LO  SCRIPTORIUM  DI  PIERPAOLO  GHISETTI

ARTICOLO  n°  19

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ESPOSIMETRI  ZEISS

STORIA  COMPLETA  DI  TUITI  I  MODELLI

 

Pierpaolo Ghisetti

(11/02/2011)


La Zeiss Ikon ha da sempre avuto un rapporto privilegiato con i sistemi di misurazione della luce, detti comunemente esposimetri, sia integrati che non: la prima reflex ad utilizzare pellicola 35mm per il formato 24x36 è stata la Contaflex biottica del 1935, che possedeva anche l’esposimetro incorporato. Questo straordinario apparecchio, la prima reflex della storia, è stata posta in un limbo a sé stante, perché essendo una biottica e non una monoreflex, come l’Exakta, (che, ricordiamo, vede la luce un anno dopo, nel 1936!) è stato accantonata dal trend evolutivo, ma rappresenta una vera pietra miliare d’innovazioni tecnologiche, visto che possedeva anche gli obiettivi intercambiabili. Nel 1936 vede la nascita la Contax III , primo apparecchio monoobiettivo dotato d’esposimetro, poi replicata in forme più compatte dalla Contax IIIa del 1951.


Del 1953 è la Contax E , (del VEB Zeiss Ikon), prima reflex monoottica dotata di esposimetro incorporato, perfetta realizzazione della mitica Contax S del periodo anteguerra. Infine la Contarex Ciclope del 1959 rappresenta la prima reflex con esposimetro accoppiato. Come si vede una serie di primati epocali, per quanto riguarda gli apparecchi dotati di esposimetro.



Infine la Contaflex S (o Super BC ) nel 1965 è stata la prima reflex con esposizione automatica TTL, abbinata ad un otturatore centrale.



Non meraviglia pertanto che la Zeiss Ikon si sia preoccupata, sin dalla sua fondazione nel 1926, di completare l’offerta dei propri apparecchi con un esposimetro manuale, portatile e leggero, strumento indispensabile per professionisti e dilettanti. L’evoluzione di questo apparecchio è stata costante e continua, nel corso dei decenni

 


 

Il DIAPHOT prodotto nel 1921 dalla ICA (società controllata dalla Fondazione Zeiss), era un semplice fotometro ad estinzione, stilizzato come un orologio da taschino, leggero e sottile: si girava il cuneo ottico circolare continuo, finchè la finestrella in basso indicava che la scena era estinta. A quel punto nella finestrella superiore apparivano le indicazioni del tempo e del diaframma.


 

Una volta che la ICA fu assorbita nella Zeiss Ikon, il Diaphot fu replicato identico col marchio ZI. Questo esposimetro, anche se superato tecnicamente dai modelli successivi, per la sua leggerezza ed economicità, rimase in catalogo sino allo scoppio della Guerra.

 


Molto simile come concezione era il Dremoskop della Drem (a destra, nella versione per Contax) che si usava come un cannocchiale monoculare, puntandolo sul soggetto da esporre; una concetto che ricorda la misurazione dell’esposizione tipo spot. Questo tipo di esposimetro fu molto popolare tra gli anni ’30 e ’40.

Pur con i loro limiti di imprecisione della misurazione i fotometri furono molto diffusi agli albori della fotografia del 900, anche per la loro possibilità di leggere l’esposizione in luce scarsa.

 

 

Il primo esposimetro fotoelettrico della ZI fu l’HELICON, seguito dal modello simile, leggermente più perfezionato HELIOS, risalenti al biennio 1932/33, appositamente concepiti per essere usati con la Contax I.   

Si trattava di esposimetri col corpo in bachelite, dalla forma di parallelepipedo con le estremità arrotondate, dal peso di 100g, e dotato di una cellula al selenio. Si puntava l’esposimetro sul soggetto e nella finestrella si leggeva un valore (2-5-10-20), che conduceva, con le due rotelle mobili sul dorso,  all’esposizione da impostare sull’apparecchio. La scala della sensibilità della pellicola era indicata in DIN e Gradi Schneider, sistema di misurazione in voga in Germania negli anni Trenta.

 


 

Nel 1938 appare il primo modello di esposimetro marcato IKOPHOT.  Disponibile sia con la scala  DIN-Schenider  e successivamente con la scala DIN-ASA, presenta la forma rastremata che diverrà un classico degli esposimetri, con la cellula al selenio posta anteriormente, protetta da una saracinesca mobile, mentre nella parte superiore si trovano le scale rotanti, Il corpo è in bachelite e il peso di 160g.

 


Con questo modello il nome IKOPHOT diventa il marchio degli esposimetri Zeiss.

 

Nel dopoguerra l’Ikophot viene ridisegnato, con una nuova scala colorata, di più facile ed immediata lettura e con solo l’indicazione dei valori DIN.  Il corpo, in bakelite leggera, pesa ora 110g, e per la prima volta appare il caratteristico tappo bianco rettangolare, a proteggere la cellula al selenio. Questa versione, rimasta sul mercato un paio d’anni, rappresenta l’Ikophot forse più raro.





Il disegno viene rifatto parzialmente alla metà degli anni Cinquanta, con un corpo interamente bianco latte, molto caratteristico, dal peso di appena 70g, contenuto in un astuccio di pelle,.  con tappo per la cellula al selenio, il che porta il peso complessivo a 110g, e introducendo la doppia scala DIN e ASA.

 


Nel 1954 viene introdotta la versione con i fattori di conversione per l’uso dei filtri, con moltiplicazione x2,x4, x8.

 


infine il cosiddetto Ikophot Rapid del 1956, immediatamente riconoscibile per la scala rossa, e dotato per la prima volta dei due indici mobili, quello della misurazione della luce e quello dei diaframmi. Questo esposimetro segna un deciso passo avanti nella concezione moderna della misurazione esposimetrica, in quanto permette una scelta libera ed immediata dei valori d’esposizione desiderati.

 



Negli anni Sessanta gli Ikophot vengono ridisegnati, con un design più compatto ed arrotondato, mentre l’uso della plastica porta il peso a soli 50g. Il modello Ikophot S (18.000 Lire, nel 1967) possiede ancora la cellula al selenio, mentre è l’astuccio amovibile che funge da tappo: possiede anche i valori cine e il suo uso è facile ed immediato.

 


Il modello Ikophot CD (25.800 Lire, 1967) inaugura invece la misurazione con cellula al CdS: esternamente identico alla versione S, possiede sul frontale due alette mobili, una per la protezione della cellula e la seconda, bianca trasparente, per la misurazione a luce riflessa. Per la prima volta fa la sua comparsa il vano portabatteria nell’esposimetro, per una pila Mallory PX13, mentre l’attivazione avviene tramite un pulsante rosso posto al centro dell’esposimetro.

 


Dopo la metà degli anni Sessanta viene presentato l’Ikophot T, autentico punto d’arrivo di mezzo secolo di ricerche e perfezionamenti: completamente elettronico a transistor con cellula al CdS, primo esposimetro senza galvanometro. Il prezzo era di 29.000 Lire. L’esatta misurazione, anche per i valori cine, si ottiene ruotando due rotelle laterali che fanno accendere le lampadine frontali (in un senso o nell’altro) sino ad illuminare la scala centrale, in caso di esposizione corretta. Viene alimentato da una batteria al mercurio da 9V. Era presente anche il doppio sportellino anteriore per la misurazione riflessa ed incidente. Si tratta di un prodotto molto sofisticato anche per i tempi attuali e con una misurazione della luce estremamente precisa.

 



Viene fornito sia in versione nera che in un’elegante finitura bicolore, marrone e bianco-latte, col marchio Zeiss Ikon Voigtlaender, eseguita per l’esportazione.

 


L’Ikophot T, insieme alla quasi contemporanea Contarex SE, la prima fotocamera dotata di otturatore elettronico e con esposizione automatica (con l’accessorio Telesensor), rappresenta l’apice della ricerca elettronica della Zeiss Ikon, interamente sviluppata in casa, e proprio per questo eccessivamente costosa e alla fine controproducente per i destini aziendali

 





Dall’altra parte della Cortina di Ferro, la Carl Zeiss Jena aveva avuto un buon successo, a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, con la serie di fotocamere compatte Werra, dotate, nelle versioni più evolute, di telemetro, esposimetro e ottiche intercambiabili. A completamento di questa interessante famiglia dalla originali caratteristiche (mancanza della leva di carica e caricamento otturatore-avanzamento pellicola tramite rotazione dell’anello dell’ottica) fu fornito un esposimetro al selenio, la cui cellula era protetta da una custodia mobile in metallo, con collimazione dei valori forniti tramite lancette anteriori. Questo esposimetro, denominato Werralux,  con scala DIN e ASA e dall’uso intuitivo ed immediato, non portava altri marchi, ed era disponibile in colore nero, avorio e verde militare, come la prima serie delle Werra.

 


 In alcuni esemplari la custodia in metallo era sostituita dal classico astuccio in pelle. Anche sulla scatola compare il nome Werralux, e nient’altro.

 


L’ultimo esposimetro che vogliamo citare è ancora un prodotto DDR: si tratta di un semplice esposimetro al selenio degli anni Settanta, marcato semplicemente Zeiss, a collimazione degli aghi; concettualmente identico al Werralux, ma molto meno elegante, senza protezione della cellula, e solo in colore nero. Un prodotto di massa senza fronzoli né velleità stilistiche. Sul retro compare la classica incisione made in Germany, che identifica i prodotti della Germania Est.

Con questa lunga carrellata siamo partiti dall’esposimetro integrato al selenio della straordinaria Contaflex del 1935, per arrivare sino ai sofisticati esposimetri al CdS della Zeiss Ikon dei primi anni Settanta, senza dimenticare i prodotti semplici, ma ben congeniati, della Zeiss Orientale.

Una straordinaria esperienza al servizio della fotografia, un esempio di coerenza qualitativa e di ricerca del design, in questo piccolo ma fondamentale accessorio, che ha accompagnato la vita di milioni di fotografi in tutto il mondo.

Per ottenere immagini migliori.


(testi e foto di Pierpaolo Ghisetti)

 


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