CANON FD 35-70mm
f/4 AUTOFOCUS DEL 1981:
LE PRIME AVVISAGLIE DELLA RIVOLUZIONE
ABSTRACT
In mid-1981 was delivered the Canon FD 35-70mm f/4 Autofocus lens, a really
advanced hardware featuring a built-in autofocus fuction, with CCD rangefinder,
AF motor and batteries; this rewardable piece of work focused between 0,94m
and infinite on all Canon cameras equipped with FD bayonet mount, backdating to
early-70's FT-QL and FTb models, because it's huge white plastic box
incorporated
all the devices it needed to reach the correct focus setting; the lens was based
on the
optical shell of the previous Canon FD 35-70mm f/4 manual focus, deliveder two
years
earlier, a budget-saving formula intended at first for cheap, mass diffusion
standard
lenses, but the final price of the AF version was boosted to twice by the
complex
AF structure, and it was far too expensive for entry-level user, so it's
diffusion was
really mild; now it's a rare collectible item and stands as a landmark in the
transition
between traditional technologies, based upon mechanical functions, and the
actual
stuffs, driven by electronics.
25/11/2008
"Io chi sono?"
La classica, angosciosa domanda di chi prende coscienza di una crisi di
identità potrebbe
tranquillamente essere ascritta, in un contesto ludico dove gli oggetti sono
pensanti ed
antropomorfi, proprio allo strano obiettivo oggetto di questa narrazione, così
diverso dai
suoi simili da assimilarlo ad un brutto anatroccolo, un'aberrazione sistematica
della serie,
qualcosa da guardare con stupore, da temere, financo da isolare come un reietto...
In realtà, come sovente accade con i frutti di una rapida mutazione
genetica, il Canon FD
35-70mm f/4 Autofocus del Maggio 1981 portava in dote i cromosomi vincenti ed
innovativi
che negli anni a venire avrebbero radicalmente modificato le sembianze e le
funzionalità dei
sistemi a cui apparteneva, era come il tuono lontano che preannuncia la grande
tempesta,
i mutamenti radicali che non ammettono ripensamenti e dai quali non c'è
ritorno: era ormai
chiaro, come un mantra di fondo o un acuto profumo nell'aria, che i sistemi
fotografici
d'avanguardia sarebbero sfociati nella messa a fuoco automatica, seguendo
l'esempio delle
moderne telecamere; la promessa che aleggiava dovette però scontrarsi con
restrizioni e
problematiche non indifferenti, dai costi finali alla miniaturizzazione, dalla
velocità operativa
del sistema alla sua risposta alle basse luci, dagli attriti meccanici delle
ottiche alla complessa
integrazione del sistema nei corpi macchina.
Si è dunque trattato di una transizione nè semplice nè indolore, costellata
di vicoli ciechi, passi
falsi, balzi più lunghi della gamba ed annose contese legali (vedi la querelle
intentata dall'azienda
Honeywell per difendere i diritti sul sistema Visitronic a comparazione
elettronica di contrasto);
dal primo, ingenuo e goffo prototipo Nikkor 80mm f/4,5 AF del 1971 fino ai veri
sistemi autofocus
propriamente detti, ormai indirizzati verso la tecnologia matura,
passarono circa tre lustri, anni
di quiete apparente e lavoro febbrile sotto la cenere; in questo interregno
furono ben pochi i
fabbricanti animati da genuino coraggio che scelsero l'outing, lanciando sul
mercato modelli
"ibridi", steps intermedi e non ancora allo stato dell'arte, e pur
tuttavia storicamente molto
importanti quali pietre miliari che tracciano la rotta per uscire
dall'adolescenza tecnologica
del settore ed approdare ai perfezionati sistemi del giorno d'oggi, in grado di
autentiche meraviglie.
Così, in punta di dita, non furono più di otto gli obiettivi che, all'inizio
degli anni '80, si fregiarono
dell'impegnativo epiteto "Autofocus", sei dei quali richiedevano però
un certo grado di "collaborazione"
ed integrazione con uno specifico corpo macchina, mentre il gioiello Canon
oggetto del nostro
interesse incorporava nel suo "mostruoso" esoscheletro in plastica
color avorio tutto il necessario
per misurare la distanza e focheggiare automaticamente l'obiettivo sul soggetto:
telemetro a riscontro
elettronico, motore e batterie; tanto per intenderci, questo zoom può mettere a
fuoco persino con i
tappi protettivi in posizione, senza alcun corpo macchina applicato!
Questo ristrettissimo gotha di obiettivi comprendeva:
AF-Nikkor 80mm f/2,8 e AF-NIkkor
200mm f/3,5 IF-ED per Nikon F3AF
SMC Pentax AF 35-70mm f/2,8 per Pentax ME-F
Olympus Zuiko AF 35-70mm f/4 per Olympus OM-30
Chinon AF 50mm f/1,7 in attacco K per Chinon CE-5
Chinon AF 35-70mm f/3,5-4,5 in attacco K per Chinon
CE-5
Ricoh AF-Rikenon 50mm f/2 in
attacco K (funzionamento indipendente)
Canon FD 35-70mm f/4 AF in attacco FD
(funzionamento indipendente)
All'atto pratico, solamente il Ricoh AF-Rikenon 50mm f/2 ed il
Canon FD 35-70mm f/4 disponevano di tutti
i moduli necessari alla funzionalità AF, ed erano in grado di garantire la
messa a fuoco automatica su qualsiasi
corpo dotato del medesimo innesto (baionetta Pentax K per il Ricoh e baionetta
Canon FD per il Canon), mentre
i due Nikkor vivevano unicamente sullo specifico corpo F3AF, il 35-70mm Zuiko
acquisiva piena funzionalità
sulla Olympus OM-30, il Pentax SMC AF 35-70mm f/2,8 incorporava motore e
batterie ma i moduli autofocus
erano inseriti nell'indispensabile corpo Pentax ME-F ed i due obiettivi Chinon
erano visti in funzione dell'impiego
sul corpo Chinon CE-5, che comandava l'attivazione autofocus dal pulsante di
scatto (come i modelli attuali) e
funzionava a priorità di fuoco (impedendo lo scatto dell'otturatore prima della
conferma elettronica di fuoco esatto).
Il modello Ricoh, teoricamente molto appetibile in quanto di
focale normale e con innesto "universale" a
baionetta K, fece una timida apparizione sulla ribalta e scomparve nel nulla; le
ragioni di questo fulmineo
pensionamento non sono note, ma potrei ipotizzare i costi relativi alla
concessione del sistema Honeywell Visitronic,
sul quale ufficialmente si basava, forse incompatibili con quelli di un comune
50mm f/2.
Un'immagine d'epoca ricavata da una brochure promozionale
Ricoh con l'AF-Rikenon 50mm f/2
montato sull'interessante fotocamera XR6; grazie al diffuso innesto K sarebbe
stato un obiettivo
appetibile per molti fotografi ma la sua diffusione fu pressochè nulla.
Archiviando il noioso intermezzo storico, possiamo argomentare
che l'unico obiettivo autofocus della prima
ora completamente svincolato dalla simbiosi con specifici corpi macchina e
quantomeno giunto alla produzione
di serie (per quanto limitatissima) è proprio il Canon FD 35-70mm f/4 AF
discusso in questa sede, e pur utilizzando
due finestre telemetriche anteriori come il Ricoh basato sul Visitroic, questo
zoom si avvaleva di una tecnologia AF
proprietaria, sviluppata dalla stessa Canon e definita SST (Solid State
Triangulation); in parole povere, questo sistema
si basa su una triangolazione telemetrica non dissimile da quella ben nota agli
utenti Leica M; l'elemento sensibile è
costituito da una matrice di CCD disposti in linea, e nel caso di messa a fuoco
errata, l'immagine sdoppiata proiettata
dagli specchi del telemetro illumina due elementi CCD differenti; a questo punto
l'unità centrale attiva il motore AF,
che modifica progressivamente la distanza impostata sull'obiettivo, e
simultaneamente le due immagini rimandate
dal telemetro illuminano elementi CCD sempre più vicini, finchè - al
raggiungimento della messa a fuoco corretta -
entrambe le immagini sdoppiate si sovrappongono sullo stesso elemento
fotosensibile, informando il sistema
dell'avvenuta messa a fuoco; a questo punto il motore si arresta e l'operazione
è terminata.
Si tratta quindi di un pezzo davvero interessante, e per fortunata coincidenza
ho appena aggiunto al mio
corredo un bell'esemplare, che ci permetterà di analizzare nel dettaglio la sua
struttura.
La "grafica ufficiale" dell'obiettivo, per il quale
è stato appositamente coniato anche un logo, costituito
da una sagoma romboidale che richiama le classiche finestre telemetriche,
replicata in prospettiva per
evocare le proiezioni sulla sequenza di CCD; la sigla CAFS è probabilmente
l'acronimo di Canon
Auto Focus System
Questa serie di immagini permette un primo approccio con
questo speciale obiettivo, sulla cui struttura
basilare è stato modellato un guscio di materiale sintetico termoplastico con
finitura stampata martellata
e colore bianco avorio, com'era (ed è) consueto negli obiettivi Canon più
particolari e professionali; il
logo del sistema CAFS e la scritta cubitale autofocus troneggiano in prima
pagina, nell'interasse delle
due finestre telemetriche su campo nero, mentre i dati di targa dell'obiettivo
sono riportati a serigrafia
sul lato destro dello scafo; il profilo asimmetrico del lato sinistro è stato
così modellato per contenere
le due batterie di alimentazione (tipo LR6 - AA da 1,5v, comunissime), mentre
sul suo sbalzo superiore
è presente uno switch di colore nero che attiva il sistema autofocus. Il
filetto arancione fuorescente che
incornicia la lente anteriore strizza l'occhio ai Canon serie L e sottolinea
l'esclusività della realizzazione;
l'obiettivo pesa circa 610g e misura 99,5mm di lunghezza per 85 di larghezza
(misurata sullo scafo del
modulo aggiuntivo), ha un anello filettato solidale alla meccanica flottante
della lente anteriore con passo
da 52x0,75mm ed un diaframma a sei lamelle che chiude da f/4 ad f/22; la
baionetta posteriore è
assolutamente standard, garantendo la piena compatibilità con tutti i corpi in
attacco FD prodotti nel
tempo.
La Canon T-90, autentico concentrato di tecnologia e funzioni
vestito da Luigi Colani
con forme sinuose che daranno vita e connoteranno l'estetica peculiare di
tutto il sistema EOS,
fu il canto del cigno dei corpi macchina manual focus in attacco FD, ed era
dotata di funzioni
estremamente avanzate per l'epoca: otturatore ad 1/4000" con syncro-flash
ad 1/250", esposizione
spot, semi-spot e a matrice, sistema di letture multiple con media automatica
calibrata su luci od
ombre, esposizione a varie priorità e con diversi programmi, motore incorporato
da 4,5 ftg/sec, etc.;
col flash dedicato 300TL (visibile in foto) l'apparecchio replicava praticamente
tutte le funzioni
aggiuntive dei successivi corpi EOS di alta gamma, come il TTL flash, la
sincronizzazione sulla
seconda tendina, il sistema FEL per il monitoraggio TTL del soggetto col flash
su area spot, il
program flash completamente automatico; in sintesi, l'unico dettaglio che
relegava nella sua era questo
apparecchio avveniristico consisteva proprio nell'assenza dell'autofocus...
Applicando il Canon FD
35-70mm f/4 AF - nato cinque anni prima - la metamorfosi è completa, e la
T-90 diviene una
macchina senza tempo, perennemente attuale e non più sfiorata dalle
problematiche mortali.
Il classico corredo "tutto-zoom" del sistema FD per
il fotografo smaliziato:
FD 20-35mm f/3,5 L, FD 35-70mm f/2,8-3,5 ed FD 80-200mm f/4 L.
All'epoca era un corredo da sogno, col primo zoom a doppiare le colonne
d'Ercole a quota 20mm (con lente asferica e lente UD), uno zoom 35-70
luminoso, nitido e dotato di posizione macro ed uno zoom 80-200 molto
compatto che - grazie alle lenti in Fluorite e vetro UD - garantiva alle
immagini
nitidezza ed ariosità cristalline; in questo mènage à trois lo zoom 35-70mm
f/4 AF
poteva costituire un intrigante alternativa al classico 35-70mm f/2,8-3,5,
supplendo
con la versatilità d'uso al leggero deficit prestazionale.
I due 35-70mm Canon FD d'alta gamma: la versione f/2,8-3,5 si
basa su un'analoga architettura
a due soli gruppi mobili, articolata però su dieci lenti anzichè otto, e
nonostante la progettazione
più datata (1973 contro 1977) vanta ottime doti di definizione, mentre il
35-70mm f/4 è nato
con ambizioni più amatoriali ma la trasformazione in autofocus lo rendeva
estremamente interessante.
Un dettaglio delle due finestre telemetriche per l'autofocus,
dotate di base adeguata;
il vero limite di questi sistemi non-TTL sta nell'impossibilità di
"mirare" con precisione
il punto da focheggiare, per cui resta un margine di incertezza sulla zona
effettivamente
misurata.
La variazione di focale è assicurata da un piccolo pomello in
gomma morbida
che scorre in un'asola incassata nella parte inferiore del barilotto; sono
indicate
le focali estreme e quella intermedia da 50mm.
I dati di targa serigrafati sul lato sinistro dello scafo ausiliario.
Sul pannello posteriore dell'obiettivo, in posizione ben
visibile ed accessibile, è presente
l'interruttore che inserisce o esclude il segnale acustico di avvenuta messa a
fuoco, mentre
un pulsantino rosso e relativa lampadina verde permettono di verificare le
condizioni di
carica delle due batterie AA necessarie per l'alimentazione.
Se le batterie sono in buono stato, premendo il pulsantino
rosso
la lampadina verde di riscontro si accende.
Lo switch che attiva l'autofocus; interrompendo la pressione
una molla
antagonista riporta il pulsante nella posizione iniziale, interrompendo
l'alimentazione; l'autofocus si arresta automaticamente una volta che
sia stata raggiunta la messa a fuoco, indipendentemente dalla pressione
esercitata su questo comando.
Nonostante la struttura pseudo-cubica che suggerirebbe
idealmente una posizione di
esercizio verticale, con i lati paralleli o perpendicolari al terreno, il punto
di fede della
baionetta non si trova come di consueto ad ore 12, ma sensibilmente spostato sul
lato
destro dell'obiettivo (è il trattino di colore arancione indicato dalla
freccia); pertanto,
applicando l'obiettivo ad un corpo macchina, tutto lo chassis risulta ruotato di
circa 45°
su un fianco; questa caratteristica non compromette la funzionalità del
sistema, e sia il
pomello per la variazione di focale sia lo switch che attiva l'autofocus
"cadono" in mano
in maniera ergonomica, tuttavia la soluzione può lasciare perplessi dal punto
di vista
estetico, dal momento che - osservando il complesso - si ha sempre l'impressione
di
qualcosa di "scorretto" o "sbagliato"... Probabilmente la
scelta è dovuta al fatto che la
sezione frontale, occupata dalla lente frontale e dalle finestre del telemetro
col logo AF
in bella evidenza, è totalmente anonima, cioè non riporta il nome del Brand di
appartenenza,
una situazione "imbarazzante" per un fiore all'occhiello della
tecnologia Canon... Questa
posizione coricata, con l'ingombrante scatola reclinata su un fianco, serviva
probabilmente
a "sgombrare la visuale", mettendo direttamente in bella vista il
marchio Canon presente
sul pentaprisma del corpo macchina! Lo sblocco incassato di colore bianco
visibile sul
lato destro fra la ghiera del diaframma e l'interruttore del segnale acustico
consente di
svincolare il contenitore delle batterie per l'estrazione.
Per limitazioni proprie alla parallasse del telemetro elettronico,
il sistema autofocus
regolava l'obiettivo in un range compreso fra infinito e 0,94m; per migliorare
la
versatilità, i progettisti hanno previsto una sottile ghiera di messa a fuoco
manuale,
situata all'estremità anteriore dell'obiettivo e servita da piccole prese di
forza a
sbalzo, allungando contestualmente la corsa dell'elicoide fino a 0,50m; qualora
fosse stato necessario lavorare in questo ambito si focheggiava manualmente
sfruttando come di consueto il vetro di messa a fuoco dell'apparecchio.
In realtà quest'operazione è tutt'altro che agevole, perchè la ghiera di
messa a fuoco
è molto sottile e sporge appena dalla montatura esterna, rendendo difficile la
presa;
inoltre non esiste alcun sistema per mettere a frizione il dispositivo AF,
quindi la
ghiera di messa a fuoco manuale deve trascinare il motore e la cascata di
ingranaggi
ed è particolarmente dura da azionare... Naturalmente nulla vieta di
focheggiare
manualmente anche alle distanze agibili per l'autofocus, magari per avere la
certezza di mettere a fuoco uno specifico dettaglio o nel caso in cui
l'autofocus
incontri un soggetto "difficile" (riflessi speculari, pattern
geometrici ripetitivi) o
sia inservibile a causa delle batterie scariche, ma l'operazione è sicuramente
poco pratica.
Il contenitore delle due batterie LR6 va inserito nello sbalzo
presente sul lato
sinistro dell'obiettivo e può essere disimpegnato per l'estrazione grazie allo
sblocco descritto in precedenza; il vano batterie costituisce uno dei punti
deboli
della struttura: il pannello posteriore presenta quattro sottili prigionieri in
plastica
(fusi assieme al pannello stesso) che in fase di montaggio entrano in appositi
fori
ricavati nella contattiera in fondo al pozzetto; successivamente questi
prigionieri
sporgenti vengono fusi a caldo, realizzando delle "teste di chiodo"
che ancorano i
prigionieri stessi ( e quindi il pannello posteriore) alla struttura; si tratta
di un fissaggio
poco resistente e col tempo, a causa della pressione delle batterie o di
involontarie
trazioni esercitate sul bordo esterno del pannello, è facile che le "teste
di chiodo"
saltino via, svincolando parzialmente il pannello al punto che la pressione
delle batterie
lo fa arretrare fino a perdere il contatto elettrico, obbligando a focheggiare
mentre
si tiene premuto il pannello contro lo scafo con un dito. Descrivo il difetto in
modo
così articolato perchè... anche il mio esemplare ne soffre!
L'apposito bussolotto appositamente realizzato per il Canon FD
35-70mm f/4 AF è caratterizzato da una insolita sagomatura
asimmetrica, necessaria per accogliere il modulo AF.
La targhetta applicata sul coperchio conferma la
"paternità"
di questa particolare custodia.
Dal punto di vista ottico, il Canon FD 35-70mm f/4 AF replica
il modulo di lenti presentato
due anni prima, nel Giugno 1979, con l'analogo zoom in montatura convenzionale,
un obiettivo
realizzato per fidelizzare vasti mercati di massa e concepito in modo da
minimizzare gli ingombri
(l'FD 35-70mm f/2,8-3,5 è piuttosto "esuberante" in lunghezza) e ridurre i costi
di produzione;
il padre di questo schema ottico fu il famoso Keiji Ikemori, uno dei progettisti
di punta della
Canon, che dopo due o tre anni avrebbe dato i natali allo schema del Canon FD
50mm f/1,2 L,
uno dei normali più corretti di tutti i tempi; Ikemori-San da Yokohama, a metà
anni '70, ricevette
dal management Canon l'incarico di progettare un 35-70mm più semplice, compatto
ed economico
rispetto a quello in produzione, acclamato dagli utenti ma sovradimensionato e
troppo costoso per
attirare i grandi numeri del mercato entry-level; Ikemori si preoccupò di
mantenere un adeguato
standard qualitativo pur confermando nella discussione del progetto i punti
fermi indicati dal management,
come si può dedurre da questo estratto dal brevetto americano.
In pratica, i principi informatori del progetto furono il
mantenimento di un'elevata qualità
d'immagine, secondo l'ormai consolidato standard FD, perseguendo comunque la
compattezza (riducendo il numero di lenti e la lunghezza del barilotto), la
leggerezza
(riducendo il numero dei pesanti elementi anteriori di ampio diametro) e
l'economia
di scala (evitando costosi vetri alle terre rare); il progetto fu ultimato
nell'Aprile del 1977
ed il primo obiettivo ad avvalersi del nuovo calcolo fu il già citato FD
35-70mm f/4
convenzionale, lanciato nel Giugno 1979 e che grazie ad una montatura semplice
ed
economica veniva posto in vendita al prezzo non impossibile di 45.000 Yen; due
anni
dopo, nel Maggio 1981, vide la luce la versione AF, dotata dell'identico
nocciolo ottico
dell'economico zoom standard ma proposta ad un prezzo quasi doppio, 89.500 Yen,
all'incirca il listino dell'FD 50mm f/1,2 L asferico, un ordine di valori
decisamente differente
che allontanava le grandi folle dell'utenza di base, ma d'altro canto il
semplice schema
ottico creava qualche perplessità nel professionista abituato a spremere il
massimo dalle
sue lenti Canon; questa discrasia riassume tutta la "tragedia" di
quest'obiettivo e del suo
"io" indeterminato, ed il risultato fu che ben pochi esemplari
finirono effettivamente
in mano ai fortunati utenti: dal codice di produzione risulta che il mio
esemplare fu
costruito nel Giugno 1981, un mese dopo la presentazione, il che mi fa supporre
che
sia stato realizzato un primo lotto di esemplari (che coprì le vendite nel
primo periodo
di distribuzione) senza replicare ulteriormente.
Lo schema ottico, improntato alla semplicità, si basava su
otto lenti divise in due gruppi
principali: l'anteriore composto da tre elementi ed il posteriore da cinque (in
ossequio
all'economia di produzione non sono previsti elementi collati); passando da 35 a
70mm,
come di consueto, i due moduli si avvicinano fino quasi a toccarsi, ed in questo
contesto
Ikemori ha fatto uno strappo all'impostazione improntata al risparmio,
prevedendo per
il modulo anteriore un flottaggio non lineare: in sostanza, da 35mm a circa 60mm
i due
moduli attuano un flottaggio su vettori opposti, avvicinandosi reciprocamente;
raggiunta
la focale di circa 60mm, il modulo anteriore si ferma ed inverte la direzione
del suo movimento,
in modo tale che nell'ultimo scampolo di variazione di focale entrambi i moduli
si muovono
verso la parte anteriore dell'obiettivo.
Lo schema ottico progettato da Ikemori-San evidenzia una
consistente economia in scala
messa in atto grazie ad una intelligente scelta dei vetri, senza per questo
pregiudicare
la qualità d'immagine finale: l'obiettivo è stato realizzato utilizzando vetri
short Krown e
short Flint di "vecchia scuola", alcuni dei quali già utilizzati in
obiettivi d'anteguerra; un
ulteriore risparmio venne garantito dalla riduzione delle varietà di vetri
necessari, realizzando
gli elementi L1 ed L2 con lo stesso materiale così come gli elementi L4 - L5 -
L6, ottenendo
così 5 elementi con 2 sole varietà di vetro; la focale effettiva dello zoom
passa da 36mm a
68,5mm con apertura costante f/4. Lo spazio d'aria d1 che separa i due moduli
passa da
circa 85/100 della focale su 36mm a poco più di 1/100 a 68,5mm, anche se il
valore in se
non descrive completamente i cinematismi corrispondenti (come detto, a fine
corsa il modulo
anteriore smette di arretrare ed inverte il senso del movimento, assecondando la
corsa di
quello posteriore).
Keiji Ikemori calcolò tre prototipi diversi, due dei quali
con apertura f/4 mentre
il terzo si limita ad f/4,5 (forse inseguendo un'ulteriore compattezza o costi
inferiori);
il prototipo n° 1, quello preferenziale, entrò poi in produzione.
Le aberrazioni previste sui tre modelli; la versione di
produzione presenta una correzione
soddisfacente, dove l'astigmatismo viene corretto accettando una certa quota di
curvatura
di campo, mentre la distorsione è visibile alla focale minima ma perfettamente
corretta a 50
e 70mm.
Le prove di risolvenza eseguite negli anni '80 dalla defunta
rivista fotografica "Il Fotografo" - Mondadori
(linea intera = asse; linea e punti = 1/3 di campo; linea tratteggiata lunga =
2/3 di campo; linea tratteggiata
breve = bordi); la resa è omogenea, con una netta sovracorrezione dell'asse
fino ad f/11 e valori in linea
con quelli degli zoom di classe medio-alta ma certamente interiori a quelli
delle focali fisse blasonate.
L'eredità di questa "opera prima" fu raccolta nel
1985 dall'innovativa gamma di corpi Canon "T" col modello T-80,
un apparecchio destinato ad un pubblico alle prime armi ma desideroso di avere
un esatto controllo dell'inquadratura
e della messa a fuoco rispetto alle compatte; il tentativo di indirizzare il
vasto pubblico all'autofocus, parzialmente
fallito con l'FD 35-70mm f/4 AF a causa del suo costo elevato, fu replicato
facendo tesoro di questa esperienza, e
fu ulteriormente abbattuto il costo di produzione degli obiettivi AF inserendo
finalmente i moduli autofocus nel corpo
macchina; questo ha permesso di progettare un'essenziale gamma di ottiche,
definite AC (Autofocus Canon?), costituite
da un 35-70mm f/3,5-4,5, un 50mm f/1,8 ed un 70-210mm f/4,5; la loro struttura
era simile a quella del precedente
FD AF, ivi compreso l'esoscheletro sagomato per contenere motore e batterie, ma
poteva contare su una maggiore
compattezza grazie all'assenza del telemetro elettronico, trasferito nel corpo
macchina: in questo modo non era più
necessario dotare ogni singolo obiettivo dell'intero modulo autofocus,
tracciando la via maestra per gli autofocus attuali;
un ulteriore affinamento introdotto consiste nella possibilità di selezionare
la messa a fuoco in modalità singola o ad
inseguimento continuo, ed è prevista anche l'opzione che riduce il range di
messa a fuoco attiva, rendendo l'autofocus
più veloce; queste funzioni supplementari venivano selezionate direttamente sugli
obiettivi AC grazie ad appositi switch
di grandi dimensioni; l'interfaccia elettrica col corpo macchina avveniva nella baionetta di attacco FD, dotata
di sei contatti posti ad ore nove (osservando l'apparecchio frontalmente)
all'interno della baionetta, a sinistra del
mirabox.
Questo schema, ispirato da quello presente ne "Il libro
Canon" di Bruno Palazzi, Cesco Ciapanna Editore - 1986,
illustra il funzionamento del modulo autofocus della Canon T-80, la cui
architettura è già praticamente identica a
quella sfruttata nei corpi macchina attuali: solamente la sensibilità alle
basse luci e la capacità di valutare il contrasto
anche su superfici molto uniformi è stata drasticamente migliorata; l'immagine
assiale dell'obiettivo passa attraverso
lo specchio reflex semi-trasparente, viene riflessa da uno specchio secondario
ed indirizzata in basso nel mirabox
dove il flusso viene ridotto da una maschera sagomata, filtrato dagli infrarossi
da un apposito low-pass e suddiviso
in tre flussi da un deviatore che li indirizza su una matrice lineare con tre
file di CCD; la T-80 era un apparecchio
d'aspetto sgraziato, molto plasticoso e dotato di funzioni estremamente
semplificate persino per un entry-level,
quindi non incontrò grande successo, ma fu una sorta di "laboratorio"
che permise di affinare ulteriormente le vie
all'autofocus, raccogliendo il testimone dell'FD 35-70mm f/4 AF qui discusso ed aprendo la strada ai modelli EOS
che di li a poco avrebbero rivoluzionato il mercato delle reflex 35mm.
Due pietre miliari nel tormentato passaggio dal
meccanico/analogico
alla moderna elettronica applicata, separate da 10 anni ma egualmente
significative: il dispositivo servo-EE DS-2 (che rende la Nikon F2S
Photomic DP-2 un apparecchio automatico a priorità di tempi) divide
la scena col Canon FD 35-70mm f/4 AF, che rende autofocus una
classica e coetanea Canon F1-new, già automatica a priorità di diaframmi
grazie al mirino Fn-AE; assieme agli obiettivi Zeiss Hasselblad CAD
(con controllo automatico del diaframma a funzionamento elettro-meccanico)
rappresentano le teste di ponte su cui tutta la tecnologia tradizionale è
stata traghettata e catapultata nell'era moderna; ritengo che questi strumenti
meritino un posto di grande rilievo nella storia della tecnica e del costume
soprattutto per il coraggio degli uomini che osarono condividere con il
mercato-clienti prodotti non ancora tecnologicamente maturi, mettendo
a rischio l'immagine stessa della Casa, pur di fornire un assaggio dei grandi
afflati che il futuro prospettava...
(testi, foto e attrezzature di Marco Cavina, dove non altrimenti indicato;
foto con Canon EOS 350 D + Canon EF 50/2,5 macro in luce ambiente;
ringrazio calorosamente l'amico Vicent Cabo per avere realizzato
appositamente i disegni preliminari dello schema ottico)
MARCOMETER
QUEST' OBIETTIVO FU UNA SORTA DI
LABORATORIO VIAGGIANTE
PER SONDARE LE POSSIBILITA' DELL'AUTOFOCUS,
ED ANCHE SE
ALLA FINE SI OPTO' PER UN UNICO
MODULO AF NEL CORPO
MACCHINA IL SUO VALORE STORICO E
TECNICO RESTA IMMUTATO:
RAPPRESENTO' UNA PROVA DI VOLO PRIMA
DEL GRANDE BALZO
E LA SUA TECNOLOGIA "IBRIDA"
PERMISE DI AGGIORNARE ALL'AF
CORPI MACCHINA MECCANICI DISTANTI ERE
GEOLOGICHE, UN'AUTENTICA
MACCHINA DEL TEMPO CHE OGGI MERITA LA
MASSIMA CONSIDERAZIONE.
CONTATTO
ARTICOLI TECNICI
FOTOGRAFICI