LEITZ  SUMMILUX-M 50mm f/1,4 :

UNA  LUNGA  PARABOLA  PER  AVVICINARE  LA  PERFEZIONE

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Il Leitz Summilux-M 50mm f/1,4 è una delle pietre miliari del sistema Leica-M: se il Summicron 50/2 era
l'ottica incisa ed affidabile dei pragmatici e documentaristi di viaggio, il "Lux" f/1,4 era quella dei sognatori, dei
visionari, dei cacciatori di emozioni, di chi amava la sua resa caratterizzata da un'estetica eterea e tridimensionale;
su quest'obiettivo si sono scritti fiumi di parole, tenuti duelli all'arma bianca  per l'onore di posizioni antitetiche, si
è creato un feticismo che sconfina nella mistica; dal mio punto di vista non intendo addentrarmi nelle sabbie mobili
di considerazioni che risuonano fra filosofia, subliminale e leggenda: mi limiterò a tratteggiare l'evoluzione concettuale
che ha scandito le sue tre versioni in quasi mezzo secolo di vita, cercando di visualizzare un vettore e mettere a
fuoco i presupposti di partenza e le linee guida della sua evoluzione, disponendo anche di inediti dati relativi al
progetto della 2^ versione del 1962, firmato Walter Mandler.


La prima versione di Summilux 50mm f/1,4, lanciata sul mercato con attacco M nel 1959 (codice SOOME) e nel
1960 con passo a vite 39x1/26" (codice SOWGE) dal punto di vista ottico e della filosofia di resa si basa largamente
su due analoghi progetti precedenti: il Summarit 50mm f/1,5 del 1949 (codice SOOIA) ed il più vetusto Xenon 50mm
f/1,5 (codice XEMOO), introdotto nel 1936; in realtà il Summarit è in pratica una riproposizione testuale dello
Xenon prebellico con la semplice - ancorchè necessaria e molto efficace - applicazione dell'antiriflessi alle lenti, ed
entrambi si fondano su uno schema Gauss a 7 lenti in 5 gruppi basato su due menischi collati al lato del diaframma e
caratterizzato da due lenti singole all'estremità posteriore, che era stato progettato nel 1930 da Horace William Lee,
un matematico in forza alla Kapella Limited con sede a Leicester (Inghilterra); questo progetto, registrato il 26 Dicembre
1930 e coperto da brevetto inglese n° 373.950 del 1932 ed americano n° 2.019.985 del 05/11/35, descriveva un nuovo
tipo di Gauss estremamente luminoso - previsto per apertura f/1,4 o superiore (SIC, testuale) - caratterizzato da
buona planarità di campo e corretto simultaneamente riguardo ad aberrazioni sferiche e cromatiche, distorsione, coma
ed astigmatismo; questo progetto di Lee era caratterizzato da due membri dispersivi centrali in forma di doppietto
collato, posti all'estremità del diaframma, e da due membri collettivi esterni, quello anteriore composto da una sola
lente e quello posteriore sdoppiato in due lenti singole spaziate ad aria; proprio in quest'ultima caratteristica consisteva
il segreto e la specificità del progetto - e del brevetto -: le due lenti singole posteriori erano caratterizzate da un
rapporto fra il raggio di curvatura della loro faccia anteriore e posteriore di almeno 3:1 mentre le parti più convesse
delle due lenti erano rivolte all'interno, l'una contro l'altra; nel progetto originale del 1930 le altre due facce delle
lenti posteriori, rivolte verso l'esterno, erano addirittura piatte, mentre nello Xenon definitivo la superficie esterna
dell'ultima lente presenta una blanda curvatura; in realtà questo sdoppiamento ad aria del membro collettivo posteriore,
all'epoca, era l'unica via praticabile per ottenere un luminoso di alta qualità partendo dal Gauss, mentre l'altra geniale
alternativa, il tripletto modificato tipo Sonnar di Bertele, ovviamente, era già brevettato da Zeiss; questa curiosa ed
intricata situazione causò di fatto la dipendenza di Leitz da questo brevetto dell'inglese Lee: dovendo rispondere in
fretta all'eccellente Sonnar 50mm f/1,5 per Contax della rivale Zeiss Ikon, la Leitz decise di affidarsi ad un calcolo
esterno già pronto, "chiavi in mano"; affannosi abboccamenti con la Schneider, con la quale la Casa di Wetzlar
intratteneva cordiali rapporti, portarono alla ribalta questo promettente progetto, concesso dall'assignee inglese di
H. W. Lee, la Kapella Ltd., agli americani della Taylor, Taylor & Hobson, che a loro volta lo avevano ceduto alla
Schneider stessa per il territorio europeo....davvero uno scenario intricato, al limite del ridicolo!

Altri storici, come Blood, avanzano l'ipotesi che Max Berek, ad inizio anni '30, stesse a sua volta lavorando in
modo indipendente su un concetto simile, e che si sia poi scontrato contro i principi applicativi del brevetto di Lee
legati alle lenti posteriori sdoppiate, dovendo così accordarsi con Schneider che ne era titolare sul territorio tedesco;
è possibile che sia Leitz che Schneider - come prova un brevetto tedesco del 1934 relativo alla curvatura del
doppietto dispersivo collato in un gauss che adotta la copia di lenti di Lee - stessero lavorando entrambi su questo
schema e che gli sforzi siano confluiti in un progetto comune quando fu evidente che era necessario avvalersi del
brevetto originale, gestito da Schneider; in ogni caso i dati oggettivilegati a quest'ipotesi sono frammentari.




Dal progetto originale di Horace William Lee del 1930, lo schema originale
del Gauss f/1,4 alla base del Leitz Xenon; il membro collettivo posteriore (a destra)
sdoppiato in lenti singole a curvatura differenziata, con i raggi maggiori all'interno,
sono l'atout del progetto che permetteva una correzione piuttosto buona, e per molti
anni i Gauss luminosi di qualità sarebbero dipesi da questo brevetto! La fondatezza
del principio è ribadita anche da calcoli moderni: lo stesso Noctilux-M 50mm f/1,0
del 1976 adotta ancora questo caratteristico membro posteriore a due lenti spaziate,
così come altri eccellenti obiettivi superluminosi come gli 85/1,2 Zeiss e Canon L

 

La Schneider non subiva alcuna concorrenza diretta dal sistema Leica 24x36mm e concesse di buon grado lo sfruttamento
di questo progetto per ottenere un 5cm standard Leitz superluminoso; l'unico balzello da pagare fu l'adozione di un nome
tipicamente Schneider come Xenon; naturalmente la validità del brevetto detenuto da Taylor, Taylor & Hobson obbligava
ad ottemperare a complessi obblighi legali, come l'umiliante indicazione fra i dati della ghiera frontale di "Taylor-Hobson"
più il numero di brevetto americano o di "Taylor-Hobson" più i numeri di entrambi i brevetti ( l'americano e l'originale
inglese di 5 anni prima) per i Leitz Xenon esportati sul mercato inglese ed americano; per gli altri mercati, invece, il
riferimento era all'ultimo concessionario di brevetto nella "catena alimentare", la tedesca Schneider, e ci si limitava ad un
semplice "D.R.P." (Deutsche Reich Patent).




sono lieto di offrire in anteprima ai miei amici questa chicca: per la prima volta allo
schema del Leitz Xenon 5cm f/1,5 si possono abbinare le caratteristiche dei vetri
ottici utilizzati per la sua realizzazione, analoghi a quelli previsti da Lee nel suo progetto;
da notare che la superficie posteriore dell'ultima lente n° 7 (la seconda del gruppo
collettivo posteriore) presenta una leggera curvatura, che costituisce l'unica variante
degna di nota introdotta in corsa rispetto al progetto originale di Lee del 1930

 

 

Dopo la tragedia bellica e la totale disfatta della Germania nazista, le aziende tedesce si leccavano le ferite cercando di rientrare
in produzione con quel poco di materiali, maestranze e macchinari rimasti a disposizione; la scelta più logica era quella di re-
introdurre in produzione i modelli prebellici, realizzati in un'epoca d'oro dove la tecnologia tedesca era ai vertici mondiali
(tristemente, visto i background ); alla Leitz riesumarono il progetto Xenon, che nonostante le interessanti applicazioni secondarie
per proiezione o in abbinamento alla Leica x-ray non aveva mai decollato sul mercato a causa del basso contrasto e del vistoso
flare dovuto allo schema complesso e alla totale assenza di trattamento antiriflessi; caduto il segreto militare, dal 1946 il processo
di "azzurratura" era diventato procedura comune nell'industria e la Leitz nel 1949 mise sul mercato una versione dello Xenon
dotata di trattamento antiriflessi, sufficiente a migliorare drasticamente il rendimento dell'obiettivo (di per se ben corretto contro
le aberrazioni), elevando il contrasto e passivando il flare nelle ombre; l'obiettivo fu commercializzato col nome di Summarit,
presentava le stesse caratteristiche di targa del precedente Xenon (5cm f/1,5) e corrispondeva al codice interno SOOIA;
inizialmente anche il Summarit, su certi mercati, doveva essere contrassegnato da "Taylor, Taylor & Hobson" seguito dal
numero del brevetto americano di Horace William Lee.

 



Il Leitz Summarit SOOIA del 1949, riproposizione dello Xenon prebellico con un
trattamento antiriflessi che migliorava molto il contrasto e la soppressione del flare;
il miglioramento rispetto allo Xenon -XEMOO  era avvertibile specialmente a piena
apertura

 

10 anni dopo alla Leitz fu introdotta la prima versione di Summilux 50mm, col diaframma corretto per l'occasione ad un più
consueto f/1,4; a Wetzlar non si era ancora sviluppata una soluzione che permettesse di svincolarsi dall'idea originale di Lee,
vecchia ormai di 30 anni, mantenendo le buone caratteristiche di base dell'ottica: infatti la prima versione del Summilux f/1,4,
lanciata nel 1959 in montatura M col codice SOOME e nel 1960 in attacco a vite 39x1/26" col codice SOWGE, pur leggermente
rimaneggiata, ricalca ancora sostanzialmente lo schema tipico del progetto Xenon-Summarit, in primis i due membri
dispersivi centrali in forma di doppietto collato ai lati del diaframma ed il membro collettivo posteriore sdoppiato in due
lenti singole; la versione a vite SOWGE fu prodotta in appena 548 pezzi fra il 1960 ed il 1963, e con la sua sobria livrea
anodizzata cromo - 11114 - assieme al suo aspetto etereo di obiettivo "tutto lenti" con un esile cannotto ad accoglierle è senz'altro
il più bell'obiettivo da abbinare ad un'altrettanto splendida IIIG; personalmente ebbi per ben due volte l'occasione di acquistare
un SOWGE a vite presso un rivenditore nonchè carissimo amico, ma ho sempre soprasseduto perchè non amo i compromessi
(infatti nel mio sistema si passa direttamente dal 50/2 Summicron al 50/1 Noctilux); il rivenditore mi raccontò che l'acquisizione
del primo esemplare fu un autentico colpo di fortuna: infatti si presentò un'avvenente signora per rivendere l'attrezzatura Leica M
del padre defunto; al corpo M erano abbinati anche un 50/1,4 ed un 90/2, apparentemente in attacco a baionetta; distrattamente,
il negoziante liquidò la signora col prezzo di mercato delle versioni a baionetta M, salvo poi accorgersi, in un secondo tempo,
che si trattava di rarissime versioni originali a vite di Summilux 50/1,4 e Summicron 90/2 (prodotti in appena 548 e 490 esemplari!),
adattati dall'estinto su M tramite i conosciuti anelli adattatori originali: un vero colpo di fortuna per l'amico commerciante!




La prima versione del Summilux 50/1,4 - SOOME (e SOWGE) del 1959 evidenzia
ancora la stretta derivazione dal progetto originale di Lee del 1930 che aveva dato
vita, in precedenza, agli Xenon e Summarit 5cm f/1,5



Il Summilux 50/1,4 SOOME - SOWGE ricevette fin dall'origine alcune critiche sia per la resa ai bordi estremi sia per la
debolezza a piena apertura, dove il contrasto era basso ed il flare di coma sagittale era ancora leggermente avvertibile, anche
se molto ridotto rispetto a Xenon e Summarit; durante i primi anni di commercializzazione (nel corso dei quali alla versione cromo
11114 fece pariglia una smaltata in nero 11113), alla Leitz Canada di Midland il grande progettista Walter Mandler si pose
il problema del superamento di questo circolo vizioso, con l'intento di migliorare le prestazioni a piena apertura del Summilux
50/1,4 con un progetto nuovo e ben diversificato dal concetto originale di Lee; Mandler oltre ad essere un matematico
geniale, era bene addentro alla chimica del vetro e non si faceva scrupolo di impiegare le più avanzate miscele che la nuova
tecnologia metteva a disposizione; il 4 Novembre 1961 completò e depositò all'ufficio brevetti del governo federale tedesco
il progetto per un Gauss f/1,4 completamente nuovo, dove il membro dispersivo posto subito davanti al diaframma era spaziato
ad aria, mentre il membro collettivo posteriore era collato: si tratta di una vera innovazione, brevettata poi anche in America
il primo Novembre 1962, che sarà alla base di eccellenti calcoli molto più moderni, come i Summilux 75/1,4 ed 80/1,4.

Il nuovo Summilux, che chiameremo 2^ versione, entrò in produzione nel 1962 a partire dal n° di matricola 1.844.001, ed
inizialmente alla Leitz non fecero parola di questa importante e radicale miglioria, continuando a commercializzare l'ottica
con gli stessi codici e dichiarando ufficialmente l'evoluzione soltanto a partire dal 1965; molti si sono chiesti, dal momento
che la precedente versione a vite SOWGE è stata in produzione fino al 1963, se qualche esemplare di questi ultimi è stato
prodotto con la nuova formulazione...Naturalmente è difficile rispondere, anche perchè gli esemplari prodotti dopo la
matricola 1.844.001 sono pochissimi; si è a conoscenza (ringrazio per questo contributo James Lager) di due Summilux
50/1,4 SOWGE a vite con matricola 2.198.497 e 2.220.286, riferibili all'anno 1966, che vengono considerati prodotti su
ordinazione e certamente caratterizzati dal nuovo schema ottico; il "nuovo Summilux" di Mandler era stato realizzato
secondo questi principi, da lui stesso enunciati nel "claim" del progetto originale: ottima correzione dell'aberrazione cromatica,
eccellente correzione generale dell'aberrazione sferica e soppressione del coma a piena apertura; naturalmente queste
asserzioni vanno sempre contestualizzate allo stato dell'arte di quell'ormai lontano fine anni '50 - inizio anni '60; Mandler
utilizzò il fior fiore dei vetri ottici del momento, al punto che tutte e 7 le lenti del Summilux sono realizzate con vetri ad
alta rifrazione, con valori nD compresi fra 1,7205 ed 1,7919; che si tratti di vetri molto moderni è provato anche dalla
contemporanea bassa dispersione: infatti in numero di Abbe riferito al vetro con nD= 1,7919 è un vD= 47,2, un
abbinamento favorevolissimo e certamente ai limiti della tecnica dell'epoca; il Summilux 2^ serie presenta in effetti ad f/1,4
sull'asse del fotogramma un contrasto ed una "presenza" decisamente superiori alla formula SOOME - SOWGE, con
una vistosa soppressione del flare di coma; l'obiettivo, nonostante la formulazione completamente nuova, mantiene una
vistosa curvatura di campo sia su infinito che a maggior ragione nel campo ravvicinato, che assieme al particolarissimo
e graduale passaggio dal piano di giacitura astigmatica verso il fuori fuoco forniscono una resa plastica molto evidente
e dal fingerprint personalissimo; tuttavia rimane l'impronta della progettazione tedesca "old style" che accompagnerà
molti luminosi Leica fino alle generazioni moderne: l'asse del fotogramma è estremamente corretto, nitido e contrastato
a tutte le aperture mentre le zone periferiche sono sacrificate parzialmente alla qualità in asse, un rendimento adatto
ad uno scatto d'assalto "point and shot" ma meno consono ad una composizione più ragionata e più apprezzata nel
moderno contesto in cui operiamo attualmente; inoltre il particolare andamento dell'aberrazione sferica combinato
con i movimenti dei piani astigmatici legati alla curvatura di campo, marcatamente variabile in funzione del tiraggio,
causano un certo focus-shift alle distanze minime quando anzichè operare a piena apertura si chiude il diaframma di
alcuni valori; naturalmente le competenze di quel 1961 non permettevano nemmeno di ipotizzare sistemi mobili di
compensazione flottante gestiti meccanicamente da elicoidi e camme a passo micrometrico, e si decise di ottimizzare
come di consueto su infinito accettando questo piccolo compromesso: tutto bene quindi a coniugate brevi per soggetti
plasticamente a fuoco con uno sfondo arioso ed indistinto, meno bene per superfici piane, dettagliate e coerenti fino ai bordi.

 



dal progetto originale di Walter Mandler del 1961 lo schema da lui ipotizzato per
la seconda versione di Summilux 50/1,4: è sparito il membro posteriore con due sottili
lenti spaziate ad aria, sostituito da un massiccio menisco collato, mentre il membro dispersivo
anteriore, posto davanti al diaframma, viene spaziato ad aria, sarà uno schema originale,
giustamente brevettato, che non avrà alcun riscontro nella produzione della concorrenza
e darà i natali anche ai famosi Summilux 75/1,4 ed 80/1,4.

 



Un'altra primizia inedita che ho realizzato per voi: lo schema definitivo del Summilux-M 50/1,4 seconda versione,
prodotto a partire dalla matricola 1.844.001, abbinato alle caratteristiche di rifrazione e dispersione di ogni singola
lente; come si può notare Mandler ha schiacciato l'acceleratore a tavoletta, dispensando a piene mani i vetri dalle
caratteristiche più avanzate disponibili all'epoca, con favorevolissimi rapporti rifrazione/dispersione



Nonostante le pecche veniali descritte sopra, il Summilux-M 50/1,4 seconda versione, in virtù di quelle ineffabili sfumature di resa
che solo l'immagine finale può raccontare, è stato molto apprezzato, direi amato dall'utenza, che ne ha fatto uno dei simboli
dell'inconfondibile fingerprint di resa Leica-M, nonostante il prezzo oggettivamente smodato a fronte della semplicità dell'oggetto;
un vecchio adagio recita: "squadra vincente non si cambia" ed anche alla Leitz hanno mantenuto lo status quo, con minime limature di
dettaglio relative all'evoluzione - sempre benvenuta - dei trattamenti antiriflesso o alla sostituzione di qualche vetro con le nuove,
equivalenti versioni ecologiche (prive di cadmio, piombo, arsenico, etc.) imposte dalle sopravvenute e più restrittive norme CEE;
il Summilux-M è approdato al nuovo millennio come un fossile vivente in forma splendida, tuttavia i problemi legati alla curvatura
di campo, alle defaillance ai bordi ed alla resa a distanze minime - dopo 40 anni di onorato servizio - non potevano essere
negati e trascurati ulteriormente; il Dottor Peter Kerbe affrontò il progetto per un'ulteriore evoluzione dell'ormai mitico obiettivo,
partendo dall'esperienza di Walter Watz relativa al Summilux 35/1,4 Aspherical e sfruttandone i principi acquisiti: il doppietto
posteriore vide il profilo della seconda lente passare a biconcavo, mentre il membro dispersivo davanti al diaframma divenne
nuovamente collato; il nuovo obiettivo acquisì un'ottava lente con la superficie anteriore concava a profilo asferico, posta
subito dietro al diaframma e all'interno dei due membri dispersivi centrali; tutto questo portò ad un obiettivo che se da un lato
perdeva un po' quelle caratteristiche di rendering tridimensionale e plasticità del Summilux 2^ serie (del resto legate proprio
alle sue aberrazioni residue non corrette), dall'altro risolveva drasticamente i problemi di resa ai bordi, fornendo fra l'altro una
qualità ad f/1,4 nettamente superiore ed omogenea, con elevato contrasto e soppressione del flare spinti ad un livello tale che
nell'immagine finale ci si avvede dell'utilizzo di f/1,4 solo dalla ridottissima profondità di campo: tale è la sua qualità di riproduzione:

Per completare l'opera e perfezionare l'ultima incarnazione di un mito, il normale superluminoso Leica M sulla ribalta del
mondo e nel cuore dei leicisti da 65 anni, Karbe sviluppò un sofisticato sistema flottante grazie al quale il membro posteriore,
passando da infinito a 0,7 metri, avanzava in misura minore rispetto al resto del gruppo ottico, aumentando la sua spaziatura
rispetto ad doppietto che lo precede, compensando il larga misura le aberrazioni e consentendo un controllo dei piani
astigmatici a distanze minime davvero sconosciuto nel modello precedente, permettendo di mantenere largamente le eccezionali
prestazioni di infinito anche a quattro palmi dal film; questo semplice concetto teorico ha richiesto una fase di messa a punto
meccanica molto complessa, dal momento che non esiste alcun riscontro ottico/elettronico del piano di fuoco ma tutto dev'essere
pre-calibrato meccanicamente con la massima esattezza e con tolleranze a quote infinitesimali.

 



lo schema ottico del Summilux 50/1,4 asph, la terza evoluzione firmata da Peter Karbe; si tratta
di un progresso notevole, ottenuto adottando in parte le soluzioni concepite per il 35/1.4 asferico,
come il doppietto posteriore con lente biconcava e la lente asferica sulla superficie concava aggiunta
al centro dello schema; di particolare rilevanza il sistema di compensazione flottante, estremamente
critico da realizzare per un obiettivo destinato ad un apparecchio a telemetro

 



dal progetto originale di Karbe ho ricavato e rielaborato lo schema che riguarda
il posizionamento relativo delle lenti flottanti passando da infinito alla distanza
minima di 0,7 metri: si può notare che tutto lo schema ottico avanza, allontanandosi
dal piano-pellicola, tuttavia il doppietto posteriore dispone di movimento indipendente
asolidale dotato di minore escursione, il che modifica lo spazio d'aria fra l'ultimo ed il
penultimo doppietto, compensando le aberrazioni

 








Dato che la mistica di questi obiettivi si gioca su sfumature di resa, su sfuocato e rendering 3D, allego gli MTF delle
tre versioni a puro titolo di cronaca; si può comunque rilevare che le versioni 1^ e 2^ sono calibrate con una evidente
curvatura di campo, che intercetta i piani di giacitura indotti dall'aberrazione sferica creando gli strani picchi di resa anomala
a certe altezze sulla diagonale; naturalmente l'MTF misurato su un piano ideale, senza correzione di messa a fuoco sulla curva,
è penalizzato vistosamente dalla presenza di curvatura di campo, come evidenziato dal vistoso calo sul campo ad f/5,6 per le
alte frequenze spaziali delle prime due versioni; appare evidente la maggiore correzione ad f/1,4 sull'asse nel progetto di
Mandler, commercializzato dal 1962 in poi, ma anch'esso, su un piano prettamente teorico, mostra il fianco nella correzione
periferica, rendendo al meglio soprattutto con soggetti singoli, definiti e ben staccati dallo sfondo circostante; la versione
asph. flottante mostra una cura davvero certosina nella correzione delle aberrazioni ai bordi, dove curvatura di campo ed
astigmatismo sono certamente stati minimizzati in modo minuzioso; restano i mugugni di certi utenti riguardo alla perdita di
"resa plastica", ma non va dimenticato  che il comportamento plastico della precedente versione è dovuto ad un effetto
collaterale delle sue aberrazioni residue sottocorrette, e da un cero punto di vista non è molto logico accusare il Summilux
Asph. di essere "troppo perfetto"; un famoso progettista Zeiss disse: "siamo matematici, non filosofi": giustamente, essi
correggono le aberrazioni e non sono tenuti a mantenerle oltre una certa quota soltanto per preservare un certo
fingerprint che ad una fetta di utenza è gradito....

(fonte:   1] e 2] Erwin Puts   3] Leica Camera GmbH)

 

Concludendo, la prima versione di Summilux 50/1,4 (1959-1962) eredita il DNA dei precedenti Xenon e Summarit, e presenta
i limiti di una vistosa curvatura di campo e di un contrasto a piena apertura non eccezionale; la seconda versione (dal 1962 in poi),
progettata da Mandler, presenta un contrasto, una risoluzione ed una soppressione del flare ad f/1,4 visibilmente superiore alla
precedente, ma restano i limiti relativi alla vistosa curvatura di campo, all'ottimizzazione spinta dell'asse a discapito dei bordi e
allo spostamento di fuoco a distanza minima legato all'interazione fra aberrazione sferica e curvatura di campo, in funzione del
diaframma adottato, anche se questo residuo di aberrazioni è in realtà responsabile dell'inconfondibile resa plastica e della tipica
transizione allo sfuocato che tanti utenti, giustamente, prediligono; la terza ed ultima versione asph. flottante, progettata da Karbe
nel nuovo millennio, minimizza i difetti ottici sopra enunciati, garantendo una resa di prim'ordine anche a distanze minime, tuttavia
in questo compito perfettino da 10 e lode si perde un po' il rendering tridimensionale e plastico cui gli affezionati leicisti si erano
armai abituati: l'amaro prezzo della perfezione, forse?



IL  MARCOMETRO



QUASI  70 ANNI  PER  PERFEZIONARE  UN PROGETTO....MA  A  MOLTI
IL   NUOVO  FINGERPRINT  - ASETTICO COME  IL DISINFETTANTE
OSPEDALIERO -  NON PIACE;  LOGICA  E  SENTIMENTO,  DA SEMPRE
DUE ASINTOTI.
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