obiettivo; sfruttando la doppia montatura basculante dell’AF-1 si toglieva dal percorso ottico il filtro UV per la messa a fuoco, ruotandolo poi in posizione per lo scatto, con gesti analoghi a quelli richiesti dal polarizzatore per Leica-M.
L’UV-micro-Nikkor
con filtro dedicato montato sul portafiltri UR-
picture © Stephen Gandy of Cameraquest.com
Il kit in
dotazione visualizzato separatamente
picture © Stephen Gandy of Cameraquest.com
L’imballaggio
originale della prima versione; notare anche sulle istruzioni la dicitura
semplificata UV-Nikkor.
picture © Stephen Gandy of
Cameraquest.com
Particolare della dotazione funzionale.
picture credit:
Leonard Foo – Malaysian Internet Resource
Anche quest’obiettivo è stato prodotto in serie molto limitata certamente a cagione del costo non indifferente (circa 7.000.000 di lire quando veniva prodotto a regime) e tolto di produzione senza clamori a fine anni ’90 in una fase di logica potatura dei rami secchi che ha visto altre illustri vittime come ad esempio il noct-Nikkor 58mm f/1,2 o il fisheye-Nikkor 6mm f/2,8 da 220°; del resto il brand Nikon Corporation gode di rinomanza planetaria e non è più necessario mantenere a catalogo specchietti per le allodole venduti in pochi esemplari all’anno per mera esigenza di immagine; fra l’altro la lavorazione del quarzo e della fluorite sono molto complesse e causano una elevata percentuale di scarti di lavorazione, anche se il quarzo utilizzato oggi non proviene più da cristalli naturali ma viene realizzato in apposite autoclavi a pressioni inaudite con specifiche di sicurezza molto severe (occorre che la distanza fra due autoclavi sia molto ampia, per evitare in caso di esplosione un effetto domino a catena); anni fa un collega mi mostrò un campione di questo quarzo artificiale, proveniente dalla Bulgaria ed in effetti - osservandolo in sezione - palesava purezza ed omogeneità inaudite, difficilmente riscontrabili in natura dove faglie, ricristallizzazioni, ghiacciature od inclusioni sono all’ordine del giorno; sorridendo (ma non troppo) mi raccontò che in quel paese dell’allora blocco sovietico in realtà le autoclavi per realizzare in quarzo erano stipate in un capannone a centinaia, e fitte come mosche, con tanti saluti per la sicurezza…mi suggerì che nel caso di cedimento di una singola unità probabilmente avremmo visto il fungo atomico o qualcosa del genere data la violenza dell’effetto a catena!
In ogni caso l’UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5 AiS è sopravissuto a se stesso: infatti nello stabilimento Nikon di Tochigi vengono montate realizzazioni speciali per utilizzo industriale e scientifico, come ad esempio il Nikkor Rayfact 25mm f/1,4; all’interno di questa gamma viene ancora prodotto un clone anonimo dell’UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5, identico al precedente fatto salvo per l’assenza della denominazione Nikkor: a cagione di ciò viene comunemente definito “Tochigi” UV 105mm f/4,5.
il “Tochigi” UV 105mm f/4,5, clone dell’UV-micro-Nikkor
picture
© Dr. Klaus Schmitt
il “Tochigi” condivide con l’UV-micro-Nikkor anche la stessa meccanica,
come evidenziato dal dettaglio del lunghissimo elicoide singolo
picture © Dr. Klaus Schmitt
E’ noto che l’UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5 non fu in realtà l’unico obiettivo UV realizzato in tempi recenti dalla Nikon; a metà degli anni ’60 andò in produzione un obiettivo definito UV-Nikkor 55mm f/4 (il primo prototipo pare sia stato rivelato a fine ’64 - inizio ’65), basato sul barilotto del coevo micro-Nikkor-P Auto 55mm f/3,5 e realizzato - analogamente al Quartz-Takumar 85mm f/3,5 di due anni antecedente - per l’utilizzo esclusivo in banda UV, anche se relativamente al 55mm UV-Nikkor si dichiarava un’acromatizzazione limitata al ristretto range compreso fra 300nm e 400nm; a tale proposito non veniva fornito alcun filtro taglia-banda in dotazione e si suggeriva di utilizzare come sorgente luminosa la classica “luce nera” di Wood oppure lampade ai vapori di mercurio schermate con un filtro nero tipo UV-P25.
l’UV-Nikkor
Auto 55mm f/4, sconosciuto precursore risalente a metà anni
picture from ” The Nikon F – Nikkormat Handbook” © 1968 Joseph D. Cooper
& Joseph C. Abbott
Amphoto – New York
L’obiettivo si basa su un semplicissimo schema a 3 lenti in 3 gruppi (il classico tripletto di Cooke) e pare non utilizzasse materiali cristallini ma solamente speciali tipi di vetro, forse in virtù della ridotta escursione disponibile nel campo UV; si realizzava la messa a fuoco in luce bianca e successivamente si effettuava la correzione di fuoco per la ripresa in banda UV spostando il valore riscontrato al punto di fede convenzionale e posizionandolo davanti ad uno speciale marker di colore blu che rappresentava la declinazione di fuoco richiesta per l’UV, esattamente come si agisce anche fotografando con pellicola infrarossa sfruttando il relativo riferimento di correzione.
Il semplicissimo
schema ottico dell’UV-micro-Nikkor Auto 55mm f/4, un tripletto di Cooke; il
segreto risiedeva in particolari tipi di vetro che permettevano di operare fino
alla soglia dei 300nm.
picture from ” The Nikon F
– Nikkormat Handbook” © 1968 Joseph D. Cooper & Joseph
C. Abbott
Amphoto –
L’obiettivo presentava una focale effettiva di 54mm, pesava 230g e disponeva di attacco filtri da 52x0,75mm; col micro-Nikkor-P Auto 55mm f/3,5 non condivideva solo il barilotto ma anche il sistema automatico di compensazione del diaframma (graduato fra f/4 ed f/32) che provvedeva ad aumentare l’apertura a distanze ravvicinate per compensare su corpi non-TTL l’assorbimento luminoso legato all’aumento di tiraggio, che nel caso dell’UV-Nikkor 55mm non era trascurabile in quanto consentiva di passare dall’infinito al rapporto di riproduzione di 1:2, anche se non è possibile riferire con esattezza a che distanza di ripresa ciò corrispondesse in quanto la scala di messa a fuoco dell’obiettivo non riportava misure metriche ma rapporti di riproduzione finemente graduati; qualche fonte riferisce una distanza minima equivalente a 0,36m ma non è possibile confermare il dato.
Uno spaccato
meccanico dell’UV-Nikkor Auto 55mm f/4.
picture from ” The Nikon F
– Nikkormat Handbook” © 1968 Joseph D. Cooper & Joseph
C. Abbott
Amphoto –
Passato alla storia in sordina questo primo, rudimentale
modello, pare che
Una ulteriore versione di obiettivo UV con focale normale
sarebbe stata realizzata per
Infine, esiste attualmente un obiettivo UV dalle caratteristiche operative
analoghe a quelle del medio-tele Nikon: si tratta di un obiettivo realizzato da
Coastal Optics e caratterizzato dalla denominazione UV-micro-apo 105mm f/4; è
evidente il target calibrato sul Nikkor sia per caratteristiche geometriche che
per la soluzione meccanica del lungo elicoide singolo, mentre la realizzazione
Coastal si differenzia per un look post-moderno con barilotto grigio ed ampie
prese di forza per messa a fuoco e ghiera del diaframma realizzate in uno
sconcertante colore azzurro elettrico!
la vista frontale con i dati di targa dell’insolito Coastal 105mm f/4
UV-micro-apo;
notare lo splendido diaframma circolare
picture © Dr. Klaus Schmitt
l’elicoide di messa a fuoco singolo riecheggia l’analoga soluzione dell’UV-micro-Nikkor;
notare il look eccentrico e coloratissimo
picture © Dr Klaus Schmitt
Chiuso finalmente il cerchio sulla ridottissima produzione di obiettivi UV, vorrei mettere a confronto gli schemi ottici dei tre campioni Asahi, Zeiss e Nippon Kogaku; dalla correlazione diretta si evidenzia come le prime tre lenti abbiano una foggia molto simile: probabilmente i particolarissimi indici di rifrazione/dispersione del quarzo e della fluorite utilizzati in tutti i modelli impongono scelte quasi obbligate come confermerebbero queste evidenti analogie.
Splendide
immagini realizzate con l’UV-micro-Nikkor in digitale con Nikon D2H sfruttando
l’estesa copertura spettrale del suo sensore; occhi di Quarzo al servizio
della scienza ma anche della creatività.
pictures (2) © Regit Young
Evidenziate in
rosso le analogie presenti nei caratteristici schemi ottici degli obiettivi
acromatizzati per l’UV che
adottano lenti in Quarzo e Fluorite.
drawings from Asahi, Nikon
and Hasselblad database; graphics reworked by Marco Cavina
Nella carrellata di obiettivi UV descritti in questa sede
abbiano notato due indirizzi tecnici che differenziano gli obiettivi realizzati
con vetri ottici particolari da quelli che adottano solamente quarzo e fluorite,
sistemi ottici di gran lunga più complessi da realizzare dal punto di vista
meccanico; abbiamo preso atto che la prima serie è in grado di trasmettere gli
UV solo a partire da circa 320nm, mentre quarzo e fluorite possono spingersi
fino a 200nm di lunghezza d’onda;
per dare riscontro oggettivo a queste considerazioni generali analizzeremo
alcune letture spettrofotometriche realizzate dal Dr. Klaus Schmitt su alcuni
obiettivi UV della sua splendida collezione, versioni descritte fra l’altro in
questa sede; di grande interesse sono i riscontri relativi al Wollensak UV
Anastigmat
le rilevazioni spettrofotometriche eseguite sui due obiettivi con lenti in
quarzo confermano
la trasparenza agli UV fino a 200nm, anche se nel Wollensak con lenti in quarzo
extraterrestre
la trasmissione è più modesta fino ad almeno 300nm, forse anche perché,
stranamente, le lenti
furono trattate antiriflesso ed è possibile che il rivestimento interferisca
con la trasmissione
completa dell’UV
le rilevazioni spettrofotometriche eseguire su esemplari di obiettivi UV
realizzati con lenti in
vetro ottico confermano l’impossibilità dello stesso a trasmettere frequenze
inferiori a circa 320nm;
solo lo Zeiss UV-Planar 60mm f/4 – noblesse oblige - inizia a reagire a circa
300nm
Tanto rumore per nulla, dunque ? In così poco si può riassumere l’epopea degli obiettivi che vedono nella luce nera ed evidenziano per magia l’invisibile ? Se la produzione, è vero, quantitativamente si può definire trascurabile, dal punto di vista concettuale è stata dirompente, spalancando finestre di luce abbagliante nel buio delle onde corte e possibilità professionali concrete per molti tecnici specializzati, additando vie inesplorate ed innovative nell’approccio a molte problematiche moderne; gli obiettivi UV non si sono fermati a questo, hanno aperto anche il terzo occhio a grandi fotografi come Regit Young e Biorn Rorslett che ha trovato in questi strani occhi di quarzo uno strumento creativo per immagini di grande suggestione e poesia, scoprendo nei moderni sensori un valido alleato grazie alla loro estesa sensibilità spettrale che rende l’utilizzo di questi strumenti agevole ed inespensivo; in definitiva, gli obiettivi UV hanno strappato alla notte una porzione di cielo permettendoci di documentare un mondo inesplorato ed affascinante altrimenti precluso, ed è questo uno dei casi dove si può realmente parlare di limpido progresso per l’umanità.
(MARCO CAVINA)
My
special thanks to Klaus Schmitt, Leonard Foo, Stephen Gandy , Regit Young,
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