OLYMPUS  OM  ZUIKO  135mm f/4,5  MACRO  BELLOWS:

STORIA,  CARATTERISTICHE  E  RESA  DEL  VERSATILE

TELE  MACRO  PER  IL  SISTEMA  OLYMPUS  OM

 


(17/08/2015)

 

 

L'Olympus OM Zuiko 135mm f/4,5 macro è un obiettivo macro di lunga focale tipo "bellows" (da utilizzare focheggiandolo su soffietto o tubo di prolunga ausiliario) che completa in alto l'articolata gamma di ottiche per coniugate brevi dei sistema olympus OM manual focus che, fra il 1972 ed il 2002, ha visto entrare in produzione i vari 20mm f/3,5 Macro Bellows, 20mm f/2 Macro Bellows, 38mm f/3,5 Macro Bellows, 38mm f/2,8 Macro Bellows, 50mm f/2 Macro, 50mm f/3,5 Macro, 80mm f/4 Macro 1:1, 90mm f/2 Macro e, appunto, 135mm f/4,5 Macro Bellows.

 

Come tutti gli obiettivi "bellows" anche lo Zuiko 135mm f/4,5 si configura come una testa ottica che va applicata a dispositivi opzionali per ottenere il tiraggio necessario a focalizzarlo alle varie distanze; fin dal 1972 le ottiche tipo bellows del sistema OM furono previste per l'impiego sul relativo soffietto di prolunga Olympus OM, con o senza anello riduttore da baionetta OM a filetto RMS; alla Photokina del 1980 il corredo per riprese macro fu oggetto di un esteso rinnovamento: venne infatti presentato un sofisticato tubo di prolunga a tiraggio variabile (da 65 a 116mm) che manteneva l'automatismo del diaframma a piena apertura e, nel contempo, le ottiche bellows del sistema furono equipaggiate a loro volta con l'interfaccia per il diaframma automatico e parzialmente ricalcolate; allo stand di Colonia erano dunque presenti i nuovi 20mm f/2 Macro Bellows e 38mm f/2,8 Macro Bellows (con schema ottico tipo Gauss a 6 lenti in 4 gruppi molto avanzato su una montatura conica per facilitare l'illuminazione), il classico 80mm f/4 macro 1:1 con nuova montatura e gruppo ottico arretrato per ottenere il rapporto 1:2 sul tubo 65-116mm e, infine, l'inedito 135mm f/4,5 Macro Bellows per il quale il tubo ad estensione variabile 65-116 sembra essere stato esplicitamente progettato, dal momento che al suo tiraggio minino di 65mm corrisponde la messa a fuoco ad infinito col 135mm.

 

Lo Zuiko 135mm f/4,5 Macro è quindi l'unico obiettivo nel gruppo dei "bellows" per OM a permettere la messa a fuoco ad infinito e risulta quindi un oggetto molto versatile, dal momento che si può utilizzare anche a medie e grandi distanze come un qualsiasi medio-tele, sfruttando anche il diaframma automatico a piena apertura quando il relativo tubo 65-116mm viene applicato ad un corpo Olympus OM.

 

In particolare, la variazione di tiraggio da 65 a 116mm consente al 135mm f/4,5 macro di passare da infinito ad un rapporto di riproduzione che si avvicina ad 1:2.

 

L'obiettivo condivide la finitura con le altre ottiche Olympus OM ma si presenta come un classico obiettivo bellows, con gruppo ottico molto arretrato rispetto al piano della baionetta per ridurre al minimo il tiraggio aggiuntivo necessario per focalizzare all'infinito e quindi rendere il relativo accessorio più compatto.

L'obiettivo fu in produzione dal 1980 al 2002, utilizza uno schema gaussiano a 5 lenti in 4 gruppi e dispone di un diaframma automatico ad 8 lamelle che chiude da f/4,5 ad f/45; curiosamente, alla massima apertura f/4,5 della ghiera, con iride completamente spalancato, corrisponde la luminosità effettiva f/4 ma questa è utilizzabile solamente durante la messa a fuoco a piena apertura, per rendere l'immagine nel mirino più luminosa: scattando la foto il diaframma si chiude leggermente, con la caratteristica sagoma "chainsaw", componendo l'effettiva apertura f/4,5; impiegando l'obiettivo su corpi macchina non originali questa prerogativa si perde ed anche durante le operazioni preliminari con la ghiera settata su f/4,5 l'iride appare leggermente chiuso all'effettivo valore 4,5.

Il barilotto monta filtri a vite da 55mm ed un paraluce in gomma ad innesto rapido da 57mm, ha una lunghezza di 47mm dalla ghiera frontale alla battuta della baionetta e di 66,5mm considerando anche il cannotto posteriore sporgente, un diametro massimo (sulla ghiera gommata) di 63,4mm e pesa 337g (314g senza tappi); il pupil ratio (rapporto fra diametro delle pupille di entrata ed uscita) è 0,93, ad indicare uno schema non simmetrico (questo scostamento rispetto al rapporto unitario produce un T= fotometrico effettivo leggermente diverso da quello che si potrebbe calcolare considerando la focale ed il tiraggio utilizzato ma nulla di cui preoccuparsi in pratica).

L'obiettivo è ottimizzato per un ingrandimento di 0,2x (1:5) e lavora al massimo delle sue prestazioni nel range 0,1x - 0,5x (1:10 - 1:2); naturalmente è possibile utilizzarlo con profitto anche ad infinito e grandi distanze, così come superare leggermente il rapporto di riproduzione unitario 1:1 utilizzando il soffietto Olympus di prolunga; in ogni caso l'obiettivo non presenta elementi flottanti di compensazione e lo schema ottico mantiene sempre la stessa configurazione "rigida", qualunque sia il tiraggio di esercizio.

Come riferimento al prezzo di vendita, nel 1984 veniva proposto a circa 400.000 lire, esattamente come il nuovo Zuiko 50mm f/1,2, una cifra non indifferente che ne sottolineava l'esclusività e le caratteristiche speciali.

 

L'obiettivo utilizza un tappo anteriore standard da 55mm mentre quello posteriore, per fare spazio al cannotto sporgente, è molto più alto rispetto a quello convenzionale (misura 24,5mm) e nell'intero sistema OM è stato utilizzato solamente per il 135mm f/4,5 Macro Bellows e per l'80mm f/4 Macro Bellows 1:1 secondo tipo, anch'esso caratterizzato dal tipico cannotto sporgente posteriore.Occorre quindi prestare attenzione a non perderlo, dal momento che nessun altro tappo è compatibile ed è praticamente impossibile trovarne uno originale spaiato.

 

Il tubo macro ad allungamento variabile Olympus 65-116mm è un piccolo gioiello di ingegneria: nonostante i tre segmenti collassabili su se stessi (immaginate quei bicchieri telescopici utilizzati dai militari) questo accessorio mantiene l'automatismo del diaframma grazie ad un sofisticato sistema di camme telescopiche su cuscinetti e presenta una passivazione dei riflessi interni molto curata; il tubo è dotato di attacco rotante per treppiedi (rimovibile allentandolo, ruotandolo di 180° e sfilandolo) ed è dotato di un sistema di blocco e svincolo del movimento che ricorda molto la meccanica degli zoom Canon EF-L 28-300mm, 35-350mm e 100-400mm: ruotando la sezione anteriore in senso orario il meccanismo si sblocca ed è possibile riposizionare i segmenti per comporre il tiraggio desiderato; a questo punto si ruota nuovamente il settore gommato in senso antiorario per bloccare nuovamente il sistema; sul tubo è riportato il tiraggio impostato, scalato di 5mm fra 65 e 116mm, e due scale riferite all'uso con gli obiettivi 80mm f/4 Macro 1:1 post-1980 e 135mm f/4,5 Macro; come si può notare, la scala relativa al 135mm parte da infinito col tubo completamente collassato e si spinge fino ad un valore un po' superiore ad 1:3; naturalmente il 135mm f/4,5 macro si può utilizzare anche sul più ingombrante e meno pratico soffietto Olympus OM, mantenendo l'automatismo del diaframma col (concettualmente vetusto) doppio scatto flessibile.

 

Su questa Olympus OM-2n osserviamo il tubo 65-116mm dotato di Zuiko 135mm f/4,5 macro nella doppia configurazione di infinito (a sinistra) ed ingrandimento massimo (a destra); come si può facilmente notare anche su infinito il sistema non è particolarmente compatto ed il classico Zuiko 135mm f/2,8 presenta dimensioni decisamente inferiori; d'altro canto, come vedremo, ci sono ragioni ottiche per cui il gruppo ottico risulta piuttosto distanziato dal piano focale mentre il 135mm f/2,8 fu calcolato appositamente per avere il più ridotto telephoto ratio possibile e contenere al massimo la sua lunghezza.

 

Una finezza nella meccanica dell'obiettivo consiste in un proprio elicoide di messa a fuoco fine; infatti la ghiera gommata non funge soltanto da presa di forza ma ruota sull'asse di circa 170°, azionando un elicoide che avanza il gruppo ottico per 6,7mm; il movimento e la posizione della ghiera di fuoco fine sono visualizzati da un punto di fede bianco che, in configurazione di infinito con tubo completamente chiuso, deve trovarsi davanti al relativo punto rosso sulla ghiera della baionetta (in realtà, per sicurezza, il tiraggio è leggermente scarso e l'infinito reale si ottiene con una leggera rotazione della ghiera per aggiungere alcuni decimi di mm al tiraggio di base); con il tubo completamente esteso e sfruttando completamente i 6,7mm aggiuntivi dell'elicoide incorporato il rapporto di riproduzione massimo è di 1:2,35; ancora più importante, tenendo il tubo completamente chiuso al tiraggio minimo di 65mm e sfruttando i 6,7mm di tiraggio gestibili con la ghiera di fuoco presente sull'obiettivo è possibile passare da infinito a circa 2,5m, consentendo di utilizzare il sistema alla stregua di un obiettivo tradizionale nella maggioranza delle situazioni ad esclusione dei ritratti ravvicinati, per i quali occorre aumentare il tiraggio del tubo.

 

L'obiettivo adotta fin dall'origine il trattamento multistrato MC ed è stato prodotto in circa 15.000 esemplari; la denominazione dell'obiettivo fu inizialmente

ZUIKO MC AUTO-MACRO 1:4,5 f=135mm

poi, così come avvenne per molti altri obiettivi Zuiko per Olympus, focale e luminosità furono alternate come segue:

ZUIKO MC AUTO-MACRO f=135mm 1:4,5

questa denominazione fu adottata per un breve interregno e subito dopo fu eliminata la dicitura MC. ormai sottintesa

ZUIKO AUTO-MACRO f=135mm 1:4,5

 

L'Olympus OM Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows assieme al più comune OM Zuiko 135mm f/2,8; l'obiettivo più luminoso presenta colori forse più "aperti" ed un contrasto leggermente superiore ma fa i conti con un'avvertibile aberrazione cromatica longitudinale e trasversale che invece nel 135mm macro è trascurabile.

 

Il "fratellino minore" Olympus OM Zuiko 80mm f/4 1:1 Macro Bellows (qui nella originale versione a preselezione) fu il primo obiettivo appositamente calcolato per la riproduzione senza compromessi di originali bidimensionali 24x36mm in formato 1:1 come negativi e diapositive; la successiva versione del 1980 disponeva di diaframma automatico ed era caratterizzata da un diverso posizionamento del gruppo ottico.

 

Ritratto di famiglia con i Macro Bellows 80mm f/4 1:1 e 135mm f/4,5; la scala dei rapporti di riproduzione per l'80mm incisa sul tubo si riferisce alla seconda versione con schema ottico rientrante, col quale garantisce un rapporto di riproduzione 1:1 con 110mm di allungamento; viceversa la versione originale illustrata, con schema ottico posizionato entro lo sbalzo della baionetta, per arrivare ad 1:1 si accontenta di 91mm e col tubo completamente esteso a 116mm il rapporto di riproduzione risulta essere 1,26:1. Questo 80mm, pur ottimizzato ad 1:1, ha un range operativo ottimale compreso fra 1:2 e 2:1: il massimo rapporto di riproduzione col vecchio modello si ottiene tramite il soffietto mentre con la versione post-1980 è disponibile una lente addizionale f=170mm che consente di arrivare a 2:1 col semplice allungamento del tubo telescopico, mantenendo il diaframma automatico.

L'Olympus OM Zuiko 135mm f/4,5 Macro è dunque un obiettivo tipo bellows, una categoria di ottiche nata per fornire una grande versatilità d'uso, permettendo di passare senza soluzione di continuità da infinito al rapporto 1:1 ed oltre; siccome in origine quest'ampia variazione di ingrandimento  veniva attuata tramite un soffietto, le focali erano giocoforza lunghe dal momento che il tiraggio minimo di infinito dev'essere sufficientemente ampio da comprendere sia lo spessore del corpo macchina che quello del soffietto completamente chiuso.

Un antesignano di questo gruppo è senz'altro il Carl Zeiss Tessar 115mm f/3,5 macro per Contarex, derivato dall'identico modello Contax per scatola reflex Panflex e destinato all'uso in abbinamento al soffietto Contarex; questo modello condivide con lo Zuiko anche l'esclusiva prerogativa dell'elicoide di fuoco supplementare incorporato.

I primi obiettivi bellows con focale 135mm ad acquisire una certa fama furono il Nikkor-Q 135mm f/4 per Nikon a telemetro (e poi anche per Nikon F, grazie all'adattatore S-F) ed il Macro-Topcor 135mm f/4 per fotocamere Topcon e servirono sicuramente come elemento di ispirazione per i progettisti Olympus.

 

Schema e foto del Nikkor-Q 135mm f/4 bellows tratti dai celebri libri Nikon a schede realizzati ad inizio anni '70 da Amphoto di Garden City (New York), importatore U.S.A. dei prodotti Nikon.

 

Un altro obiettivo bellows di lunga focale lanciato nel 1970 e poi diventato celebre in montatura elicoidale standard è il Micro-Nikkor 105mm f/4, qui illustrato in dettaglio in una scheda giapponese dell'epoca; altri costruttori hanno seguito l'esempio di Nikon realizzando obiettivi medio-tele in montatura corta bellows, i più famosi dei quali sono il Minolta 100mm f/4 e lo Zeiss S-Planar 100mm f/4 destinato alle fotocamere Contax-Yashica ed al loro soffietto decentrabile e basculabile.

Un elemento inaspettato che è venuto alla luce approfondendo le tematiche legate allo Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows riguarda la sua esatta cronologia: l'obiettivo venne lanciato alla Photokina dell'autunno 1980 e questo è sempre stato l'antequem ufficiale della sua carriera; tuttavia, analizzando il primo manuale d'istruzioni della Olympus M-1, stampato in Giappone nel Maggio 1972 (ancor prima del lancio del sistema alla Photokina dello stesso anno e destinato solo al mercato interno), l'osservazione dei dettagli ha palesato un'evidenza sconcertante.

 

Una delle prime immagini ufficiali della originale M-1; notate il raro G.Zuiko Auto-S 55mm f/1,2 con la denominazione Olympus M-System, il 25° esemplare realizzato.

 

Le due copertine esterne del primo manuale d'istruzioni della Olympus M-1 in lingua Giapponese stampato nel Maggio 1972, come evidenziato in grafica.

 

Analizzando l'organigramma del gruppo per fotografia ravvicinata presente in questo manuale d'istruzioni possiamo notare che fra gli accessori illustrati è presente non solo uno speciale soffietto basculabile e decentrabile denominato "S" (Shift?) in affiancamento al modello convenzionale ma anche il nostro OM Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows, già illustrato in livrea analoga al modello di produzione, il tutto oltre 8 anni prima della sua presentazione ufficiale sul mercato! In questo caso è utile il precedente riferimento allo Zeiss Contax-Yashica S-Planar 100mm f/4 Bellows ed al relativo soffietto Contax basculabile: così come avviene per le ottiche destinate ai banchi ottici di grande formato, anche in questo caso è utile che l'obiettivo abbinato a soffietti decentrabili e basculabili disponga di una copertura superiore alla norma, consentendo così alla proiezione della coniugata posteriore di centrare il fotogramma anche se viene proiettata fuori asse dal basculaggio e/o dal decentramento, ed infatti lo Zeiss S-Planar 100mm f/4 dispone di una diagonale utile di 60mm contro i 43,2mm di quella del formato 24x36mm.

Alla stessa stregua, lo Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows differiva dagli altri obiettivi macro della serie perchè venne concepito proprio come partner preferenziale per questo speciale soffietto "S" e quindi calcolato per garantire una copertura largamente superiore al 24x36mm; di recente ho provato i limiti della sua copertura anteponendolo ad una Pentax 645n AF ed all'adattatore di messa a fuoco sul piano focale per Hasselblad V (6x4,5cm e 6x6cm rispettivamente) e la testa ottica dello Zuiko ha coperto interamente i formati citati.

 

Osservando l'analogo organigramma del corredo stampato sulla brochure del sistema M-1 distribuita dopo la Photokina 1972 (e già caratterizzata dall'adesivo sulla copertina che informa del futuro cambio di denominazione in OM-1), possiamo notare che il soffietto basculabile e decentrabile "S" ed il relativo Zuiko 135mm f/4,5 macro sono ancora presenti (indicati dalle frecce rosse), il che conferma che l'obiettivo in realtà venne calcolato fin da subito ed esisteva fisicamente già agli albori del sistema! Aprendo una parentesi, questo schema generale ci permette anche di valutare quanto fosse ambizioso il programma M, poi OM: infatti con la lettera "P" di colore verde ho indicato degli obiettivi prototipo che poi non entrarono in produzione o lo fecero in seguito con modifiche: troviamo quindi il 18mm f/3,5 a 12 lenti e montatura anteriore da 72mm fissa (poi evoluto nel conosciuto modello a 11 lenti e ghiera portafiltri asportabile), uno zoom 90-250mm f/5 (antesignano dell'85-250mm f/5 di inizio anni '80 che ci fa capire quanto andasse indietro nel tempo la volontà di produrlo) e ben sette teleobiettivi che andavano a rinfoltire una già notevole schiera: un 100mm f/2 (del quale ho il brevetto e che risulta diverso da quello poi prodotto in serie dal 1984), un 160mm f/3,5, un 300mm f/6,3 ultra-compatto, un 400mm f/4,5, un 500mm f/5,6, un 800mm f/9 ed un 1200mm f/14. Il 18mm f/3,5 a 12 lenti, il 300mm f/6,3 ed il 400mm f/4,5 sono fisicamente presenti nelle foto di gruppo degli obiettivi inserite nelle prime brochures.

 

Lo Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows era dunque presente negli schemi del sistema M fin dalle prime ore; però, passando alla pagina dello stesso manuale giapponese della M1 stampato nel Maggio 1972 con la fotografia dei pezzi effettivamente disponibili sul mercato, prendiamo atto che il soffietto "S" è scomparso e che l'unico soffietto effettivamente in vendita è quello convenzionale.

Nel 1976, su una pubblicazione, venne divulgata l'unica foto nota del prototipo di soffietto tipo "S", immortalato con i suoi movimenti applicati, e il dispositivo era equipaggiato proprio con un esemplare di Zuiko 135mm f/4,5 macro prototipo che differiva dal modello di serie solo per la chiusura del diaframma (limitata ad f/22, viste le possibilità di estensione della profondità di campo permesse dal basculaggio) e per la finitura della ghiera, con gli stessi tasselli gommati degli Zoom OM Zuiko anzichè la finitura "a diamante" convenzionale.

Possiamo quindi argomentare che il 135mm f/4,5 Macro Bellows non venne progettato ai tempi del suo lancio, autunno 1980, ma ancor prima della presentazione del sistema M, dal momento che per il soffietto "S" basculabile e decentrabile era necessario un obiettivo specifico dotato di copertura superiore al 24x36mm; però, quando venne avviata la produzione effettiva per il mercato interno, nella primavera del 1972, il management forse argomentò che quel soffietto "S", sebbene costituisse un vantaggio evidente per le tipiche problematiche della ripresa ravvicinata, era troppo complicato e costoso da produrre e che, in definitiva, avrebbe interessato una nicchia di utenti troppo risicata per giustificare la sua industrializzazione, per cui venne derubricato dalla gamma di prodotti entrati effettivamente in produzione; siccome il 135mm f/4,5 Bellows a copertura estesa era stato calcolato esplicitamente per questo accessorio, anch'esso venne tolto dai papabili per la produzione e messo in naftalina; solamente alla Photokina del 1980, nell'ambito del drastico rinnovamento del corredo macro che vide la riprogettazione di due schemi ottici, di tre montature e l'introduzione del tubo ad estensione variabile, alla Olympus si ricordarono di quel 135mm f/4,5 macro "congelato" e, siccome il progetto era stato completato 8 anni addietro e non comportava costi aggiuntivi particolari, si decise di gettarlo finalmente nella mischia, calibrando la lunghezza minima del tubo ad allungamento variabile ed il posizionamento del suo nocciolo ottico in modo da consentire anche la messa a fuoco su infinito.

Questa è dunque la verità sulle origini dell'Olympus OM Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows, sulle cui credenziali occorre dunque anticipare di circa 8 anni la veda data di nascita.

 

Una curiosa reminiscenza della grande occasione operativa perduta col soffietto "S" si può ravvisare anche nella scelta di aver calibrato il diaframma dell'obiettivo fino ad f/45, una chiusura insolita che, specie in macro, produce un vistoso ammorbidimento per diffrazione (come ho potuto sperimentare con scatti comparativi alle varie aperture) e che tradisce la volontà dei progettisti di "recuperare" in qualche modo la profondità di campo che sarebbe stata disponibile utilizzando l'obiettivo sul soffietto con un opportuno basculaggio che posizionasse il piano di fuoco in corrispondenza dello sviluppo del soggetto tridimensionale, seguendo i noti principi di Scheimpflug normalmente applicati agli apparecchi di grande formato a corpi mobili.

L'origine dell'obiettivo retrodatata ad inizio anni '70 è confermata anche dal suo tipico schema ottico, un Gauss asimmetrico a 5 lenti in 4 gruppi che viene normalmente denominato "tipo Xenotar" o "tipo Biometar": infatti il 20 Maggio 1972 il progettista della Olympus Sumio Nakamura presentò in Giappone la richiesta di brevetto per un obiettivo macro caratterizzato da questo schema (probabilmente ispirato dal grande successo che all'epoca arrideva al Micro-Nikkor 55mm f/3,5 per Nikon F, anch'esso basato sull'identica architettura interna), richiesta poi depositata il primo Marzo 1973 anche negli U.S.A. ed il 2 Marzo 1973 in Germania; le immagini che seguono illustrano l'intestazione dei tre brevetti ed i parametri tecnici di progetto assieme alla correzione delle aberrazioni: il grande passo avanti di Nakamura rispetto al celebre Micro-Nikkor 55mm f/3,5 consisteva nell'aver introdotto un flottaggio automatico della quarta lente collegato all'elicoide di fuoco e che consentiva di controllare meglio certe aberrazioni, a partire dalla curvatura di campo, a distanze brevi, ideando così un obiettivo universale e con buone caratteristiche ottiche sia ad infinito che a coniugate ridotte; infatti nei brevetti sono presenti gli schemi con lo stato di correzione dello schema ottico senza e con flottaggio che evidenziano come, nel secondo caso, la qualità sia superiore.

 

L'intestazione del brevetto giapponese originale, in data 20 Maggio 1972

 

 

L'intestazione del brevetto americano; il riferimento al flottaggio della terza lente (in realtà è la quarta) si giustifica col fatto che il doppietto anteriore viene assimilato ad un elemento singolo.

 


L'intestazione del brevetto tedesco.

 

Il miglior stato di correzione delle aberrazioni con il flottaggio delle lenti appare evidente nei diagrammi.

Da questo schema di base Nakamura derivò tre obiettivi macro per il sistema OM: lo Zuiko 50mm f/3,5 Macro, lo Zuiko 38mm f/3,5 Macro Bellows (con gruppo ottico montato invertito, dovendo operare a rapporti superiori ad 1:1) e lo Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows; ecco i tre relativi schemi che evidenziano la matrice comune dei loro attributi ottici.

 

Lo schema del 135mm f/4,5 non si configura come quello di un vero teleobiettivo da appena 18° di campo come ci si aspetterebbe da un'ottica di questa lunghezza  ma come quello di un macro di focale poco superiore al normale su un formato più ampio rispetto 24x36mm di destinazione, come confermato dalle citate prove pratiche; questo spiega anche la grande distanza fra il gruppo ottico ed il piano focale che non gli consente di rivaleggiare in compattezza, a parità di distanze di fuoco, con lo Zuiko 135mm f/2,8 per foto tradizionali.

 

Semplificando molto (l'angolo di campo effettivo del 135mm f/4,5 è comunque leggermente inferiore a quello del 50mm f/3,5) potremmo dire che questi obiettivi sono come due fratelli, uno dei quali ingrandito in scala rispetto all'altro per ottenere una copertura più abbondante; comunque derivano entrambi dall'identico progetto di Nakamura.

 

Abbiano quindi appurato che lo Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows adotta uno schema Gauss asimmetrico tipo "Xenotar - Biometar"; approfitto dell'occasione per ripercorrere velocemente la storia di questo famoso e correttissimo modello perchè, anche in questo caso, l'evidenza storica risulta differente rispetto alle informazioni comunemente condivise.

Per tradizione si è soliti attribuire l'invenzione di questo schema all'ottico Charles Gorrie Wynne che, ai tempi del Secondo Conflitto Mondiale, era in forza all'azienda inglese Wray Optical Works di Bromley Hill; in effetti Wynne, il 25 Febbraio 1944, presentò nel suo paese due richieste di brevetto per obiettivi f/2 ed f/1,9 con tali caratteristiche e replicò anche il 7 Dicembre 1945 chiedendo la registrazione di un brevetto dove discuteva uno speciale obiettivo da riproduzione ad altissima luminosità (f/1,0), probabilmente destinato alla ripresa di schermi di oscilloscopi o fluoroscopi medicali (X-Ray), con un complesso schema evoluto dallo stesso modello base; Charles Gorrie Wynne è quindi considerato dagli esperti in materia il "padre" di questo schema e, in virtù dell'ultimo brevetto citato, gli va sicuramente riconosciuto il merito di averlo subito abbinato al concetto di ottica da riproduzione a coniugate ravvicinate, ambito per il quale risulta particolarmente predisposto. Ecco gli estratti dei citati bevetti, in versione U.S.A.

 

 

 

Anche in questo caso, sulla base di informazioni inedite, l'origine di questo schema dev'essere anticipata al 1941 e trasferita nella Germania del Dritten Reich; infatti avevo sempre sospettato che lo schema Biometar utilizzato dalla Zeiss Jena nel dopoguerra non fosse un progetto originale del tempo ma derivasse dalla convulsa e monumentale opera di sviluppo e calcolo messa in campo dall'azienda negli anni compresi fra il 1936-37 ed il periodo di guerra; analizzando le schede degli obiettivi con le quali fu catalogata l'ingente collezione Zeiss prelevata dagli Alleati nel 1945 e trasferita negli States (oltre 900 schede, purtroppo in gran parte deteriorate e poco leggibili) la mia attenzione è stata attirata dai dati relativi a due prototipi Carl Zeiss Jena del 1941: il Versuch 1941 n° 6 da 35mm f/2,8 (completato il 16 Maggio 1941) ed il Versuch 1941 n° 7 da 35mm f/2,8 (completato il 24 Maggio 1941): nel primo caso abbiamo uno schema Gauss a 6 lenti in 4 gruppi tipo Biotar con copertura di 48° su una diagonale da 36mm, mentre il secondo prototipo replica queste caratteristiche utilizzando solamente 5 lenti in 4 gruppi, dal momento che il doppietto posteriore risulta soppiantato da una lente singola: queste sono le origini del Biometar e di tutti gli schemi dall'analoga architettura! Ecco la riproduzione delle due schede originali, ripulite in digitale per massimizzare la leggibilità residua dei dati.

 

 

24 Maggio 1941, Rechensbuero Carl Zeiss Jena: nasce ufficialmente lo schema ottico del quale stiamo discutendo.

Come ho già anticipato, questo tipo di obiettivo rivelò ben presto la sua attitudine alle coniugate brevi, consentendo riprese ravvicinate con alta risoluzione e fra le primi ad utilizzarlo commercialmente per questo tipo di applicazioni ci fu la Nippon Kogaku, il cui progettista Zenji Wakimoto inventò a metà anni '50 l'originale Micro-Nikkor 50mm f/3,5 per Nikon a telemetro, poi ricalcolato nel 1961 a 55mm f/3,5 per l'impiego sulla Nikon F ed anche a 70mm f/5 per microfilmare originali DIN A3 con riduzione 10x - 12x su pellicola 35mm non perforata da microfilm e formato 32x45mm.

 

Scheda giapponese di inizio anni '60 che illustra il Micro-Nikkor 50mm f/3,5 per telemetro (in due attacchi diversi), il Micro-Nikkor 55mm f/3,5 per Nikon F (primo tipo a preselezione) ed il Micro-Nikkor 70mm f/5 per microfilmatura su formato 32x45mm: tutti modelli che condividono lo stesso schema ottico che, in configurazione praticamente identica, verrà adottato anche dalla Olympus per i suoi macro di inizio anni '70 dopo averlo peraltro già utilizzato per l'obiettivo macro del sistema Pen F.

 

Lo schema quotato originale del Micro-Nikkor 55mm f/3,5 tratto dai Nikon books a schede della Amphoto, Garden City, New York (edizione 1972).

 

Scheda giapponese con le caratteristiche del Micro-Nikkor 70mm f/5 seconda serie, sempre caratterizzato dal tipico schema ottico del quale stiamo discutendo.

La Nippon Kogaku mise a frutto questo tipo di schema anche per obiettivi convenzionali e quando ricalcolò il Nikkor 75mm f/2,8 dedicato alle Zenza Bronica 6x6, passò dal Gauss a 6 lenti in 4 gruppi originale ad uno schema con 5 lenti in 4 gruppi analogo a quello del Micro-Nikkor f/3,5.

 

Lo schema ottico del Nikkor-P 75mm f/2,8 per Zenza Bronica risultò così valido e performante che, quando l'azienda iniziò a realizzare le ottiche in proprio per la serie ETR, ETR-S, ETR-Si, il normale Zenzanon E - Zenzanon EII da 75mm f/2,8 mantenne l'identica architettura e, avendolo utilizzato personalmente dal 1981 al 1993, posso confermarne l'ottima resa ottica.

Anche la Leitz non rimase insensibile a questo modello: nel 1959 Walter Malder depositò un brevetto con due modelli "Xenotar - Biometar" da 90mm f/2,5 (da cui derivarono il Colorplan 90mm f/2,5 e l'Elmarit-R 90mm f/2,8) e 50mm f/2 (rimasto invece a livello di prototipo); ecco i dati salienti di tale brevetto.

 

Un ulteriore ritorno di fiamma va registrato a metà anni '70, quando venne calcolato l'obiettivo da stampa grandangolare Focotar 40mm f/2,8 destinato all'ingranditore Leitz Focomat V35: anche in questo caso lo schema ottico scelto da Leitz fu un tipo "Xenotar-Biometar", come confermato da questa sezione ricavata dal brevetto della parte meccanica.

 

Un altro grande fautore dello schema in questione fu il produttore Schneider Kreuznach; il 20 Marzo 1952 Guenther Klemt, progettista dell'azienda che è responsabile anche dei vari Super-Angulon, compreso il 21mm f/4 per Leica, depositò il brevetto per un obiettivo f/2,8 caratterizzato dalla stessa struttura degli obiettivi descritti finora, uno schema che poi passerà alla storia come Schneider Xenotar, al punto da essere diventato il simbolo stesso di tale architettura.

 

Alcuni famosi Xenotar che adottano questo schema sono il 75mm f/3,5 per Rolleiflex TLR ed i vari 100mm f/2,8, 135mm f/3,5 e 150mm f/2,8 per grandi formati.


Copertina di una brochure Schneider anni '60 dedicata agli Xenotar con riportata una tabella con le relative focali; alcuni obiettivi (ad esempio, l'80mm f/2,8 per Rolleiflex TLR) non adottano lo schema "puro" a 5 lenti in 4 gruppi.

 

Sezione dello Schneider Xenotar 150mm f/2,8 con l'inconfondibile architettura.

Altri costruttori, nel tempo, adottarono per obiettivi macro lo schema in questione, come ad esempio la Yashica che lo utilizzò per il suo 60mm f/2,8 macro.

Sul fronte Zeiss, nella DDR si registrò un fiorire di schemi Biometar (specificamente il 35mm f/3,5 per Contax ed i modelli 80mm f/2,8 e 120mm f/2,8 per medio formato) derivati dal progetto originale del 1941, evidentemente recuperato ed evoluto così come avvenne per la Contax reflex, mentre ad Oberkochen il percorso fu più originale: grazie all'impiego del potentissimo (per l'epoca) calcolatore elettronico IBM 7090 e di specifici software adattivi messi a punto dallo stesso Erhard Glatzel, da un tripletto con elementi esterni composti da doppietti collati venne derivato uno schema Planar a 5 lenti in 4 gruppi che, in pratica, è uno "Xenotar-Biometar" invertito; questo schema fu inizialmente forzato per una copertura angolare abbondante, ed infatti esordì nella serie sul Planar 35mm f/3,5 destinato alla Contax IIa della Zeiss Ikon Stuttgart; ecco l'inedito schema del passaggio dal tripletto al tipo Planar realizzato in automatico dall'IBM 7090 in appena 15 minuti di lavoro (all'epoca la Zeiss affittava il calcolatore, con costi orari astronomici).

 

Subito dopo lo stesso schema venne utilizzato per una serie di normali luminosi d'alta gamma destinati al partner Linhof (e qualcuno fu anche ad appannaggio di Graflex) che comprendeva i Planar 80mm f/2,8, 100mm f/2,8 e 135mm f/3,5, tutti modelli che illuminavano un formato decisamente ampio in relazione alla focale (6x7cm, 6x9cm, 9x12cm) grazie all'abbondante copertura angolare, 59° - 56° - 58° rispettivamente. Nel 1968 lo stesso schema fu rivisto riducendo drasticamente l'angolo di campo ed ottenendo il Planar 100mm f/3,5 C per Hasselblad (che copriva solamente il 6x6cm rispetto al 6x9cm consentito dal Planar 100mm f/2,8 Linhof); grazie al taglio angolare si ottenne una impeccabile uniformità di risoluzione e contrasto su tutto il campo sebbene quest'obiettivo, fatto curioso visto l'impiego usuale di questo tipo di schema, rendesse benissimo ad infinito ma registrasse un vistoso calo alle distanze minime.

 

Scheda con le caratteristiche dei tre Planar per Linhof ed il particolare schema "Xenotar-Biometar" invertito.

 

Un bellissimo Planar 100mm f/2,8 su piastra Linhof appartenente alle ultime serie, obiettivo di eccellenti caratteristiche ottiche con un'accentuata plasticità di resa ai diaframmi aperti.

 

Dopo questo approfondimento sulla reale cronologia dello Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows e sulla storia ed evoluzione del suo caratteristico schema ottico cerchiamo di quantificare le sue prestazioni; l'obiettivo, da sempre, è accompagnato da una lusinghiera fama e, d'altro canto, la sua caratteristica di coprire un formato superiore al necessario fa si che venga utilizzato sempre lo "sweet spot" centrale, il che verosimilmente allontana il rischio di incontrare vistoso astigmatismo, curvatura di campo, vignettatura o calo di risolvenza e contasto ai bordi del campo effettivamente impiegato; naturalmente, in questo tipo di utilizzo, di solito all'uniformità di resa e correzione fa da contraltare una definizione ed una brillantezza un po' inferiori proprio per via della maggiore diagonale di formato utilizzabile,  una copertura più abbondante che di norma comporta definizione e contrasto leggermente ridotti.

A titolo di esempio ecco alcune immagini scattate utilizzando l'obiettivo in abbinamento al tubo Olympus 65-116mm o a soffietti di prolunga e relativi adattatori; in vari casi alle immagini intere sono abbinati dei crops al 100% del file per visualizzare il livello assoluto di definizione.

 

Apertura di lavoro: f/8-11

 

 

 

Apertura di Lavoro: f/8-11

A grandi distanze il timore che la copertura molto superiore al necessario comportasse un calo di risoluzione e contrasto viene facilmente sfatato dalle immagini di prova: lo schema ottico da obiettivo repro ad alta definizione consente una buona leggibilità dei dettagli anche a grandi distanze, con un contrasto soddisfacente grazie al trattamento MC ed alle valide passivazioni interne, anche nel tubo 65-116mm; siccome l'obiettivo è ottimizzato al rapporto 1:5 e non ha flottaggi, è possibile che ad infinito si registri una certa curvatura di campo ma, grazie al fatto che si sfrutta solo la porzione centrale della proiezione, non si notano ammorbidimenti nelle zone periferiche perchè, probabilmente, i settori più critici restano fuori dal formato effettivamente sfruttato.

Vediamo quindi come si comporta nel suo regno, cioè a distanze ravvicinate; i primi due scatti sono stati realizzati a mano libera applicando l'obiettivo ad un soffietto universale modificato, con attacco Olympus OM anteriore e Canon EOS posteriore, a sua volta fissato ad una Canon EOS 5D Mark II con flash Canon 580EX e testimoniano come, con un po' di attenzione ed esperienza, si possa lavorare sul campo anche rinunciando al diaframma automatico garantito dal tubo 65-116 sui corpi originali Olympus; infatti, in queste circostanze, dovevo aprire il diaframma, regolare l'allungamento del soffietto fino ad ottenere il rapporto di riproduzione desiderato, avvicinarmi ed allontanarmi con tutto il complesso fino a focheggiare il soggetto principale e, restando immobile per non compromettere il fuoco, andare a chiudere manualmente il diaframma, contando gli scatti per scegliere il giusto valore mentre l'occhio restava al mirino, e scattare, anche compensando manualmente il flash TTL perchè con questo strano accrocchio applicato alla macchina forniva esposizioni errate... Apparentemente molto complicato ma, in realtà, si tratta solo di una routine, di una prassi da automatizzare e poi tutto fila liscio.

 

 

Anche in questo caso, profondità di campo e diffrazione permettendo, l'obiettivo si comporta bene (l'ultimo scatto è ad un rapporto di riproduzione superiore ad 1:1); gli scatti che seguono sono stati realizzati invece in condizioni più facili e tranquille, applicando l'obiettivo ad un soffietto Nikon PB-6 a sua volta collegato ad una Canon EOS 5D Mark II con flash anulare TTL Canon MR-14EX ed il rapporto di riproduzione, via via crescente nelle quattro immagini, è rispettivamente di 1:4, 1:2, 1:1 ed 1,3:1.

 

Anche in questo caso la resa è impeccabile ed il tetto nella qualità di riproduzione è dettato soprattutto dai limiti di diffrazione all'apertura di diaframma in uso ed al rapporto di riproduzione scelto; la lunga focale fornisce sicuramente una prospettiva piacevole ai soggetti tridimensionali ed una caratteristica che si nota in ogni ripresa, a qualsiasi distanza, è l'ottica correzione dell'aberrazione cromatica assiale e laterale, decisamente trascurabile.

Infine, per verificare come si posizioni la qualità di riproduzione dello Zuiko rispetto ad apprezzati obiettivi della concorrenza dalle caratteristiche simili, ho realizzato una serie di scatti ad un soggetto piano al rapporto di riproduzione 1:3 sfruttando le aperture f/4,5 - 5,6 - 8 -11 (inutile insistere oltre per via della diffrazione) ed impiegando l'Olympus 135mm f/4,5 Macro Bellows, il Leica Apo-Macro-Elmarit-R 100mm f/2,8 (considerato un po' il termine di riferimento nel settore dei medio-tele macro) ed il Nikon Micro-Nikkor Ai 105mm f/4 (obiettivo progettato nel 1970, più o meno ai tempi in cui venne effettivamente calcolato lo Zuiko, 1971-72); per la riproduzione ho utilizzato un solido riproduttore verticale con grossa cremagliera micrometrica IFF ed ho scattato con una Canon EOS 5D Mark II con sollevamento preventivo dello specchio azionato da comando IR seguito da autoscatto, focheggiando di precisione in live-view a 10x; il soggetto delle foto è una vecchia conoscenza dei miei lettori, un pesce fossile Dapalis Macrurus dell'Aquitaniano (Oligocene) della Provenza, Francia, un reperto che si presta bene perchè è perfettamente piatto ma ricco di dettagli.

In ogni scatto ho prelevato due settori da 500x500 pixel dalla stessa posizione per valutare più facilmente le eventuali differenze.

 

L'immagine di prova, scattata con tutti e tre gli obiettivi al rapporto di riproduzione 1:3, con evidenziati i due settori da 500x500 pixel per valutare il rendimento che osserveremo al 100% del file.

 

f/4,5

 

f/5,6

 

f/8

 

f/11

Naturalmente, come prevedibile, non ci sono vistose differenze fra i tre obiettivi, tutti famosi per la loro alta qualità ottica, ed è anche possibile che ad influenzare la percezione della resa su un soggetto così piatto possa subentrare anche lo specifico andamento della curvatura di campo al  rapporto di riproduzione scelto (in questo parametro il Leica, l'unico con gruppo flottante, dovrebbe essere avvantaggiato); occorre anche una considerazione preliminare sulle ottimizzazioni specifiche: l'Apo-Macro-Elmarit presenta un elevata correzione basilare delle aberrazioni e rende al massimo ai diaframmi più aperti, anche ad infinito ad f/5,6 il contrasto sull'asse risente già della diffrazione e ad f/8 le altre zone del campo, mentre il Micro-Nikkor è famoso per il suo rendimento "a scoppio ritardato": non eccezionale alle massime aperture, si esprime al meglio ad f/11 e addirittura f/16, fattore importante in macro dove l'eterna lotta senza quartiere fra profondità di campo e diffrazione si combatte senza sosta; questo non significa che la diffrazione non sia una legge ineluttabile uguale per tutti, a parità di condizioni ma semplicemente che, se il Leica viene chiuso molto, la sua resa dichiaratamente superiore è normalizzata dalla diffrazione a livelli praticabili anche dagli altri obiettivi che, magari, alle massime aperture sono più fiacchi ma migliorano decisamente alla chiusura del diaframma fino al livello, appunto, diffraction limited che uniforma vincitori e vinti.

Come impressione generale il Micro-Nikkor, sebbene ottimo, resta sempre un pelo indietro mentre Leica ed Olympus se la giocano; ai due diaframmi maggiori l'immagine Leica (osservando anche il fotogramma intero, qui non condiviso) appare leggermente più appagante ma più che per risolvenza pura l'Apo-Macro-Elmarit si avvantaggia per il microcontrasto, molto elevato in quest'obiettivo; va comunque detto che il Leica è ottimizzato a queste aperture ed è difficile trovare un altro obiettivo in grado di fornire la stessa brillantezza ad f/2,8 - 4 - 5,6 in macro; passando ad f/8 la diffrazione penalizza già vistosamente il campione tedesco ed infatti le differenze non sono più visibilmente apprezzabili se non, appunto, ai pixel-peepers. lo Zuiko si posiziona comunque molto bene in relazione ai due prestigiosi concorrenti e, considerando la sua copertura ben superiore al 24x36mm, si tratta sicuramente di un comportamento ottimo, dal momento che è proprio nel potere analitico assoluto che il calcolo su formati maggiori porta il detrimento più importante; sarebbe sicuramente bello adattare questo 135mm f/4,5 su un soffietto universale dotato di basculaggio per sfruttare finalmente, dopo 43 anni, le prerogative di un abbinamento vincente che non riuscì mai a vedere gli scaffali dei punti vendita.

Per concludere, l'Olympus OM Zuiko 135mm f/4,5 Macro Bellows è sempre stato un obiettivo "da intenditori", poco conosciuto e poco diffuso per le sue particolari caratteristiche meccaniche e per la sua lunga focale ed anche oggi, a 13 anni dall'uscita di produzione, è il "joy toy" di una schiera davvero sparuta di iniziati; la stessa Olympus non lo ha mai pubblicizzato come un obiettivo di utilizzo comune, mostrandolo nelle brochure sempre applicato ad impieghi molto specialistici come la fotografia odontoiatrica e medica in abbinamento al flash anulare, sottolineando come la grande distanza di ripresa fosse molto utile in tali situazioni; au contraire, grazie al geniale tubo telescopico automatico 65-116mm, l'obiettivo palesa una versatilità di alto profilo e consente di passare dalla foto di paesaggio alla documentazione di dettagli urbanistici al ritratto alla macrofotografia ed alle riprese tecniche-scientifiche semplicemente modificando il tiraggio del tubo, poco ingombrante e facilmente brandeggiabile, e con la garanzia di ottenere in ogni circostanza immagini incise ed impeccabili; anche nella macrofotografia convenzionale, non spinta, l'obiettivo ha un quid in più, grazie alla lunga focale che fornisce una compressione prospettica che rende i soggetti in modo piacevole e naturale mentre l'utilizzo a grandi distanze, montando l'ottica sul tubo 65-116 completamente chiuso, risulta praticamente analogo a quello di un obiettivo convenzionale, grazie all'elicoide incorporato.

Non sono pregi da poco e la sua qualità ottica conferma l'allure di eccellenza che ha sempre accompagnato le ottiche Zuiko per Olympus OM; è un vero peccato che finora non sia mai stato possibile sfruttarlo al 100% impiegando una copertura eccedente di cui nessuno era a conoscenza in abbinamento ai basculaggi, bissando gli exploit di pezzi speciali come il Nikon PC-Micro-Nikkor 85mm f/2,8, tuttavia ora c'è tutto il tempo per rimediare!

(Marco Cavina)

 


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