LEITZ APO-TELYT-R 180mm f/3,4 :
AL STORIA,
I SEGRETI DEL SUO PARTICOLARE VETRO OTTICO
ED UNA PROVA SUL CAMPO ASSIEME ALL' ELMARIT-R
180mm f/2,8 PRIMO TIPO ED AL PIU'
MODERNO CANON
EF 200mm f/2 L IS
ABSTRACT
A spot of light on the famous 554666 Leitz optical glass,
the secret behind the venerable 180mm f/3,4 apo-Telyt-R stunning
performances: composition, properties, melting workflow...
Everything you dreamed to know about this legendary glass is here.
Unprecedented, obviously. I also managed a brief test, checking
the Apo-Telyt-R on an EOS 5D mk II body against the older Elmarit-R
180mm f/2,8 and the benchmark Canon EF 200mm f/2 L IS.
17/02/2009
Il Leitz apo-telyt-R 180mm f/3,4 presentato sul finire del
1975 è uno degli obiettivi più
favoleggiati e chiacchierati, e la sua storia avventurosa non mancò di
alimentare leggende
così come le sue eccezionali prestazioni tracciarono all'epoca un autentico
abisso con la
concorrenza più qualificata; come tutti i Leicisti sanno, quest'obiettivo nacque
su commessa
militare della U.S. Navy nell'ambito di un programma commissionato alla Leitz
Canada di
Midland (avvantaggiata dal favorevole regime fiscale che vigeva fra stato
dell'Ontario ed USA),
cioè una gamma speciali teleobiettivi da 180mm a 450mm che facevano parte del
progetto
E.S.R. (Extended Spectral Range) e che dovevano rispondere ai seguenti
requisiti: potere
analitico superiore anche a piena apertura e correzione estesa fino
all'infrarosso (il campo di
utilizzo preferenziale previsto), con spostamento di fuoco trascurabile fino a
900nm di lunghezza
d'onda; questi obiettivi vennero prodotti ad inizio anni '70 sotto la
denominazione Elcan-R, e
solitamente erano gestiti dal Navy Photographic Center (NAVPHOTCEN) di
Washington D.C.;
il kit era denominato ufficialmente "U.S. Navy high resolution small
format camera system"
e comprendeva:
1 corpo Leicaflex
SL
1 obiettivo Leitz Summicron-R 35mm f/2 tipo11227 in montatura
standard
1 obiettivo Elcan-R 75mm f/2 - schema ottico tipo
C-341
1 obiettivo Elcan-R 180mm f/3,4 - schema ottico tipo
C-303
1 obiettivo Elcan-R 450mm f/5,6 - schema ottico tipo
C-329
1 ingranditore Leitz Focomat II modificato con otturatore - codice EN-121A
1 otturatore Vincent electrical shutter
1 obiettivo Elcan 52mm per Focomat II (per ingrandimenti 10x -
25x)
1 obiettivo Elcan 20mm per Focomat II (per ingrandimenti 40x -
75x)
1 kit di pellicole e rivelatori bianconero ad altissima risolvenza
caso unico in questa serie, il 180mm f/3,4 venne fornito in doppia
esecuzione, con scala di
messa a fuoco standard e speciale; quest'ultima era simile ai riferimenti
presenti su un calibro per
misurazioni meccaniche (con seconda scala decimale di riscontro) e veniva
impiegata quando si
focheggiava l'ottica "alla cieca", basandosi su un rilevamento
telemetrico esterno; un raro esemplare
di obiettivo Elcan-R 180mm f/3,4 così equipaggiato è illustrato nel
monumentale tomo di James
Lager "Leica - an illustrated history - volume II - lenses" alla
pagina 309. Le elevatissime esigenze
di risoluzione richieste dai militari sono sottolineate dal massimo
ingrandimento consentito dall'Elcan
20mm (probabilmente impossibilitato a coprire l'intero formato 24x36mm e
destinato all'ingrandimento
spinto di singoli dettagli sul negativo): il suo range operativo si spinge
addirittura fino a 75x.
Le eccezionali prestazioni dell'Elcan-R 180mm f/3,4 unite alla
sua compattezza e praticità operativa
convinsero i vertici della Leitz a commercializzarlo anche sul mercato civile
nel corredo Leica-R;
ottenuto il placet dai committenti militari, l'obiettivo venne presentato sul
finire del 1975 con la nuova
denominazione Leitz Apo-Telyt-R 180mm f/3,4 e venne provvisoriamente
identificato col codice
interno 11240, un modello caratterizzato dall'adozione di filtri Serie 7,5
tenuti in posizione da un
anello anteriore 14222, a sua volta applicato su una filettatura da 59x0,75mm;
nonostante il prezzo
di listino proibitivo la fama dell'apo-Telyt si diffuse rapidamente grazie ad un
potere risolutivo e di
contrasto a piena apertura semplicemente imbattibili, con una pulizia ed
ariosità dei colori che ha
generato molte leggende circa i segreti dei suoi speciali vetri ottici: una
fazione sosteneva l'adozione
di Fluorite mentre una leggenda suggestiva, largamente diffusa e comunemente
accettata, sosteneva
che l'obiettivo fosse stato oggetto di una progettazione "retrogada",
creando lo schema perfetto e
successivamente ricavando i relativi parametri ottici (rifrazione e dispersione)
dei vetri necessari a
calcolo finito; secondo la leggenda (che io stesso ho sempre trovato plausibile
ed accettato), lo
speciale vetro a bassa dispersione che sta alla base di tali prestazioni non
esisteva, e l'intero progetto
sarebbe rimasto in stand-by alcuni anni mentre i chimici della vetreria di
Wetzlar lo stavano creando
dal foglio bianco... Una storia avvincente che ha ulteriormente rafforzato la
leggenda dell'apo-Telyt!
Per anni ho tentato di dipanare l'intricata matassa, cercando prove
oggettive e concrete, e solo
oggi sono riuscito a ricostruire un ragionevole estratto cronologico e tecnico,
che condivido con voi.
Alcuni pezzi della mia collezione: un Leitz apo-Telyt-R 180mm
f/3,4 assieme a due "colleghi"
d'alto rango appartenenti alla stessa generazione: il Nikkor AiS 180mm f/2,8 ED
e lo Zeiss
Contax Sonnar 180mm f/2.8 T* ; questo esemplare di Apo-Telyt è uno dei primi ad
essere
equipaggiato con tre camme e la già citata compattezza (sia pure non ricercata
specificamente
durante il progetto) appare evidente nel raffronto con gli altri modelli,
peraltro leggermente più
luminosi; l'apo-Telyt 180mm f/3,4 è un obiettivo otticamente perfetto, e con
film a bassissima
sensibilità sviluppati in rivelatori con elevato effetto bordo arriva a
risolvere sull'asse a piena
apertura fino a 300 l/mm, un valore eccezionale ed incredibile nel suo contesto
cronologico...
Gli unici appunti che si possono ascrivere a questo gioiello, a parte il costo
spropositato, sono
riferibili al barilotto esterno, piuttosto "primitivo" e spartano,
settore in cui si paga la diretta
derivazione da un obiettivo militare tutta sostanza e niente fronzoli, ed
alla messa a fuoco minima
limitata a ben 2,5m.
(Scusate questo excursus personale, ma dato che ho deciso da
tempo di divenire un uomo migliore,
per dipartire poi serenamente, non posso esimermi dal raccontare la storia
relativa all'acquisizione
del mio 180mm Apo-Telyt... Erano i primi giorni di Gennaio del 1992 quando feci
una fuitina segreta
dal mio pusher di fiducia e mi accattai quest'obiettivo: nel frattempo mia
moglie, a poche settimane
dal parto, scivolò sul marciapiede ghiacciato sbucciandosi un ginocchio e
rischiando anche serie
conseguenze per il bambino in procinto di nascere... Quando rientrai e misi a
fuoco la situazione mi
sentii davvero un verme: mentre io stavo sperperando in modo irrazionale il
budget familiare, mia
moglie incinta si era fatta male ed io non c'ero... ragazzi, ripetete con me:
"Marco, sei stato un
grandissimo stronzo!!" Grazie. )
Gli schemi ottici dei 180mm Leica del periodo
"classico": si tratta in ogni caso di obiettivi
molto validi, ma l'apo-Telyt f/3,4 ha sempre primeggiato in modo marcato per
risoluzione
e contrasto, specialmente alle maggiori aperture, importanti per un tele; il
segreto della
sua supremazia va ricercato nella superiore correzione dell'aberrazione
cromatica e degli
errori monocromatici, ed il mitico vetro responsabile di tutto questo,
utilizzato nella lente
anteriore del secondo doppietto collato ed in quella posteriore del terzo, è
definito nei
cataloghi di fabbrica come "554666", ovvero un vetro con indice di
rifrazione 1,554 e
numero di Abbe (dispersione) pari a 66,6; la leggenda vuole che sia proprio
questo vetro
ad avere richiesto tre anni di perigliosa progettazione, mentre lo schema
teorico del 180mm
giaceva in naftalina, ma le mie ricerche hanno portato ad esiti imprevisti.
Lo schema ottico da classico "tele" del 180mm
apo-Telyt; lo speciale vetro ai fosfati 554666
è stato impiegato nelle lenti n° 3 e n° 6; il controllo dell'aberrazione
cromatica è così spinto che
lo spostamento di fuoco sull'intero spettro visibile è nell'ordine di f /
4.500, quando in un tele
convenzionale della sua epoca lo standard era di f / 1.000 o anche meno; ciò
significa che lo
spostamento di fuoco fra le frequenze di 400 nanometri (al limite
dell'ultravioletto) e di 700
nanometri (al limite dell'infrarosso) è di appena 40 micron, valore che sale ad
appena 90 micron
nell'enorme intervallo compreso fra 400nm e 900nm (infrarosso): questo livello
di correzione
è così elevato da rientrare nelle tolleranze di profondità di campo, quindi
l'obiettivo non richiede
alcuna compensazione fra la messa a fuoco in luce visibile e la ripresa
nell'infrarosso, ed infatti
l'apposito punto di fede rosso è assente; per quanto riguarda il vetro ottico
554666, devo escludere
l'ipotesi della lunga attesa con l'ottica già pronta e calcolata, dal momento
che tale vetro era già
stato definito fra il 1965 ed il 1968 da Heinz Broemer e Norbert Meinert della
vetreria Leitz
a Wetzlar nell'ambito di un colossale progetto relativo a vetri a bassa
dispersione basati su
fluoruri e fosfati comprendente decine e decine di versioni diverse e suddiviso
in due steps, il
primo consegnato nel 1965 ed il secondo rivelato nel 1968: proprio la seconda
tranche includeva
il vetro che sarebbe poi stato adottato nell'apo-Telyt 180mm; ecco tutti i
segreti tecnici che
stanno dietro a questo materiale, dati inediti mai divulgati prima.
La tabella che definisce schematicamente la struttura chimica
del vetro 554666,
indicato dal bollino rosso.
Il vetro 554666 condivide con successivo ed analogo 598671
(adottato
sull'apo-macro-Elmarit-R 100mm f/2,8) una complessa e costosa composizione
chimica basata su ben 11 elementi, principalmente metafosfati e fluoruri
(destinati
a definire un basso indice di rifrazione e dispersione) con l'aggiunta di
veicolanti
destinati a migliorare le caratteristiche fisiche del vetro (viscosità,
trasparenza,
omogeneità fisica ed ottica, monorifrangenza) durante le procedure di fusione;
in evidenza un 5,0% di costosissimo Y2O3
Broemer e Meinert erano chimici molto pragmatici, e non si
limitavano alla progettazione
teorica ma si applicavano con altrettanto puntiglio nel mettere a punto processi industriali
pratici e sostenibili; la procedura di fusione per questo tipo di vetro ha
richiesto mesi di
ricerche, ed il workflow ottimale è descritto nello schema seguente.
Come potete notare, all'epoca, per realizzare il vetro 554666 non era possibile
dar vita a fusioni
che impiegassero più di 750g (GRAMMI) di materiale fondente per volta,un
dettaglio che con
tutta evidenza faceva lievitare ulteriormente i costi - già elevati - indotti
dalle materie prime impiegate;
la miscela veniva fusa in un crogiolo di ossido di Alluminio a circa 1000° C e
successivamente
raffinata innalzando progressivamente tale valore fino a 1100° C; la
temperatura veniva poi ridotta
nuovamente a 1000° C e l'impasto vetroso veniva mescolato per circa 20 minuti,
trascorsi i quali
l'agitazione meccanica continuava a bruciatori spenti, e non appena sulla
superficie si formava una
sottile pellicola l'impasto veniva versato in stampi pre-riscaldati a 400°C che
venivano poi passati
in forno a 460° C per la tempra finale: tutto questo per poche centinaia di
grammi di materiale finito!
A onor del vero va detto che un vetro con queste
caratteristiche ottiche (indice di rifrazione 1,544 e
numero di Abbe 66,6) al giorno d'oggi non costituisce nulla di speciale: è un
vetro della serie Phosphate
Short Krown che annovera versioni molto simili nei cataloghi delle vetrerie ed
anche opzioni molto più
spinte nel rapporto fra rifrazione e dispersione... Persino all'epoca non era un
vetro estremo, visto che
esistevano già sia in casa Schott che in casa Leitz i "veri" vetri
ED, con indice di rifrazione 1,47-1,48 e
numero di Abbe superiore ad 81: probabilmente, sull'onda delle prestazioni
sul campo, questa "leggenda"
del vetro speciale adottato dall'apo-Telyt-R 180mm è stata ingigantita
dall'immaginario popolare, arrivando
alle dimensioni attuali, forse ingiustificate, tuttavia le qualità oggettive di
riproduzione restano, e tanto basta!
In realtà, l'autentico vetro ED ai fluorofosfati realizzato
dalla Leitz venne messo a punto qualche anno dopo,
nel Giugno 1972, ed i padri del progetto furono sempre gli specialisti Heinz
Broemer e Norbert Meinert,
gli stessi chimici che avevano dato vita all'appena discusso 554666; questo
nuovo tipo di vetro ottico si
uniformava alle più avanzate realizzazioni della concorrenza, Schott e Nikon in
primis, che stavano imponendo
un nuovo standard di vetro ED basato su un indice di rifrazione di circa
1,49-1,50 ed una dispersione
dello spettro decisamente più ridotta rispetto ai modelli precedenti, come
confermato dal numero di Abbe
caratteristico, che oscillava intorno ad 81,5 - 82,5, un trend che sarebbe
divenuto in tempi moderni un
autentico standard commerciale, al punto che la maggioranza dei vetri ED
utilizzati oggi dai costruttori
vengono acquistati dalle maggiori vetrerie (Schott, Corning, Ohara, Hoya, etc.)
ciascuna delle quali mette
a disposizione un vetro ED "standard" con indice di rifrazione nD=
1,49700 e numero di Abbe vD= 81,6.
Il merito principale dei due chimici Leitz sta nel fatto che
in quel 1972 furono i primi a mettere a punto
un procedimento di produzione industriale che permettesse di realizzare fusioni
di vetro ED molto più
consistenti che in precedenza, abbattendone i costi; naturalmente tutto è
relativo, dal momento che ogni
fusione non impiegava più di 1,5kg di materiale grezzo...
Questo nuovo vetro basato unicamente su metafosfati e fluoruri (più un
veicolante) venne catalogato come
vetro Leitz 487814 e presentava un indice di rifrazione nE= 1,4875 ed un numero
di Abbe vE= 81,4
(notare il riferimento alla E-line anzichè alla D-line), con una dispersione
parziale anomala molto favorevole;
Broemer e Meinert svilupparono questo vetro partendo da esperienze precedenti ed
escludendo dalla sua
composizione materiali sconvenienti come arseniati, fluorotitanati,
fluorozirconati e fluorotantanati di Potassio,
potenzialmente pericolosi vista la non indifferente solubilità del materiale
finale; anche il vetro 487814, per
la massiccia presenza di metafosfati ed aloidi, è meccanicamente vulnerabile e
molto sensibile all'umidità ed
al dilavamento accidentale, quindi - alla stregua di altri materiali prodotti
dai concorrenti - va utilizzato in
elementi frontali solo abbinandolo ad un filtro neutro protettivo; il vetro
487814 ha vissuto un momento di
gloria a partire dagli anni '80, quando fu ampiamente utilizzato nel rinnovato
parco teleobiettivi del corredo
Leica-R, prima sugli apo-Telyt-R 280mm f/2,8 e 400mm f/2,8 e successivamente
nelle due teste ottiche
del sistema apo-Module-R, in grado di combinare focali da 280 - 400 - 560 -
800mm con varie luminosità.
Per la gioia degli appassionati ecco gli schemi con la composizione chimica, le
caratteristiche e le procedure
di produzione del vetro ED Leitz 487814, abbinati alle sezioni ottiche dei
succitati teleobiettivi con la relativa
collocazione di tale vetro!
Il vetro ED 487814 realizzato da Broemer e Meinert nel 1972
comprende ben undici ingredienti
di base, sostanzialmente metafosfati e fluoruri, tutti elementi con la
prerogativa di creare un impasto
vetroso caratterizzato da basso indice di rifrazione, bassissima dispersione e
favorevole dispersione
anomala in alcune zone dello spettro secondario; le procedure di fusione,
raffinazione, omogeneizzazione
e raffreddamento di questi vetri sono molto complesse (alcuni elementi
addirittura volatilizzano a certe
temperature) e sono in parte responsabili del loro costo.
Il vetro 487814 permetteva per la prima volta di realizzare
fusioni singole partendo da 1,5kg di materiali
grezzi, che andavano accuratamente miscelati e poi riscaldati in un crogiolo di
Platino fino a 1.000°C per
ottenere la fusione, cui seguiva una omogeneizzazione di 2 minuti a 1.180° C ed
un successivo, lentissimo
raffreddamento fino a 730° C, caratterizzato da agitazione regolare e costante;
a 730° C l'impasto andava
versato in stampi riscaldati a 425° C e portato lentamente a temperatura
ambiente nel corso di 24 ore.
I moderni apo-Telyt-R con focali comprese fra 280mm ed 800mm
impiegano tutti due grosse lenti
in vetro Leitz 487814 nel modulo anteriore, ad esclusione del 400mm f/2,8 primo
tipo che ne utilizza
solamente una; potete notare come gli elementi frontali esposti in vetro 487814
siano sistematicamente
protetti da un filtro neutro.
(ringrazio il caro amico Prof. Vicent Cabo per il disegno delle sezioni)
Il vetro 487814 fu leggermente rivisto dagli stessi Heinz
Broemer e Norbert Meinert (in collaborazione
con Werner Huber) a metà degli anni '80, con l'obiettivo di mantenere gli
stessi valori di rifrazione, dispersione
e dispersione parziale anomala positiva, migliorando tuttavia alcune delle
caratteristiche pecche di questi vetri
ai fluorfosfati: la ridotta resistenza meccanica (Knoop hardness) e l'elevato
coefficiente di dilatazione termica
lineare nell'intervallo 20°C-300°C; fra il 1985 ed il 1988 il terzetto di
chimici modificò la composizione di
questo vetro, migliorando leggermente i parametri citati; ecco le differenze
parametriche fra la versione "old"
del 1972 e la "new" del 1988, la composizione chimica di quest'ultima
e la rinnovata procedura di fusione,
stavolta in grado di utilizzare ben 10kg di materiali grezzi per volta, un
progresso con benefiche ricadute sul
costo finale!
Sempre in anteprima assoluta, ecco i parametri di riferimento
delle due versioni di
vetro Leitz ED 487814: il tipo concretizzato nel 1988 ha una resistenza
meccanica
(Knoop hardness) leggermente superiore (390 contro 360) ed un coefficiente di
dilatazione termica lineare parimenti più contenuto (14,6 anzichè 16,0), il
tutto
mantenendo praticamente invariati i valori di rifrazione, dispersione e
dispersione
parziale anomala positiva.
La composizione chimica del vetro Leitz 487814 "new"
fa a meno del metafosfato di Magnesio
e Calcio ma presenta una piccolissima quota di fluorotitanato di Potassio.
A parte i miglioramenti delle caratteristiche fisiche, il vero
passo avanti introdotto nella versione
del 1988 consiste nella possibilità di fondere ben 10kg di materiale grezzo per
volta (contro i 750g
del vetro 554666 ed i 1.500g del vetro 487814 "old"); la procedura di
produzione prevede che i 10kg
di materiale grezzo, accuratamente miscelato e mescolato, vengano introdotti
poco alla volta in un
crogiolo in platino riscaldato ad 850°C, garantendo un flusso continuo ma
moderato di polveri nel
crogiolo che richieda circa 90 minuti per versare i 10kg di composto; terminata
questa operazione la
temperatura del crogiolo viene portata a 1.080° C nel corso di 15 minuti, ed
una volta raggiunta
viene introdotto un agitatore meccanico a pale multiple che provvede ad eseguire
un'agitazione
intervallata di 25 minuti a 150 giri al minuto; nella fase successiva la
temperatura viene progressivamente
abbassata a 900° C e la velocità di agitazione a 120 rotazioni al
minuto;quando l'impasto vetroso è
completamente privo di bolle d'aria la velocità di rotazione viene
ulteriormente ridotta ad 80 cicli
al minuto e la temperatura portata al valore nominale di 710° C, ottimale per
versare il vetro in stampi
di Alluminio pre-riscaldati a 500°C; l'ultimo step prevede un lento e
progressivo raffreddamento fino
a temperatura ambiente tramite fornace a controllo numerico.
Questo diagramma di Abbe raggruppa i vetri ottici concepiti
direttamente in seno alla Leitz
ed è aggiornato a metà anni '80; con le frecce sono evidenziati sia il vetro
554666, utilizzato
nel 180mm f/3,4 Apo-Telyt-R, sia il vetro 487814 appena descritto; si può
notare che Leitz
aveva realizzato anche un vetro ED dalle caratteristiche più spinte, il tipo
488841, dotato di
un numero di Abbe superiore (84,1); nella parte alta del diagramma, nel settore
destinato
ai Lanthanum Dense Flint, è riconoscibile anche il celebre vetro "Noctilux"
900/1, indicato
dalla sigla 900403.
Dopo queste primizie sui vetri Leitz a bassa dispersione torniamo senza ulteriore indugio al nostro 180mm!
L'apo-telyt è un obiettivo praticamente diffraction-limited e
va utilizzato preferibilmente a piena apertura,
se la visibile vignettatura (dovuta al ridotto diametro del gruppo anteriore)
non costituisce un problema;
la massima risoluzione, secondo la regola generale della diffrazione, si ottiene
ad f/3,4 sull'asse, mentre
il trasferimento di contrasto è praticamente costante ad f/3,4 - f/4 - f/5,6;
in particolare, i valori MTF
medi a 20 cicli/mm sono eccezionalmente elevati, per l'epoca ed in senso
assoluto; la proiezione della
coniugata posteriore si accorda piuttosto bene anche con i sensori digitali,
rendendo l'obiettivo attuale,
e gli esempi che seguono forniscono appena una pallida idea delle prestazioni
permesse dall'apo-Telyt.
Aberrazione cromatica in evidenza al 400% di due files
acquisiti montando le ottiche
su una Canon EOS 5D full-frame ed utilizzandole a piena apertura: mentre il pur
ottimo
Zeiss Sonnar T* 180mm f/2,8 palesa evidenti fringings, l'omologa porzione ripresa
con
l'apo-Telyt-R ne è priva, a testimonianza della superiore correzione in questo
settore.
Uno scatto ottenuto al volo con l'apo-Telyt-R 180mm f/3,4 su
Canon
EOS 350D @ f/3,4: a distanza ravvicinata e piena apertura la discrasia
fra un piano di fuoco molto nitido e contrastato ed una ridottissima
profondità di campo consente immagini dotate di evidente stacco.
un crop al 100% dello stesso file evidenzia la smagliante
definizione
dell'apo-Telyt a piena apertura.
Una vista di Brisighella dal famoso "belvedere del
Casale", classica salita ciclistica,
ottenuta con l'apo-Telyt 180mm f/3,4 su Canon EOS 350D @ f/5,6: la
"presenza"
dell'immagine in distanza , sia pure aiutata da un polarizzatore, non richiede
commenti.
Un crop al 100% del file ribadisce quanto già visto: il
bordline dell'apo-Telyt risiede
solamente nella "frequenza di taglio" introdotta nell'MTF dal
pacchetto foschia
atmosferica/precisione di messa a fuoco/micromosso/limiti risolutivi di
pellicola
o sensore!
Le eccezionali qualità ottiche dell'Apo-Telyt-R 180mm f/3,4
furono ben evidenziate nel 1981 da
un accurato test MTF realizzato da Sergio Namias in collaborazione con Romeo
Rossetti secondo
il metodo Namias-Massagli (una curva MTF sull'asse, una sagittale ed una
tangenziale a 7mm fuori asse,
una sagittale ed una tangenziale a 15mm fuori asse per ogni diaframma,
considerando le frequenze
spaziali da 0 a 100 cicli/mm e adottando un singolo piano di fuoco scelto come
compromesso ottimale
delle varie zone del campo in funzione della curvatura di campo incontrata);
tale approfondito test
fu realizzato sfruttando le strutture del Centro Studi Progresso Fotografico in
collaborazione con
la società Aeritalia e fu pubblicato sul famoso mensile specializzato
"Tutti Fotografi", suscitando
comprensibile clamore; ecco la riproduzione comprendente le sue parti
essenziali.
Questo diagramma riporta sull'indice di qualità i valori MTF
medi misurati
sugli obiettivi, condizionati anche dalla curvatura di campo (viene adottato
un singolo piano di fuoco per tutto il campo ripreso) sia dallo spostamento
di fuoco da piena apertura ai diaframmi più chiusi introdotto dall'andamento
dell'aberrazione sferica; l'apo-Telyt-R 180mm f/3,4 era stato confrontato
con rivali di elevato rango: lo Zeiss Contax 200mm f/3,5 Tele-tessar T* ed
il Nikon Nikkor Ai 200mm f/4, ma le superiori prestazioni del 180mm Leitz
risultarono devastanti, specialmente a tutta apertura; il valore massimo di
circa
50 su un fondo-scala di 60 non deve ingannare: questa metodologia era molto
severa e solamente i migliori 50mm del mondo arrivarono ad f/8 al valore di 55,
mentre, ad esempio, il celebre micro-Nikkor 55mm f/3,5 si fermò anch'esso a
50...
L'interessantissimo schema con tutti i parametri del test
evidenzia come la superiorità dell'apo-Telyt-R non
dipendesse dalla correzione di curvatura di campo e astigmatismo (presente ad
f/5,6 in misura superiore
ai concorrenti Nikkor e Zeiss) ma da un'aberrazione cromatica eccezionalmente
ridotta: in particolare, la
resa in asse in luce monocromatica rossa è ancora molto elevata, mentre nei
200mm Nikkor e Zeiss scadeva
a valori inaccettabili; lo spostamento di fuoco in asse è effettivamente molto
ridotto per la focale, mentre il
Nikkor Ai 200mm f/4 presentava uno spostamento superiore ai 300 micron solamente
fra il verde ed il rosso...
La leggera vignettatura riscontrata nell'uso pratico trova conferma anche nelle
rilevazioni strumentali, mentre
risultano estremamente interessanti le curve MTF medie misurate da 0 a 100
cicli/mm che confermano
lo straordinario stato di correzione ad f/3,4; sono molto significativi anche i
valori medi a 20 cicli/mm,
dove ad f/4 abbiamo un MTF medio sul campo dell'82%, valore eccezionale per una
simile focale ed
apertura anche ai giorni nostri... Alle maggiori aperture i blasonati
concorrenti denunciavano MTF medi
inferiori anche di un buon 20-25%, una differenza immediatamente avvertibile
nell'uso pratico.
(test originale realizzato dal Centro Studi Progresso Fotografico sotto il
coordinamento di Sergio Namias,
qui riprodotto senza alcun fine di lucro, con puro intento didascalico e tenendo
in considerazione il fatto
che la prova risale al lontano 1981).
L'apo-Telyt-R 180mm f/3,4 fu prodotto in due differenti
versioni, l'originale 11240 con filettatura
59x0,75mm (filtri Series 7,5 con anello di ritenuta 14222) e la successiva 11242
con attacco filtri
E60 (o filtri Series 7,5 con anello di ritenuta 14263); la versione originale
11240, introdotta con due
camme alla fine del 1975, fu convertita a tre camme a partire dalla matricola
2.749.556, mentre la
seconda versione 11242 entrò in servizio nel 1978 a partire dalla matricola
2.947.024 e rimase a
catalogo fino al 1998; il sostituto di questo glorioso obiettivo fu l'apo-Elmarit-R
180mm f/2,8, dotato
di un moderno ma meno personale schema IF analogo a quello di altri lunghi tele
della concorrenza
nipponica e basato su un vetro ED completamente diverso e parimenti simile a
quello utilizzato dai
brand giapponesi, un materiale sempre progettato da Broemer e Meinert (nel 1972) e
corrispondente
alla denominazione Leitz 487814.
Il 180mm f/3,4 pesava 750g ed era dotato di pratico paraluce
telescopico; per gli iconoclasti era
possibile ruotare il sottile cannotto che riportava la dicitura "apo-Telyt-R
1:3,4/180" mettendo la
scritta in bella vista ad ore 12 semplicemente allentando una piccola vite
coassiale di fermo e
ricalibrando il cannotto nella posizione desiderata; il barilotto misurava 133mm
di lunghezza per
66mm di diametro e all'epoca vennero realizzati riduttori non originali (con
passo 59x0,75mm e 55x
0,75mm) che consentivano di applicare al tipo 11240 dei comuni filtri da 55mm,
previa rimozione
dell'anello di ritenuta 14222; con l'adozione dell'apo-Extender-R 2x si otteneva
un 360mm f/6,8
di qualità molto elevata, penalizzato solo dalla ridotta luminosità
complessiva.
Il 180mm f/3,4 arrivò sul mercato nel 1975 e venne inserito
nella gamma degli obiettivi Leicaflex
a fianco dell'ormai affermato ed apprezzato Elmarit-R 180mm f/2,8, obiettivo
luminoso lanciato sul
mercato nel 1966, con un clamoroso ritardo di ben 30 anni sul Sonnar 180mm f/2,8
della storica
rivale Zeiss, presentato in tempo per le Olimpiadi di Berlino... Quando l'Apo-Telyt
fece il suo esordio,
l'Elmarit-R 180mm f/2,8 era comunque sulla piazza da ben 9 anni e gli
affezionati clienti Leitz erano
decisamente soddisfatti della sua resa, lamentando solamente un barilotto
"zavorrato" per un peso
complessivo di 1,32kg... A distanza di ben 35 anni, ho realizzato qualche scatto
di prova mettendo
a confronto il vecchio Elmarit-R 180mm f/2,8 (un esemplare due camme tipo
11919), l'Apo-Telyt-R
180mm f/3,4 (uno dei primi "tre camme" della vecchia serie 11240) e
l'outsider d'eccellenza Canon
EF 200mm f/2 L IS, con l'intenzione di verificare da un lato se e quanto le
prestazioni del nuovo
Apo-Telyt-R sopravanzassero quelle del classico Elmarit-R, giustificando così
la presenza a listino di
due ottiche dalle caratteristiche geometriche così simili e parimenti costose,
e dall'altro di confrontare
il "campione" Apo-Telyt-R con uno dei più nitidi e brillanti
obiettivi di analoga focale progettati con
l'ausilio delle più moderne tecniche, per valutare se le sue prestazioni siano
ancora da considerare
un riferimento o se vadano invece relativizzate alla sua epoca.
L'Apo-Telyt-R 180mm f/3,4 in compagnia dell'Elmarit-R 180mm
f/2,8
prima serie, obiettivo già da tempo sul mercato quando la versione apo
venne lanciata; confrontando i loro barilotti con quelli di due celebri
concorrenti, lo Zeiss Sonnar 180mm f/2,8 T* per Contax-Yashica ed
il Nikon Nikkor AiS 180mm f/2,8 ED, si può notare come la lunghezza
sia simile in tutti gli esemplari, su quote decisamente ragionevoli, mentre
l'Apo-Telyt-R si avvantaggia del mezzo stop in meno nell'apertura massima
e garantisce una struttura decisamente più snella (passo filtri Serie 7,5 e poi
E60), una scelta tecnica che paga dazio sul fronte della vignettatura, piuttosto
marcata e visivamente percettibile su sfondi uniformi ancora ad f/5,6.
I dati identificativi dei due obiettivi Leitz: nell'Elmarit-R
sono riportati sull'anello coassiale alla lente
anteriore, mentre per snellire al massimo la montatura dell'Apo-Telyt-R (forse
una specifica richiesta
in origine dalla U.S. Navy) le incisioni sono riportate sul barilotto esterno.
Gli obiettivi oggetto della piccola prova informale: l'Apo-Telyt-R
a confronto
con il primo 180mm per Leicaflex e con uno dei più blasonati "mostri"
dell'ottica
moderna in questa categoria di focali: il Canon EF 200mm f/2 L IS.
Gli schemi ottici dei tre obiettivi: l'Elmarit-R 180mm f/2,8
del 1966 adotta uno schema classico
e rassicurante, poi replicato sia dal Nikkor-P 180mm f/2,8 che da successivo
Elmarit-R 180mm f/2,8
con montatura più leggera, presentato alla Photokina 1980; l'Apo-Telyt-R
sfrutta ben tre tripletti
collati per correggere al massimo l'aberrazione cromatica; infine, il Canon EF
200mm f/2 L IS,
presentato nel 2007, si avvale di un'architettura meravigliosamente complessa
con ben 15 lenti
in 9 gruppi, con l'aggiunta di due filtri protettivi alle estremità del sistema
ottico; in particolare,
la lente frontale, di grande diametro, è realizzata in fluoruro di Calcio
(Fluorite), il secondo e
terzo gruppo di lenti sono due potenti doppietti acromatici nei quali un vetro
Dense Flint ad
alta rifrazione ed alta dispersione viene abbinato ad un vetro UD (nD=
1,49700 vD= 81,6)
a bassa rifrazione e bassissima dispersione. Il terzo doppietto è flottante e
garantisce la messa
a fuoco interna mentre il modulo contrassegnato in rosso, dotato di
decentramento motorizzato
e composito sui due assi, garantisce la stabilizzazione attiva dell'immagine;
infine, tutto lo schema,
ed in particolare l'ultima lente rifrangente posteriore, contribuiscono alla
proiezione telecentrica
sui moderni sensori. Si tratta ovviamente di un obiettivo molto più moderno e
strutturato rispetto
all'Apo-Telyt-R, sviluppato ad inizio anni '70, ma è un buon termine di
riferimento per la qualità
d'immagine assoluta.
Ho quindi realizzato due serie di scatti ad un soggetto molto
distante (equivalente ad infinito) e ad
un altro a distanza media (circa 20m), montando i tre obiettivi su un corpo
Canon EOS 5D mark II,
che con un file da 5.616 pixel di lato è sicuramente idoneo a spremere le ottiche
che vi vengano montate:
ho eseguito gli scatti in RAW a 14bit, alla sensibilità minima di 100 ISO ed
utilizzando un robusto
treppiedi; ho focheggiato il 200mm f/2 L IS originale in autofocus (escludendo
lo stabilizzatore) ed
i due obiettivi Leitz (applicati grazie ad un anello adattatore di alta
qualità) utilizzando il live view
sul monitor posteriore con ingrandimento 10x, che ha consentito una
focheggiatura realmente critica.
Per ogni obiettivo ho eseguito uno scatto ad f/2,8 (f/3,4 per l'Apo-Telyt-R) -
f/4 - f/5,6 - f/8, ed i files
non sono stati trattati o modificati in alcun modo nè aprendoli in Adobe Camera
Raw nè passandoli
in Photoshop CS4 per il cropping ed il salvataggio; in particolare, non è stato
applicato alcuno sharpening
nè filtro "chiarezza" di ACR, e l'unica maschera di contrasto è
quella di default sull'apparecchio.
Tutti i files sono stati aperti con identiche regolazioni di temperatura colore
e tonalità, quindi le eventuali,
lievi differenze cromatiche che venissero rilevate sono da attribuirsi
effettivamente alle ottiche.
Infine, per minimizzare il mosso ho utilizzato il sollevamento preventivo dello
specchio combinato
con l'autoscatto (con tempi di posa compresi fra 1/2.000" ed 1/250").
Per ogni soggetto, ogni obiettivo ed ogni apertura impiegata
ho ricavato un crop di 700 x 576 pixel
dal file visualizzato al 100%, prelevandolo dall'area centrale, dove era stata
effettuata la messa a fuoco
(considerata la criticità della profondità di campo, trattandosi di
teleobiettivi, sezioni sui bordi
sarebbero state poco indicative, trovandosi su piani di fuoco differenti).
Come al solito, gli scatti di prova sono significativi
unicamente per gli esemplari utilizzati, e
non autorizzano a generalizzare per tutta la produzione corrispondente ma vanno
presi come
indicazione di massima; ecco le matricole dei tre obiettivi utilizzati.
Leitz Elmarit-R 180mm f/2,8 due camme tipo 11919: 2.673.232
(1974)
Leitz Apo-Telyt-R 180mm f/3,4 tre camme tipo 11240: 2.867.433
(1977)
Canon EF 200mm f/2 L IS: 10.841 (2008)
(Perdonate la banalità dei soggetti, ripresi a tempo perso durante una
"visita parenti" in campagna...)
Il primo soggetto scelto, posto ad una distanza prossima
all'infinito; va notato che,
focheggiando con estrema precisione grazie al live view con ingrandimento 10x,
il 180mm f/2,8 Elmarit-R utilizzato richiedeva un posizionamento della ghiera
praticamente sulla battuta di infinito, mentre il 180mm f/3,4 Apo-Telyt-R
comportava
una regolazione che lasciava un margine maggiore, suggerendo che
l'obiettivo
f/2,8 - probabilmente - non può raggiungere l'infinito reale (anche se di
poco),
richiedendo un'assistenza tecnica in tal senso... Naturalmente il problema è
legato allo specifico esemplare e non indicativo di tutta la produzione!
f/2,8 ( f/3,4 con l'Apo-Telyt-R )
f/4
f/5,6
f/8
Il secondo fotogramma, con soggetto posto a circa 20m, e
l'area
scelta per la visualizzazione al 100% con crop di 700 x 576 pixel.
f/2,8 ( f/3,4 con l'Apo-Telyt-R )
f/4
f/5,6
f/8
Valutando la nitidezza, occorre considerare che questi crops
provengono da un sensore
full-frame molto "denso", da 21,1 megapixel, e che risultano quindi
estremamente ingranditi
e critici; specificato questo, va detto che il vecchio Elmarit-R 180mm f/2,8 del
1966 conferma
la sua lusinghiera fama (sottolineata dalla scelta di mantenere il suo schema,
con semplici modifiche
di contorno, anche per la versione moderna lanciata nel 1980): evidenzia una
certa AC longitudinale,
come prevedibile in un 180mm non apo con simile anzianità, ma gli errori
cromatici intaccano più
che altro i macrocontrasto, mentre la risoluzione è sicuramente soddisfacente,
anche ad f/2,8, sebbene
sia stata misurata solamente in asse, una posizione molto favorevole. Il 180mm
f/3,4 Apo-Telyt-R si
avvantaggia della sua superiore correzione cromatica e garantisce una
riproduzione più contrastata e
cromaticamente smagliante, ma il potere risolutivo dell'Elmarit-R va considerato
molto buono, soprattutto
tenendo conto che non esiste alcuna post-produzione migliorativa mentre
sarebbero sufficienti pochi ritocchi
a curve e livelli per compensare il gap di contrasto. Come prevedibile, il
passaggio dall'Elmarit all'Apo-Telyt
al Canon EF-L IS comporta una costante escalation per quanto riguarda la
nettezza delle ombre, la pulizia
della riproduzione ed il vigore, ed il tele nipponico, progettato 35 anni dopo
l'Apo-Telyt, è marginalmente
superiore, tuttavia le differenze complessive sono meno marcate di quanto
prevedessi, ed un semplice
workflow digitale potrebbe quasi annullarle. Come nota a margine, ho notato che
sul sensore digitale
(prassi d'uso ormai largamente affermata) le ottiche mostrano sintomi di
diffrazione molto precocemente,
e visualizzando in rapida successione i vari crops a registro, come in
un'animazione cinematografica, ho
notato che nell'Elmarit-R e nel Canon EF-L IS la massima risolvenza pura
è rilevabile ad uno stop dalla
massima apertura (f4 ed f/2,8, rispettivamente), mentre nell'Apo-Telyt chiuso ad
f/4 è addirittura
avvertibile un leggero flesso, dovuto ad uno spostamento di fuoco già rilevato
a suo tempo da personaggi
ben più competenti di me, confermano un'ottimizzazione ad f/3,4 che si scontra
con la caduta di luce
ai bordi presente a tale apertura.
Infatti, come avevo accennato, la scelta di limitare il
diametro delle lenti anteriori ha comportato
nell'Apo-Telyt-R una percettibile vignettatura, ancora visibile ad f/5,6, mentre
l'Elmarit-R,
sia pure più luminoso, si avvantaggia per l'adeguato dimensionamento di tali
elementi e da
questo punto di vista si comporta decisamente meglio; ecco alcune immagini
d'esempio: a
sinistra l'Elmarit-R 180mm f/2,8 ad f/2,8 ed f/4, a destra l'Apo-Telyt-R ad
f/3,4 ed f/4.
Se oggi l'espressione "mito di una generazione" è
senz'altro abusata, questo non vale per l'apo-Telyt-R
180mm f/3,4, che al di là della curiosa origine militare (per la ripresa IR a
lunga distanza sul mare con
severissime esigenze di riconoscimento dei dettagli) fu uno dei primi, autentici
teleobiettivi moderni, in
grado di garantire - alla stregua di pochi rivali come i Canon Fluorite o lo
Zeiss 250mm Superachromat
per il 6x6cm - una correzione apocromatica di tale efficacia da collocarlo per
molti anni su un altro
pianeta rispetto ai tele da 180-200mm della concorrenza: lo stesso Nikkor AiS
180mm f/2,8 ED,
obiettivo splendido, non è assolutamente in grado di replicare a tutta apertura
il contrasto e la risoluzione
dell'apo-Telyt, e dovremo aspettare i primi 180mm f/2,8 autofocus con vetri ED
per parlare di
prestazioni paragonabili, con 15 anni di ritardo rispetto alla progettazione del
Leitz, che certamente
fu avvantaggiata dalla commessa militare con priorità alla resa finale rispetto
al budget, ma questo
nulla toglie ai meriti oggettivi di chi ha reso possibile questo gioiello nei
primi anni '70.
MARCOMETER
MITO ED ICONA DI UNA GENERAZIONE DI
FOTOGRAFI
TARGATI LEITZ, BESTIA NERA PER TUTTI GLI
ALTRI:
L'APO-TELYT-R 180mm f/3,4 E' STATO UNO DEGLI
OBIETTIVI
PER LEICA-R PIU' FAMOSI E RIUSCITI E
LA CURIOSA
ORIGINE MILITARE NON FA CHE RAVVIVARE
LA SUA
AURA DI LEGGENDA; UN MUST-HAVE, SEMPLICEMENTE.
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