NIKON AF-NIKKOR 80mm f/4,5 DEL 1971:
RIVELAZIONI, DATI, SCHEMI OTTICI E MECCANICI
INEDITI RELATIVI AD UNA PIETRA MILIARE DELLA
TECNICA FOTOGRAFICA
ABSTRACT:
The AF-Nikkor 80mm f/4,5, released by Nippon Kogaku in
the far off 1971, was a true
forerunner of the modern AF-systems that delight our life; bulky and heavy,
ingenuous and
expensive, with actuals parameters just looks as a blind f/4,5 ridiculous
pachyderm, but
it stands as a milestone in the most outlandish development of the photographic
technology
and that's why it must be highly regarded; for the first time I'll release some
unprecedented
data, such as the origin and drawing of the optical formula with glass specs and
detailed
hardware descriptions, lightin' up another dark spot for the umpteenth time, as
I like to.
Enjoy!
02/05/2007 (upgrading del 08/09/2009)
Gli amici più affezionati ed attenti avranno notato che avevo
già parlato di questo rarissimo obiettivo
nella pagina "Attrezzatura di Marco", in un sezione denominata
"Obiettivi nel mito" e creata prima che
la rassegna degli "Articoli tecnici" assumesse la mole e la
configurazione attuale; tuttavia - a rischio di
ripetermi - ritorno volentieri sull'argomento perchè finalmente - dopo anni di
ricerche - ho messo le
mani sul progetto ottico originale, firmato da Soichi Nakamura, e posso fornire
senza indugi un quadro
completo sulle caratteristiche ottiche e meccaniche dell'obiettivo, con una
dovizia di dettagli finora
sconosciuta.
L'AF-Nikkor 80mm f/4,5 del 1971 è uno degli obiettivi più
insoliti, affascinanti e meno conosciuti
dell'intera produzione Nippon Kogaku, un'azienda che ha realizzato sistemi
ottici per i più svariati
impieghi industriali e tecnici, alcuni dei quali completamente ignoti al grande
pubblico di appassionati.
Molti si saranno chiesti ragione delle bizzarre
caratteristiche geometriche sfoderate da questo pioniere,
esternando dubbi e meraviglia sia per l'insolita lunghezza focale - 80mm - che
non trova spiegazione
apparente, essendo un po' ne carne ne pesce, sia per la luminosità di appena
f/4,5, davvero ridotta:
considerando che persino i sensori di contrasto attuali faticano a leggere oltre
f/5,6, molti si sono domandati
come potesse un obiettivo basato sull'arcaica tecnologia elettronica del 1971 a
focheggiare prontamente
e correttamente con simili aperture; finora non era stato possibile imbastire
risposte convincenti, ma l'analisi
del suo ingegnoso schema ottico ha rapidamente risolto ogni arcano, facendo
quadrare i
conti!
L'AF-Nikkor 80mm f/4,5 fu prodotto in serie limitatissima, su richiesta, per
accontentare esigenze molto
particolari nei settori scientifici ed industriali; siccome incorporava tutta la
tecnologia necessaria, dalle
batterie al motore, da sensore di contrasto all'elettronica di servizio, esso
funzionava come un'unità a se
stante e si poteva applicare su qualsiasi corpo macchina servito da baionetta
Nikon F: paradossalmente
potrebbe funzionale alla perfezione anche sull'ultima Nikon digitale appena
commercializzata! L'obiettivo
sfrutta un'elettronica primitiva e meccanica "bruta", quindi le
dimensioni sono davvero importanti, dal
momento che il solo schema ottico ingombra per circa 15cm, ed il peso si
assestava sui 2,7kg, un valore
insolito ma occorre considerare che l'obiettivo era indirizzato a nicchie
specializzate, e non certo previsto
per la foto dinamica, a mano libera, come nel caso dei suoi attuali epigoni.
una minuscola immagine d'epoca, interpolata e ripulita alla meglio, ci
fornisce l'immediata percezione dei
suoi ingombri, connotandolo subito come uno strumento di nicchia, molto
specializzato; come sostenere il contrario,
visto che siamo nel 1971? L'obiettivo misura 289mm x 90mm x 145mm, copre un
angolo di campo di 30°02',
focheggia da infinito ad 1m, pesa 2,7kg ed il suo diaframma apre da f/4,5 ad
f/32.
immagine: Nippon Kogaku K. K.
L'obiettivo ostenta un voluminoso cannotto rivestito in vulkan
con una parte inferiore scatolata che funge anche da stabile
supporto; lo chassis presenta su entrambi i lati una piastra serigrafata
con le seguenti scritte a contrasto: Nikon
AF NIKKOR 1:4,5 f = 80mm - numero di matricola - Made in Japan; trattandosi di
una realizzazione specialissima e
prodotta praticamente su ordinazione individuale, pare che la posizione e la
funzionalità dei pomelli esterni di comando sia
stata oggetto di alcune variabili, riconducibili a quanto segue: di norma su entrambi i
lati dell'obiettivo è presente un pomello
che permette le regolazioni manuali: quello di sinistra agisce sul gruppo ottico
di messa a fuoco, permettendo di focheggiare
nel modo consueto, sfruttando il vetro smerigliato della fotocamera, mentre
l'altro consente di impostare manualmente
l'apertura del diaframma tramite un cervellotico sistema di camme e rinvii; a
questo schema di base pare - ed il condizionale
è d'obbligo - che siano state affiancate due varianti: un modello dotato di
manettino per la messa a fuoco spostato a destra,
accanto a quello che gestisce il diaframma, ed uno dotato di tre pomelli: uno a
sinistra per la messa a fuoco (come nel tipo
"standard") e due sul fianco opposto, uno dei quali destinato a
settare il tempo di posa e la sensibilità del film ad appannaggio
di un sistema EE per il controllo automatico del diaframma a priorità di tempi, variandolo
senza soluzione di continuità ogni volta che
cambia la luminosità del soggetto inquadrato: in questo modo l'apparecchio
dotato di AF-Nikkor 80mm - debitamente comandato
a distanza con controlli remoti od intervallometri - agiva in completo
automatismo sia relativamente alla messa a fuoco che
alla regolazione dell'esposizione! Definiremo i tre tipi come A, B e C, anche se
le rare immagini illustrano sempre un AF-Nikkor
80mm f/4,5 in configurazione A, con un manettino per ogni lato e comando manuale
del diaframma; anche nello schema riferito al
tipo "B" (due manettini, entrambi sul lato destro), si cita in modo
non meglio precisato un modulo per il controllo automatico del
diaframma, ma segnalo la cosa con beneficio di inventario perchè è assente il
doppio comando (selezione manuale delle aperture
ed impostazione dei tempi di posa/valori ISO), il che escluderebbe in modo
assoluto la possibilità di un controllo manuale dell'iride.
La misurazione esposimetrica a beneficio del modulo per il controllo automatico
del diaframma veniva effettuata dallo stesso
sensore autofocus TTL, che misurava una "corrente di base" e la
forniva al modulo EE per la relativa elaborazione.
L'immagine "ufficiale" Nikon - ripresa dal lato
destro - ci rivela scritte e pomello di comando identici e simmetrici
a quelli presenti sul fianco opposto; il pomello destro, nel modello standard
definito "A", regola manualmente
l'apertura del diaframma.
Immagine: Nippon Kogaku K. K.
Sono lieto di implementare la conoscenza di questo
affascinante obiettivo - finora limitata all'analisi speculativa
di queste poche immagini e di uno schema meccanico semplificato -
basandomi sui disegni originali di Soichi
Nakamura, un progettista della Nippon Kogaku molto attivo a fine anni '60 -
inizio anni '70, specializzato in obiettivi
zoom; il riferimento alle focali variabili non è casuale, dal momento che
l'obiettivo si basa a tutti gli effetti sullo schema
ottico del celebre zoom-Nikkor Auto 80-200mm f/4,5 prima serie a 15 lenti,
regolato alla focale minima e fatto oggetto
di piccole modifiche ottiche, necessarie e funzionali all'applicazione del
complesso modulo AF; Soichi Nakamura aveva
progettato questo zoom nel 1969, e fin da subito l'ottica aveva incontrato un
travolgente successo sia per la compattezza
e la portabilità, sia in virtù di una resa ottica effettivamente molto valida,
che gli consentiva di rivaleggiare senza timori con
le focali fisse dell'epoca; nel frattempo dalla Nippon Kogaku gli fu affidata la
"patata bollente" relativa alla concezione
di un obiettivo autofocus; naturalmente esistevano già dei primitivi sensori di
massimo contrasto, ma da questo ad applicarli
in modo funzionale ad un obiettivo di produzione ci correva un mare di
difficoltà; Nakamura considerò attentamente due
caratteristiche del suo nuovo zoom 80-200: l'ampio diametro del modulo anteriore
(la cui proiezione, alla focale minima di
80mm, era sfruttata dal resto del sistema ottico solo parzialmente ed
assialmente) e l'abbondante spazio disponibile fra il secondo
gruppo di lenti (adibito alla zoomata) ed il terzo (un doppietto destinato alla
messa a fuoco); Nakamura-San ipotizzò
l'applicazione di uno specchio circolare dotato di un foro, posizionandolo
nello spazio fra il secondo ed il terzo gruppo
di lenti dello zoom-Nikkor 80-200mm f/4,5 a focale minima, con una inclinazione
di circa 45° verso il basso; dal momento
che il fascio necessario a creare l'immagine alla focale minima utilizza solo la
porzione centrale della proiezione consentita
dalle lenti frontali, essa passa attraverso il foro dello specchio, raggiunge le
lenti posteriori e focalizza il soggetto sulla pellicola;
la porzione esterna delle tre lenti anteriori di grande diametro, non sfruttata
ad 80mm per creare l'immagine, invia i suoi
fasci sul settore anulare esterno dello specchio, che li proietta in basso dove
vengono intercettati da un gruppo ottico secondario
costituito da quattro lenti, destinato a focalizzarli su una cellula
fotoelettrica adibita alla valutazione della messa a fuoco;
da questa descrizione preliminare è dunque svelato il mistero dei famosi ed
apparentemente inspiegabili 80mm f/4,5...
Lo schema presentato, finora assolutamente inedito, ci svela i
segreti del complesso sistema ottico che caratterizza
l'AF-Nikkor 80mm f/4,5 del 1971: la base di partenza fu il recente (lanciato nel
1969) ma già famoso zoom-Nikkor
Auto 80-200mm f/4,5, utilizzato alla focale minima di 80mm: in questo modo il
gruppo ottico di transfocazione (il
primo nucleo di lenti subito dietro ai tre elementi anteriori di ampio diametro)
era completamente avanzato, lasciando
spazio sufficiente per collocare uno specchio a 45° (in colore verde); i
"light pencils" necessari alla formazione dell'immagine
(evidenziati in giallo), alla focale di 80mm presentano un diametro ridotto,
sfruttando solo parzialmente la copertura
dei grandi elementi anteriori, e riescono a passare senza intralcio dal foro
circolare ricavato nello specchio (in colore arancio);
la proiezione supplementare periferica delle grosse lenti anteriori (necessaria
in origine per formare l'immagine alla focale
massima di 200mm), colorata in rosso, viene intercettata dallo specchio e
proiettata sul gruppo ottico supplementare
del telemetro elettronico (sempre in colore rosso), che focheggia il fascio su
un sensore fotoelettrico
Questa base fu scelta sia per le ragioni appena descritte, che
consentivano una certa economia in scala, "riciclando" un
obiettivo di produzione ed abbattendo i costi per un prodotto destinato a
piccoli numeri, ma anche perchè, in effetti,
lo zoom-Nikkor 80-200mm esibiva alla focale minima prestazioni ottiche
decisamente buone, certamente sufficienti
all'impiego previsto; Tuttavia, nonostante l'alto grado di "compatibilita
di base", Soichi Nakamura dovette modificare
leggermente la sua creatura per adattarla perfettamente alle nuove esigenze; le
modifiche si possono riassumere i tre steps:
A) aumentare il diametro del gruppo anteriore per consentire lo sdoppiamento del
fascio senza interferenze;
B) avanzare il secondo gruppo adibito alla transfocazione fino ad appoggiarlo al
gruppo anteriore, evitando così
interferenze con la proiezione proveniente dalla parte superiore dello specchio;
C) delegare la messa a fuoco non più al doppietto anteposto al diaframma ma all'intero gruppo posto dietro di esso.
Per avanzare il gruppo secondario di transfocazione, Nakamura
modificò leggermente il raggio di curvatura della prima
lente ed il profilo collato del successivo doppietto, senza stravolgere
minimamente le ottime caratteristiche ottiche di
base; l'obiettivo originale prevedeva il controllo della messa a fuoco tramite
lo spostamento del piccolo doppietto
posto davanti al diaframma, tuttavia nel nuovo progetto esso si trovava così
vicino allo specchio da non consentire
l'applicazione dei voluminosi controlli elettro-meccanici necessari
all'autofocus, e si trovò la soluzione rendendo mobile
tutto il gruppo di lenti (sette in totale) posto alle spalle del diaframma
stesso; per agevolare la comprensione ho realizzato
una schermata che mette in relazione lo schema originale con quello modificato
per l'autofocus.
le tre lievi modifiche messe in atto da Nakamura per adottare
lo zoom-Nikkor Auto 80-200mm f/4,5 all'autofocus:
aumentare il diametro degli elementi anteriori (triangolo giallo), avanzare fino
in battuta il gruppo di transfocazione
(punto arancio) e spostare la messa a fuoco dal doppietto davanti al diaframma al modulo di lenti alle sue spalle
(pulsante verde); per avanzare il modulo di transfocazione (notare come la
proiezione superiore dello specchio vada
a sfiorare l'ultima lente...) fu necessario ricalcolare e modificare leggermente
i raggi di curvatura dei tre elementi anteriori,
modifica forse richiesta anche dal vistoso aumento del diametro; a tale
riguardo, non ci sono dati precisi, ma osservando
la foto si può ipotizzare un passaggio dall'attacco filtri originale da 52mm ad
un passo da 72mm, servito da un paraluce
della serie HN derivato dalla serie e nato per un preesistente obiettivo Nikkor.
Dal punto di vista ottico, dunque, si tratta in pratica di due
obiettivi in uno, ciascuno dei quali condivide con l'altro l'utilizzo
comune delle prime tre lenti: quello da ripresa utilizza la proiezione centrale
e quello adibito al telemetro sfrutta quella
più periferica, intercettata dallo specchio; tornando alle perplessità sul
funzionamento del sistema AF, va detto che
mentre l'obiettivo da ripresa è il già descritto 80mm f/4,5, il gruppo ottico
telemetrico compone un obiettivo secondario
pari a 50mm di focale e luminosità f/0,8 (SIC; zerovirgolaotto), che proietta
sul sensore di messa a fuoco un fascio ben
più brillante e luminoso di quello destinato al film, aggirando i limiti propri
dell'apertura f/4,5!
Un altro schema inedito che rivela la scelta di vetri ottici
adottata nel progetto; i due obiettivi condividono
le prime tre lenti dello schema, utilizzandone zone differenti della proiezione,
e la luminosità del complesso
secondario è pari a ben f/0,8, valore notevole e probabilmente necessaria per
la primitiva fotocellula dell'AF.
Nello schema non mancano vetri moderni come LaK9 (L5 del relay lens), LaF35 (L6
del relay lens), LaSF44
(L7 del relay lens) ed LaF2 (L13 del modulo fotografico), senza contare un BaSF
ad alta rifrazione/bassa dispersione
(L15) ed un paio di Short-Flint ad alta rifrazione ed alta dispersione (SF4 ed
SF6) in posizione L3 ed L11; sono
invece assenti vetri ai fluoruri a bassa rifrazione/bassa dispersione.
lo stato di correzione dell'obiettivo principale 80mm f/4,5 e
di quello secondario 50mm f/0,8 per il telemetro elettronico;
l'obiettivo da ripresa è ben corretto per le esigenze generiche e non avrà
scontentato i rari utenti. Notate come l'unica
aberrazione considerata dal progettista per il relay lens autofocus sia la
sferica, probabilmente molto importante ai
fini dell'interfaccia con la fotocellula.
Dal punto di vista meccanico, l'obiettivo si basa ovviamente
su una tecnologia abbastanza primitiva, nulla a che vedere con le
raffinatezze micro-elettroniche attuali; la struttura si articola su bielle,
pullegge, motori e rinvii dalla struttura piuttosto complessa
ed ingenua, ma naturalmente va letta e contestualizzata nel periodo di
gestazione! Per chiarire il funzionamento ho riesumato uno
schema disegnato personalmente da Maurizio Capobussi negli anni '80 (al quale
sono ovviamente riconoscente), rielaborando
la grafica per le specifiche esigenze.
Lo schema meccanico dell'AF-Nikkor 80mm f/4,5 - inutilmente
complicato ed ingenuo ad un tempo - va visto
con indulgenza ed apprezzato in quanto importante tassello nell'evoluzione di
queste tecnologie, oggi così diffuse;
il gruppo ottico anteriore 1 (di diametro
ridondante) riflette la sua proiezione periferica sullo specchio a 45° forato 2;
il fascio luminoso è intercettato dal gruppo ottico supplementare 3
ed inviato sull'apposita cellula fotoelettrica 4
presente nel modulo elettronico 5; il motore
elettrico 6 - tramite una cinghia e le
pullegge 9 - trasmette la forza motrice
al dispositivo 10, che consente lo
spostamento del modulo 5 verso l'alto ed il
basso; quando si richiede la messa a fuoco,
la fotocellula 4 viene messa in continuo
movimento sul percorso verticale - ciclico - che corrisponde alla corsa
disponibile,
ed effettua una lettura di corrente "di base" che viene utilizzata dal
modulo del diaframma automatico 12 per
l'esposizione;
nel frattempo, la fotocellula 4 passa di
continuo al di qua e al di là del piano di massima messa a fuoco,
caratterizzato da
un picco di corrente (la luce è concentrata a fuoco dal modulo di lenti 3
ed ha intensità massima) e crea in questo modo
un flusso di corrente alternata, fluttuante, in aggiunta al segnale di base; il
modulo elettronico 5 (analogamente
all'aggiustamento
"a forcella" in uso nell'artiglieria) misura i tempi che intercorrono
fra due passaggi a massima intensità (corrispondenti alla
massima messa a fuoco), mentre il gruppo di lenti 8
viene spostano dalla camma 7 lungo la guida 11,
riducendo via via la
corsa delle fasi di inversione finchè il tempo fra l'inversione e la percezione
di massima messa a fuoco coincidono; a questo
punto il motore si ferma perchè il modulo di lenti è correttamente a fuoco;
come accennato, i valori fotometrici di base
letti dalla fotocellula 4 vengono elaborati
dal modulo esposimetrico 12 che, tramite la
camma 14, aziona il diaframma 15;
tramite il pomello 13 è possibile impostare
i valori selezionati sul corpo macchina; il flusso non intercettato dallo
specchio
attraversa regolarmente tutto lo schema ottico e va a formare l'immagine sul
piano focale 16;
ovviamente ala perfetta messa
a fuoco sul film garantita da un'opportuna posizione del gruppo di lenti 8
deve corrispondere (con esattissima calibratura)
una perfetta focalizzazione del fascio luminoso secondario sulla fotocellula 4
da parte del modulo ottico 3,
anche se minime
tolleranze venivano assorbite dalla profondità di campo disponibile ad f/4,5...
Questo schema si riferisce al modello definito "B".
schema base: Maurizio Capobussi
In questo schema alternativo,
è evidente l'opzione del doppio pomello sul lato
destro, per comandare il diaframma in modo totalmente manuale, e si può notare
anche il pomello sinistro
in presa sull'alberino motorizzato che agisce sulla messa a fuoco tramite una
camma eccentrica; dalle caratteristiche
possiamo dedurre un funzionamento del diaframma (automatico o manuale che sia)
col metodo stop-down a chiusura
diretta effettiva, un vero controsenso - col senno attuale - in abbinamento ad
un sistema autofocus, anche se - come
accennato - il sistema era previsto per un impiego con la macchina in
postazione, in assenza di operatore, e la chiusura
stop-down non creava alcuna controindicazione; questo schema corrisponde al
modello "C".
Questo schema con didascalie in lingua giapponese descrive
invece il tipo standard, denominato come modello "A";
potete notare che è presente una manopola per ogni lato: quella a sinistra
regola manualmente la messa a fuoco e
quella a destra comanda il diaframma; sottolineo che in questo schema non è
presente alcun dispositivo per
il controllo automatico dell'esposizione a priorità di tempo (il comando del
diaframma è unicamente manuale).
Uno schema molto semplificato del funzionamento di questo
dispositivo che mette in bella evidenza
la batteria; considerando che un motore teneva in costante movimento ciclico il
modulo AF ed il
massiccio gruppo di lenti posteriore, senza considerare l'eventuale assorbimento
del servo EE sul
diaframma, la richiesta energetica doveva essere abbastanza rilevante.
Il modulo autofocus dell'AF-Nikkor 80mm f/4,5, con parametri
attuali, può far sorridere, ma è certo che
a quei tempi un'impiantistica come questa non si improvvisava in pochi giorni;
ricerche sistematiche hanno
portato alla mia attenzione un progetto globale di Takeo Yamada, ingegnere
elettronico della Nippon Kogaku,
risalente al Luglio 1965; questo progetto descrive tecnologie di base per
realizzare un modulo autofocus
concettualmente molto simile a quello poi adottato sull'obiettivo del 1971,
anche se con modifiche funzionali;
Il colpo di genio consistette nel sostituire lo specchio intero semi-trasparente
(che avrebbe ridotto ulteriormente
la luminosità effettiva sulla pellicola) con uno specchio forato, sfruttando le
caratteristiche del sistema ottico
prescelto; ecco in anteprima gli schemi ricavati dal progetto di Yamada-San.
Il Progetto di Takeo Yamada sintetizza già nel 1965 la
struttura che avrebbe caratterizzato
l'obiettivo definitivo del 1971.
Una delle applicazioni più incredibili e cervellotiche di questo AF-Nikkor
prevedeva l'utilizzo su un corpo
macchina realizzato ad inizio anni '70 e destinato alla fotografia da postazione
fissa, senza operatore, mantenendo
comunque la visione a distanza dell'inquadratura del mirino grazie ad uno dei
più complessi e fantasmagorici
dispositivi opto-elettronici che l'intelletto umano abbia concepito in quella
fase adolescenziale delle relative
tecnologie; il sistema era denominato Nikon video remote control e non è mai
stato distribuito sui nostri mercati.
Il Nikon video remote control utilizzava un corpo Nikon F
talmente modificato da fare invidia
a certe fantasiose "interpretazioni" NASA sul tema Nikon F3: il corpo
era dotato di un AF-Nikkor
80mm f/4,5 (modificato rispetto al modello standard) e di un complicato rinvio
ottico che prelevava
l'immagine dal mirino dell'apparecchio e la indirizzava ad una videocamera che
trasmetteva l'inquadratura
su un monitor a circuito chiuso, permettendo all'operatore di scegliere dalla
postazione remota il momento
più adatto per lo scatto; l'intero sistema era montato su una base motorizzata
giroscopica (simile a quella
utilizzata per certe armi moderne), che consentiva di modificare a piacimento
l'inclinazione e l'orientamento
dell'apparecchio stesso, il tutto condito da centraline, alimentatori e dovizia
di cavi in grado di spaventare
chiunque...
Scendendo in dettaglio, l'obiettivo autofocus era naturalmente
dotato di diaframma automatico, ma
in questo caso la misurazione esposimetrica non aveva origine dal flusso
luminoso proiettato
sull'elemento fotoelettrico dall'obiettivo relay secondario: alla lettura
provvedeva un modulo esterno
ausiliario, di forma cilindrica, posizionato sull'obiettivo stesso e ad esso
interfacciato tramite la
cavetteria visibile in primo piano. L'immagine focalizzata nel mirino veniva
acquisita tramite un
mirino specialissimo, dotato di specchi a 45° e di un periscopio verticale che
scendeva lungo il
dorso dell'apparecchio Nikon F; dopo tre riflessioni l'immagine veniva
focalizzata a coniugata
finita da un relay lens EL-Nikkor, alla stessa stregua del dispositivo Polaroid
Nikon Speed-Magny,
ed infine acquisita da una videocamera che provvedeva ad inviarla sul monitor di
sorveglianza a
circuito chiuso; l'operatore poteva orientare l'apparecchio tramite la base
motorizzata giroscopica
(qui non illustrata), visionare l'inquadratura TTL e scattare con trigger a
distanza; l'avanzamento
del film era motorizzato e l'autonomia arrivava a ben 250 fotogrammi grazie
all'adozione di uno
speciale dorso F250 modificato che poteva accogliere pellicola 35mm in bobine a
metraggio.
E' un ordigno ingombrante e di complessità mostruosa che probabilmente costava
un capitale,
ma anche un magnifico esempio di quanto fosse vasta e capillare la copertura
garantita dai
sistemi fotografici della Nippon Kogaku, un plusvalore costante in tutta la sua
storia che
rappresenta una delle ragioni fondamentali del suo costante successo
commerciale.
Uno schema sintetico che conferma la presenza di una base
giroscopica motorizzata e
sottolinea la grande complessità della catena di alimentazione a 100 Volts;
nello schema risulta più
chiaro il percorso dell'immagine dal vetro di messa a fuoco fino alla
videocamera, attraverso
il pazzesco mirino-periscopio.
Sono contento di aver chiarito gli interessanti segreti di
questo lontano progenitore dei nostri moderni obiettivi,
che da un lato ci lascia capire quanto sia progredita la tecnologia in pochi
decenni, e dall'altro ci spinge ad un
moto di commozione e tenerezza per il "vecchio zio" , goffo ed
impacciato ma anche pietra miliare nello sviluppo
delle moderne tecnologie applicate al campo fotografico, delle quali beneficiamo
tutti, indistintamente.
(Marco Cavina)