LEITZ ELMARIT-M 21mm F/2,8
DEL 1980:
LA STORIA DEFINITIVA DEL CELEBRE 90°
LEICA-M
CON LA COMPLETA RICOSTRUZIONE FILOLOGICA
DELLE SUE
ORIGINI CONCETTUALI, DAL PRIMO PROGETTO
DI 21mm LEITZ DEL 1960 AL PROTOTIPO
C227 DA 25mm
PER APPRODARE
ALL'OTTICA AEROFOTOGRAFICA DI
MANDLER DESTINATA A GRANDI FORMATI DEL 1974,
IL VERO "PADRE" DELL'ELMARIT 21mm
ABSTRACT
I'm proud to share the ultimate history of the Leitz Elmarit-M
21mm f/2,8 with a complete
and unprecedented genealogy dating back to early '60s with some milestones like
the C227
25mm prototype or the special lens for aerial photography and large formats
projected by
Mandler himself in 1974, a lens that can be recognized as the true "biologic"
father of the
Elmarit-M 21mm; neat pictures, schemas and drawings, some of which drawed ad hoc
and
nevere released before, make this article really interesting for all Leica
enthusiasts: I enjoyed
for long time this pretty lens and this is a sort of gift for such a reliable
friend, able to deliver
stunning performances.
13/02/2008
Il Leitz Elmari-M 21mm f/2,8 è una vera pietra miliare del sistema Leica e
della fotografia in generale:
dopo oltre vent'anni di gloria condivisa con la celebre Casa Schneider di Bad
Kreuznach (madre dei
famosi Super-Amgulon 21mm), nel 1980 la Leitz volle affrancarsi da questo
imbarazzante tributo di
immagine, ed assieme alle numerose novità messe sul mercato (così a memoria
ricordo la R4 e svariate
sue ottiche R, fra le quali il 15mm, il nuovo 180/2,8, il rinnovato 250/4, il
Summiluux 80/1,4, il 350mm
ed il 500 catadiotrico by Minolta) presentò un nuovo 21mm in attacco M,
finalmente progettato in casa
e caratterizzato da una luminosità massima - molto elevata - di f/2,8, che gli
valse la denominazione di
Elmarit-M; l'obiettivo era stato progettato dal fisico Walter Mandler presso la
sede della Leitz Canada
di Midland (Ontario), dove contestualmente fu organizzata la sua produzione;
grazie alla sua compattezza,
luminosità ed elevatissima qualità ottica questo super-grandangolare incontrò
subito un notevole successo
commerciale e divenne ben presto uno dei sogni nel cassetto di ogni utente
Leica-M; dopo approfondite
ricerche e grazie all'opportuno incrocio di dati ho ricostruito una sorta di albero
genealogico di questo importante
progetto ottico, e come vedrete appare evidente che alla Leitz la gestazione
sorniona del 21mm fatto in
casa continuò praticamente per tutto il periodo di produzione dei precedenti
Super-Angulon....
foto "segnaletica" del mio Leitz Elmarit-M 21mm
f/2,8 personale: un affidabile
compagno di avventure che mi ha sempre fornito risultati molto brillanti;
incidentalmente,
il punto bianco (in realtà inciso nell'alluminio e smaltato) presente fra le
scritte "21" ed
"E 60" era presente nell'esemplare nuovo imballato, un piccolo difetto
di produzione
che non inficia certo la resa ottica ma che può irritare chi ha appena speso
una piccola
fortuna per acquistarlo...
L'Elmarit-M 21mm f/2,8 fu presentato col codice interno 11134 ed andò a
sostituire il Leitz
Super-Angulon 21mm f/3,4 (prodotto dal 1963 al 1980 col codice 11103 sia in
montatura
cromata che nera); a sua volta, il Super-angulon f/3,4 aveva pensionato il
precedente Leitz
Super-Angulon 21mm f/4, sempre progettato da Schneider, che era stato a listino
dal 1958
al 1963 in attacco a vite (codice SUOON, 1.462 esemplari prodotti) o a baionetta
M (codice
SUMOM - 11102, 5.292 pezzi realizzati), sempre e comunque in finitura cromata
lucida.
La grande tradizione Leica-M nella focale 21mm trova ovvie giustificazioni
pratiche: l'ampia
base telemetrica dei corpi M (la cui base di 69,5mm col mirino 0,72 porta ad una
misura
effettiva di 49,9mm) comporta un'accuratezza di messa a fuoco molto elevata ed
indipendente
dalla lunghezza focale, garantendo - specialmente con i grandangolari spinti -
una precisione nella
regolazione sconosciuta alle reflex; ulteriori vantaggi rispetto a queste
ultime sono rappresentati
dall'assenza di specchio (che permette di calcolare grandangolari più corretti
grazie al libero
arretramento delle lenti) e le minori vibrazioni allo scatto, che consentono di
utilizzare tempi
di posa inferiori e diaframmi più chiusi, con un incremento della resa ottica.
I due 21mm progettati da Schneider sono realmente dei
Super-Angulon miniaturizzati in scala;
si tratta di obiettivi molto contrastati e dotati di ridotta distorsione,
tuttavia la loro struttura
simmetrica e la ridottissima distanza retrofocale (che lascia funzionare
perfettamente la legge di
Lambert) comportavano una forte vignettatura, che nel primo f/4 risultava
francamente
inaccettabile, specialmente con il materiale invertibile dell'epoca (Kodachrome),
caratterizzato
da una latitudine di posa molto ridotta; incidentalmente, lo schema ottico del raro
21mm f/4
presenta lenti solo accoppiate a contatto ma non incollate, mentre -
curiosamente - il Super-
Angulon f/3,4 fu approntato anche in montatura Leicaflex, un obiettivo che
richiedeva (a causa
della struttura non retrofocus) il sollevamento dello specchio e l'impiego del
mirino esterno,
esattamente come per il 21mm Biogon Contarex
L'Elmarit 21mm f/2,8 fu inizialmente vestito in una montatura
cilindrica ed uniforme, senza
strombature e con attacco filtri da 49mm, metteva a fuoco in accoppiamento al
telemetro da
infinito a 0,7m (il Super-Angulon f/3,4 era graduato fino a 0,4m con messa a
fuoco a stima
sulle distanze minime), presentava un diaframma graduato da f/2,8 ad f/16 e
veniva fornito
con lo specifico paraluce a pressione 12537, mentre l'apposito mirino esterno
12008 per
la focale 21mm - curiosamente - doveva essere acquistato a parte (a caro
prezzo); a partire
dalla matricola 3.363.300 - forse per evitare vignettature meccaniche - la
montatura fu
riprogettata, assumendo l'aspetto dell'esemplare illustrato in questo articolo:
la parte anteriore
fu strombata verso l'esterno ed il passo filtri divenne un più conveniente E60,
il che richiese
anche la riprogettazione del paraluce, sempre a pressione ma ora denominato
12543; voglio
muovere una piccola critica al sistema di aggancio di questa generazione di
paraluci: il
sicurissimo sistema di fissaggio si avvale di quattro piccoli e taglienti pivots
metallici che vengono
sollevati dalla pressione dei due pulsanti contrapposti, permettendogli di
"scavalcare" la parte
anteriore del cannotto e di trovare posto nell'apposita sede (una scalfatura
circolare); in
realtà, la pressione sui pulsanti stessi deforma il paraluce plastico rendendo
difficoltoso
l'ingaggio ed il disimpegno dei pivot metallici, ed è facile danneggiare l'anodizzazione
dell'obiettivo con le loro punte aguzze... L'obiettivo è stato prodotto sempre in finitura
epossidica nera opaca e pesava solamente 290g (266g effettivi, 293g con i
tappi).
il "pacchetto" necessario per un corretto impiego
dell'Elmarit-M 21mm f/2,8 prevede il
paraluce 12543 (a corredo) ed il mirino 21mm 12008 (opzionale); questo mirino,
montato
in permanenza sul corpo macchina, impedisce la pressione sul pulsante di scatto
dei primi modelli
M6 (come quello illustrato) durante il trasporto nella borsa corredo, evitando un rapido quanto
involontario azzeramento delle batterie quando l'otturatore è armato.
l'Elmarit-M 21mm f/2,8 si armonizza bene con le proporzioni
del corpo M e garantisce
una eccellente brandeggiabilità; con i corpi M6 - M6 TTL - M7 la copertura
dell'esposimetro
TTL coincide grossomodo con un cerchio ideale che inscrive di misura i LED
presenti in
basso nell'inquadratura , arrivando quasi a lambire le cornicette della focale
28mm.
Il 21mm f/2,8 Elmarit-M su M6 panda, singolarmente e con
paraluce 12543; come si può notare,
il paraluce presenta delle asole sulla parte posteriore per consentire una
libera visione al mirino ed
alla finestra del telemetro: questo complesso costituisce una sorta di piccola,
agile ed efficacissima
"Super Wide" in miniatura il cui unico ma serissimo limite è
rappresentato dall'eccessiva semplicità
ed economia costruttiva del mirino: quest'accessorio (quantunque abbastanza costoso), oltre ad avere
una struttura interamente plastica - slitta compresa - che pone dubbi sul suo
allineamento, fornisce
un'immagine brillante e luminosa ma afflitta da una vistosa distorsione, ed
essendo privo di bolla
d'aria (Hologon docet) o di qualsivoglia presidio atto al riscontro geometrico
(bastava anche un
piccolo crocicchio a griglia serigrafato) rende virtualmente impossibile
un'accurata messa in bolla,
vanificando sovente gli sforzi del fotografo e mortificando le grandi
prestazioni ottiche; di questo
specifico problema parlai proprio con Ipse, il Leica Brand Manager italiano,
durante un colloquio
intercorso ad inizio anni '90: secondo la sua opinione il 21mm Elmarit era
sostanzialmente un obiettivo
da reportage gomito-a-gomito, dove la messa in bolla non è così importante;
naturalmente io no ero
- e non sono - d'accordo, dal momento che con un simile angolo di campo sono
sempre e comunque
inquadrate ampie sezioni di edifici sullo sfondo, il cui disallineamento - a mio
giudizio - rende l'immagine
così sgradevole da cestinarla.
Ho provato tutti i sistemi possibili: bolle incollate sul top
della M6, la bolla angolare Voigtlaender montata
sulla doppia staffa (inefficace, il fluido è troppo denso ed in verticale,
ovviamente, non funziona): alla fine,
dopo lungo esercizio e tante foto buttate, mi ero abituato a "sentire"
l'apparecchio in bolla direttamente in
mano, automatizzando la postura, e scattavo letteralmente ad occhi chiusi per
concentrarmi meglio... Ovviamente
sarebbe stato tutto più facile dotando il mirino di una bolla visibile
nell'inquadratura, come nel già citato Hologon
o nelle sovietiche Horizon, possibilmente doppia (sia per inquadrature
orizzontali che verticali): il mirino sarebbe
diventato una "chicca" degna del resto del sistema (e non l'oggetto
cheap che in effetti è) ed avrebbe permesso
foto d'architettura di prima qualità.
Prendendo un po' in giro l'esigenza ti utilizzare mirini
esterni, ho applicato a questa "povera"
M6 un arcimboldo che copre le focali comprese fra 15 a 135mm: non proprio il
massimo
per passare inosservati...
Questi dati provengono dalla pubblicazione "Leica M
lenses - their soul and secrets"
realizzata da Erwin Puts, Peter Karbe (celebre progettista Leica) e Leica
Camera;
questi diagrammi MTF misurati a 10, 20 e 40 l/mm ad f/2,8 ed f/5,6 nonchè le
misurazioni
della distorsione e della vignettatura sono relativi al Leitz Elmarit-M 21mm
f/2,8; come si
più notare il 21mm Elmarit presenta una "bolla" di circa 10 + 10mm di
raggio dall'asse
assolutamente eccellente a qualsiasi apertura, e specie ad f/2,8 ed alle distanze
di messa a
fuoco minima si ottengono immagini dallo stupefacente rendering 3D; chiudendo il
diaframma
ad f/5,6 (ma la resa - esperienza personale - resta brillante e senza visibili
diffrazioni fino ad f/11)
la qualità di riproduzione periferica aumenta e raggiunge valori tali da
garantire un'impressione di
nitidezza e brillantezza molto soddisfacente su tutto il campo, con colori
puliti e saturi ed una
resa molto ariosa; la distorsione massima è pari a circa 1,3%, praticamente
invisibile, e
consentirebbe riprese d'architettura magnifiche senza i già citati problemi di
messa in bolla;
infine, la vignettatura ad f/5,6 - 8 si attesta su circa 1 stop, un
comportamento certamente
accettabile e di gran lunga migliore di quello esibito dai precedenti
Super-Angulon; purtroppo,
nonostante l'antiriflessi avanzato e l'adozione di un paraluce dedicato, in certe
situazioni di
controluce compare un grosso e vistoso "fantasma" del diagramma
(ottagonale) sul campo
ripreso e del quale ci rendiamo conto solo a posteriori a causa del mirino
galileiano...
Come accennato, ho seguito a ritroso il filo d'Arianna che dall'Elmarit-M 21mm
f/2,8 del 1980
risale alle sue origini concettuali, trovando un'inaspettata continuità nel
corso di due decenni;
l'Elmarit costituiva un passo avanti epocale rispetto ai Super-Angulon perchè
passava da uno
schema simmetrico ad uno semi-retrofocus, mettendo a disposizione lo spazio
retrofocale
necessario al funzionamento dell'esposimetro sia sulla precedente ed abortita
Leica M5 sia sulla
futura (ma allora già ipotizzata ed attesa) Leica M6, mentre la generazione
Super-Angulon, a causa
del cannotto posteriore estremamente sporgente, impediva sia l'azionamento del
braccio mobile
davanti all'otturatore della M5 sia la lettura per riflessione del fotodiodo
montato sulla M6; questa
progettazione parzialmente retrofocale comportava qualche imbarazzo in più
nella correzione della
distorsione, ma consentiva anche di risolvere parzialmente il problema più
classico e fisiologico dei
modelli precedenti: la vignettatura.
Due viste posteriori del 21mm Elmarit-M: a destra è visibile
la camma in ottone per azionare il
telemetro, dotata di un complesso sistema di elicoidi che trasformava in
traslazione standard sul
perno del corpo M il ridottissimo spostamento effettivo richiesto dal nocciolo
ottico per passare
da infinito alle distanze minime; a sinistra si può notare il cannotto che
raccoglie le lenti posteriori:
rispetto ai Super-Angulon o al 28mm Elmarit del 1965 la sua sporgenza è
decisamente contenuta
(grazie al progetto semi-retrofocus) e ciò consentirà la piena funzionalità
sulla Leica M6 presentata
solo nel 1984 ma all'epoca - ovviamente - già in fase di studio; il cannotto
presenta un diametro
di poco inferiore alla camma telemetrica, e sostituendo rapidamente l'obiettivo
è facile urtare contro
la piccola rotella all'estremità del braccio mobile dei corpi M, come
confermato dai segni di usura
presenti nel mio esemplare.
Questo passaggio epocale da schemi simmetrici a retrofocus può indurre ad
immaginare una progettazione
di poco precedente al lancio, mentre invece l'Elmarit-M è un puro distillato
invecchiato a lungo, il cui gruppo
ottico definitivo è il punto di arrivo di un lungo ed articolato processo, le
cui tappe ho riassunto, per la prima
volta, in un quadro d'insieme ad ampio respiro.
In questo inedito schema ho indicato con la freccia di colore
blu una sorta di "cromosoma" identificatore
che collega vari progetti presentati nel corso di vent'anni; come già descritto
in un precedente pezzo, le
origini dell'Elmarit-M 21mm f/2,8 del 1980 vanno ricercate nel progetto di
Zimmermann, Marquandt,
Desch e Hermanni del 1960 che sta alla base del primo Elmarit-M 28mm del 1965:
il progetto includeva
già una opzione da 90° (21mm) f/2,8 il cui caratteristico gruppo posteriore è
analogo a quello del futuro
Elmarit; nel 1968 il fisico Walter Mandler della Leitz Canada, assieme ai
colleghi Edwards e Wagner, presentò
un ulteriore progetto globale che conteneva gli schemi di alcuni grandangolari
derivati dal concetto originale di
Zimmermann e modificati per ottenere uno spazio retrofocale superiore, sia per
ridurre la vignettatura sia per
garantire lo spazio di lavoro necessario al futuro corpo M5, evidentemente già
in fase di pianificazione; in questo
progetto troviamo, fra gli altri, gli schemi per un 74° f/2,8 che sfocerà in
produzione nel 1972 come Elmarit-M
28mm f/2,8 2° tipo, destinato alla Leica M5, e per un 25mm (80°) f/2,8 il cui
schema, col codice C227, verrà
inserito in un prototipo Leitz da 25mm f/2,8 realizzato in esemplare unico per
prove valutative; nel progetto sono
anche presenti due modelli f/3,4 da 90° (21mm) e 100° (18mm); una opzione da
90° e luminosità portata ad
f/2,8 sarà evoluta dagli stessi Mandler, Edwards e Wagner nel 1970, con
l'obiettivo di portare ad un miglior
livello base di correzione il precedente progetto semi-retrofocus; tutte queste
opzioni presentano il tipico gruppo
posteriore presente nel primo modello del 1960, a riprova di un filo conduttore
ininterrotto. Il successivo approccio
che configura il "padre" biologico dell'Elmarit-M è costituito da un
obiettivo aero-fotografico progettato da
Mandler nel 1974 e destinato a lastre di grande formato: alla ricerca di una
migliore correzione di vignettatura e
distorsione il precedente modello fu implementato con due menischi collati posti
anteriormente al diaframma,
pur mantenendo l'impronta di famiglia nel gruppo posteriore; da quest'obiettivo,
calcolato in tre varianti fra le
quali un 92° f/2,8, derivò direttamente l'Elmarit-M del 1980, nel cui schema
l'evoluzione più evidente consiste
nella sostituzione del doppietto collato accanto al diaframma con una lente
singola: come potete vedere si è
trattato di un approccio lungo, lento e meditato che ha portato ad un vero
capolavoro.
Gli schemi ottici delle tre opzioni presenti nel progetto di
Walter Mandler - datato Maggio 1974 -
per un obiettivo da aero-fotografia, in grado di coprire formati ben superiori
rispetto al classico
fotogramma Leica: si tratta di tre ottiche con la stessa lunghezza focale: due
da 92° con luminosità
f/2,8 ed f/4 e diametro del cerchio di copertura pari a 206mm, ed un modello da
97° ad f/3,4 e
cerchio di copertura da 226mm; proprio dallo schema del 92° f/2,8 Mandler
deriverà l'Elmarit-M
21mm f/2,8 del 1980.
(ringrazio calorosamente l'amico Vicent Cabo per aver disegnato
appositamente gli inediti schemi base di questi obiettivi)
Lo schema del "Mandler" per aerofotografia da 92° f/2,8 del 1974
abbinato a quello
del 21mm f/2,8 Elmarit-M di produzione: per derivare l'obiettivo Leica dal
grosso
modello aero-fotografico, Walter Mandler unificò il doppietto collato davanti
al
diaframma rivedendo raggi e spessori, mantenendo però intatta la fisionomia di
partenza, con speciale riguardo al gruppo posteriore, autentico leit motiv di
tutta
la saga dei 90° Leica articolatasi nel corso di due decenni.
Lo schema definitivo semi-retrofocus dell'Elmarit-M, un
obiettivo luminoso, nitido, brillante
e dotato di distorsione ridottissima e vignettatura gestibile; il famoso gruppo
ottico posteriore
al diaframma sarà mantenuto, con le modifiche del caso (comprese le superfici
asferiche), anche
in famosi progetti successivi, come il 21mm f/2,8 Elmarit Asph.
Il 21mm f/2,8 Elmarit-M del 1980 è stato a gran plebiscito uno degli obiettivi
Leica-M
più riusciti nonchè il primo superwide M a schema parzialmente retrofocus; è
un'ottica
compatibile con tutti i modelli a baionetta ed anche se il successivo Elmarit
Asph. presenta
ad f/2,8 un flare comatico pressochè impercettibile ed una riproduzione
superiore sul campo,
molti conoisseur riconoscono al vecchio Elmarit del 1980 doti tridimensionali
alle brevi distanze
sconosciute alla versione più recente, forse grazie anche all'effetto della
vistosa curvatura di
campo che in questo caso rema a favore; il lungo e sofferto avvicinamento alla
configurazione
definitiva di produzione (in pratica 20 anni) mostra l'evidente tensione fra i
progettisti, immersi
nell'ideale, ed i responsabili del marketing, aggrappati ai piccoli numeri del
21 Super-Angulon
che non giustificavano l'impegno della produzione diretta: tutto questo ha
portato ad un lungo
e quasi estenuante labor limae volto a favore dell'eccellenza, ed il 21mm f/2,8
del 1980 è nato
adulto, frutto di una placida stagionatura scandita da varie tappe che ha dato
vita ad uno degli
obiettivi più amati e celebrati del sistema.
MARCOMETER
BELLISSIMO OBIETTIVO NATO DA UNA
GESTAZIONE
INFINITA: SAREBBE QUASI PERFETTO SE NON
FOSSE
PER QUELL'OCCHIO DA CICLOPE SUL TETTUCCIO
ASSOLUTAMENTE INCAPACE DI TENERE IN SQUADRO
UNA RIPRODUZIONE CHE ALL'EPOCA RASENTAVA
LA PERFEZIONE; E' SICURAMENTE UNO DEI
MIGLIORI
ACQUISTI DI MODERNARIATO POSSIBILI
In confidenza: un po' di umorismo, ma che resti fra noi...
Quando acquistai il mio Elmarit-M 21mm f/2,8, poteva essere il 1993, mi assentai
dal mio negozio
e volai in autostrada dal negoziante che me ne aveva confermata la
disponibilità; fra un convenevole
e l'altro si era fatto tardi e dovevo rientrare in tutta fretta: avvicinandomi
al casello autostradale un
grosso autocarro procedeva in modo molto placido, mentre io ringhiavo ad un
centimetro dalla sua
targa prendendo atto del ritardo: non appena l'autista dell'autocarro prelevò
il biglietto autostradale
io lo superai col motore che ruggiva e mi fiondai in autostrada, masticando
malumore; dopo alcuni
(SVARIATI) chilometri volsi lo sguardo nell'abitacolo e mi accorsi che -
tutto preso dalla foga
di superare l'autocarro appena uscito dal casello - NON AVEVO RITIRATO IL
TAGLIANDO
PER PAGARE IL PEDAGGIO ALL'USCITA, ma ero riuscito a passare ugualmente grazie
al fatto
che tallonavo il pesante automezzo... Passò ancora qualche chilometro prima che
trovassi una piazzola
di sosta oltre al corsia d'emergenza, dove mestamente parcheggiai l'auto, presi
il sacchetto col 21mm
per non abbandonarlo a bordo e mi incamminai a ritroso, sfiorato dai TIR che
nella foschia padana
quasi non mi vedevano, e percorsi a piedi il lungo tratto che mi separava dal
casello di provenienza;
giunto sul posto sudato e con i piedi doloranti mi resi conto che non era finita
lì: il distributore manuale
di tagliandi non funziona senza che il peso di un'automobile in transito abbia
fatto preventivamente
scattare il sensore di passo, ed ebbi un comprensibile istante di scoramento...
Potevo certamente
chiedere ad un addetto che mi venisse stampato un tagliando manualmente, ma
avrebbe potuto
obiettare che provenissi da lontano e cercassi di frodare sulla percorrenza
effettiva! Fortunatamente
c'era un'auto parcheggiata qualche decina di metri dopo la sbarra, in direzione
della corsia di
ingresso: bussai dal casellante e raccontai che quella era la mia auto, e che
per una distrazione
momentanea ero entrato senza prendere il biglietto, parcheggiando subito dopo...
L'addetto
non fece obiezioni e finalmente avevo il mio tagliando autostradale, dovevo
semplicemente...
sciropparmi nuovamente i chilometri a piedi (sempre con Elmarit 21 in mano) che
mi separavano
dall'automobile in sosta; quando, ormai stremato, ero a poche centinaia di metri
dall'auto,
sentii alle mie spalle il rombo di un motore in scalata e fui affiancato da due
solerti agenti della
Polizia stradale che mi domandarono gentilmente se mi servisse aiuto; con un
filo di fiato
ringraziai, descrivendo la peripezia ed indicando la mia auto a breve
distanza... Sospetto
che stiano ridendo a crepapelle ancora adesso! Morale della favola: credo che
tutto questo
sia stata una punizione ed un monito del destino contro la mia surrettizia
"fuitina", per castigarmi
dell'acquisto appena perpetrato all'oscuro dell'amata consorte; in ogni caso,
viste le prestazioni
dell'obiettivo, ne è valsa la pena. PS: non raccontatelo a nessuno, ok? :-))
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